
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 6 maggio 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