I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 26 novembre 2024
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 26 novembre 2024.
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ANTONIO POMPEO
Una Direzione a due velocità. Sono quelle registrate ieri sera fino a tardi dai quadri del Partito Democratico della provincia di Frosinone riuniti per varare la Commissione che prenderà la guida della Federazione fino al Congresso che eleggerà il prossimo Segretario.
Una velocità è quella alla quale hanno viaggiato Francesco De Angelis e Sara Battisti, protagonisti di un asse che ha governato la scorsa stagione del Pd. Ora le loro strade sono tornate a dividersi: il primo guida la componente di AreaDem, la seconda quella di Rete Democratica. E come in tutte le separazioni resta sempre qualche rancore, veleno, delusione, amarezza. Qualcosa se lo erano detti. Altro se lo sono rinfacciati durante la Direzione. (Leggi qui: Pd, la Direzione vara la Commissione: scintille De Angelis – Battisti).
L’altra velocità è quella alla quale ha viaggiato l’ex presidente della Provincia Antonio Pompeo, leader degli ex renziani di Base Riformista. È quello che ha pagato per anni il prezzo politico dell’alleanza De Angelis – Battisti: alle scorse Regionali lui ha raccolto 15mila voti, loro 17mila rieleggendo Battisti; alle Provinciali sono stati due voti ponderati a fare la differenza.
Nel corso della Direzione ha portato il discorso in tutt’altra strada. Ricordando che il Partito Democratico nella provincia di Frosinone ha un numero di tesserati inferiore all’1% della popolazione. Evidenziando che prima non era così, e che il loro era il Partito di riferimento per il territorio.
Ha invitato a guardare oltre i rancori personali, riscoprendo i bisogni degli elettori recuperando il contatto con loro. Tornando a sintonizzarsi su un territorio pieno di problemi e con la necessità di superarli. Percghé non c’è alternativa. Se non quella di affondare.
Volare alto.
ANTONIO TAJANI
Non bastava avere il ruolo. Occorreva la sostanza. Ed il Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ce l’ha messa. Nel corso del G7 Esteri di Fiuggi ha restituito agli osservatori lo spessore di una diplomazia tricolore capace di mediare, proporre soluzioni eque, fare la sintesi.
È stato il titolare della Farnesina a mettere in chiaro che l’Italia vuole arrivare ad una voce “univoca” del G7 sui temi chiave che in questo momento sono sul tappeto europeo. A partire dai mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant.
Quella posizione comune che l’Europa finora ha saputo esprimere raramente è la vera debolezza dell’Unione. Tanto per fare un esempio: l’Italia dice di non voler mandare soldati in Ucraina, Francia e Germania pensano il contrario; l’Italia propone soluzioni di pace, la Germania incontra gli in dustriali per prepararli in caso di guerra ed invitando la popolazione a costruire bunker. (Leggi qui: Quei venti dall’Est che fingiamo di non sentire).
“Vediamo se si potrà avere una parte del comunicato dedicata a questo. Stiamo lavorando per trovare un accordo, credo che sia giusto“, ha spiegato Antonio Tajani al termine della prima sessione del summit, dedicato proprio al Medio Oriente. All’impegno a far fronte comune sui principali dossier internazionali, Tajani ha dedicato il suo intervento di apertura della prima giornata di lavori, dopo aver accolto ad Anagni i capi delle diplomazie del G7 per poi spostarsi a Fiuggi.
“L’unità in questo momento è la nostra forza, mi riferisco soprattutto ai rapporti con la Federazione russa. Ma forza non significa fortezza“, e per questo “ho voluto invitare altri Paesi in modo da avere un confronto più ampio e concreto“, ha aggiunto, riferendosi alla presenza ai tavoli dei lavori in Ciociaria anche dei rappresentanti dei Paesi arabi per il dossier mediorientale, e quelli asiatici per il tema Indopacifico che sarà affrontato oggi.
Una posizione “unica” sulla Cpi è necessaria, secondo il vicepremier, con gli sherpa che lavorano a limare un possibile testo comune mentre finora i Sette si sono espressi in ordine sparso: gli Usa si sono detti contrari all’arresto, non facendo parte della giurisdizione della corte. Diametralmente opposta la posizione del Regno Unito.
Tajani prova a fare quello che noi italiani sappiamo fare meglio: mediare. Ma che avevamo dimenticato.
Il sensale europeo.
MAURIZIO LANDINI
Se non altro è riuscito a fare incazzare tutti, a tre giorni dallo sciopero generale di cui è stato Mentore e sarà Coducator. Quello che forse fa rabbia a molti di Maurizio Landini è una cosa che sfugge ai suoi stessi detrattori. E cioè il dato per cui Ladini, in quanto sindacalista in purezza, riesce a piazzare briscole urticanti secondo un vecchio modo che però all’Italia mancava.
Cosa ha cambiato il berlusconismo
Spieghiamola meglio: la Cgil è da sempre il sindacato dei lavoratori più legati ai grandi ambiti di produzione. E’ stato per decenni e per antonomasia la sigla delle tute blu, delle lotte sindacali, dei cancelli. Tutta roba che, già da qualche decennio, in Italia va a corrente alternata.
Un po’ grazie ad evoluzioni della società non sempre positive, un po’ grazie a 25 anni di berlusconismo che, come per le toghe, alla fine ha dato al sindacalismo patente di roba vecchia e addirittura dannosa. E dove va a palesarsi sempre, secondo un loop consolidato, il danno che i sindacati farebbero?
Nel fatto che indicono scioperi e bloccano comparti e fanno incazzare i cittadini. Tutti sembrano dimenticare quindi – o sono disposti a far passare il dato in secondo piano – che se si sciopera è esattamente per creare disagi.
E far scaturire da quei disagi una soglia di attenzione da parte dei decisori che alla fine porti vantaggi a chi sciopera.
L’anello di solidarietà
Da noi è sempre mancato però quell’anello “intermedio” di solidarietà fra i cittadino che non prede il treno e lo scioperante che non glie lo fa prendere per mandare messaggi a Roma. Landini ha capito il meccanismo e lascia quindi che la controparte sciorini i suoi numeri. Numeri che sono veri, ma che hanno una base di fuffa.
Perché sono ovvi e danno per scontato che ogni sciopero sia solo un fatto negativo e deprecabile. Come il Tempo di Tommaso Cerno, che fa addirittura un elenco comparativo. “I numeri allontanano qualsiasi smentita: non si può parlare di ‘imparzialità’. Gli scioperi del trasporto pubblico locale e quelli del trasporto ferroviario, da quando al governo c’è Giorgia Meloni, sono aumentati vertiginosamente”.
Ovvio, Meloni è di destra e i lavoratori, che qualcuno dà scontatamente come convertiti al melonismo, sono più in allarme no? Ma niente, il quotidiano insiste. “Dai dati forniti dalla Commissione Garanzia Scioperi, infatti, è chiaro che, dal momento in cui la leader di Fratelli d’Italia è diventata presidente del Consiglio, i lavoratori hanno incrociato le braccia molto spesso”.
Il paragone con gli altri governi
Poi, a chiosa: “Nel caso del trasporto pubblico, gli scioperi sotto il governo Meloni sono stati 34. Solamente 4 per Giuseppe Conte e 7 per Paolo Gentiloni”.
Insomma, un vero scandaletto borghese alla “ma dove andremo a finire, signora mia…”. E ancora: “Per quanto riguarda quello ferroviario, invece, il governo Meloni ne conta 54, quello Conte 10 e quello Gentiloni 16. Dimostrazione, questa, di quanto la maggioranza ha sempre sostenuto”.
Ma il dato è un altro: Cgil e Uil hanno confermato lo sciopero generale sulla manovra indetto per il 29 novembre ed hanno fatto bene. Perché lo sciopero è salutare per la vita democratica. Sempre. Anche quando non siamo d’accordo sui suoi motivi, ed anche quando ci fa incazzare.
Tiene il format.
FLOP
BEPPE GRILLO
Il lungo e decisamente immeritato boato alla fine dei lavori di Nova ha segnato a fine di un’epoca, poco da fare. Piaccia o meno con l’esautorazione dal suo ruolo di Beppe Grillo e con l’affermazione della linea di Giuseppe Conte qualcosa è scomparso. Anche al netto della “tigna” inutile con cui in queste ore Grillo chiede che si riconti tutto perché sente puzza di irregolarità. Ed è un qualcosa che avrà avuto pure tutto il tempo di passare dalle scatolette di tonno da aprire agli scatoloni di chi in Parlamento ci si accasato benissimo, ma suo tempo nacque e stupì tutti.
Erano avventizi, caciaroni ed ingenuamente pauperisti, e molti di loro sono rimasti solo dei superficiali mestieranti della politica, ma quando esplosero metà Italia li amò e l’altra metà iniziò a temerli. Beppe Grillo di questa faccenda grossa fu uno degli ispiratori, ma l’assemblea costituente degli attivisti ha dato un altro esito sulla votazione sul ruolo del garante.
L’ormai ex Garante
Garante che non ha saputo tenere la barra di una ceratura nata esattamente come lui voleva che fosse: cioè piena dei germi che poi l’avrebbero uccisa o fatta passare dallo stadio larvale a quello di pupa, una pupa chiamata Giuseppe Conte. E che genererà un insetto del tutto nuovo. I media spiegano che “il ruolo di Beppe Grillo è stato abolito con il 63,24%”.
Roberto Fico, che era tra i fondatori e che Il Tempo mette al centro di uno scenario “para-complottista”, è stato chiaro: “Non condivido il boato. Gli iscritti non hanno votato contro una persona ma hanno chiesto più partecipazione e condivisione e maggiore responsabilizzazione nella scelta degli iscritti per tutti i ruoli”. E a chiosa: “le cose cambiano però Beppe Grillo è il fondatore del Movimento 5 Stelle insieme a Gianroberto Casaleggio e me”.
Il boato che non è piaciuto a Fico
Con il raggiungimento del 50% del quorum i quesiti fatti valutare dagli iscritti online diventeranno cardine per il nuovo M5s. Comunque vada con l’assetto da regolamento Grillo a Nova non ci è venuto per nulla e si è limitato a cambiare stato su Whatsapp: “Da francescani a gesuiti”. Ironica l’allusione ai secondi, amara quella ai primi, dato che secondo tradizione i pentastellati sono nati il 4 ottobre 2009, giorno in cui si onora proprio il Poverello di Assisi.
Oggi però il vero poverello è l’ex comico, più povero di un sogno che non è più suo e più ricco di un’amarezza che forse poteva risparmiarsi. Perché ad esautorare Beppe Grillo ci ha pensato anche Beppe Grillo.
Spodestato.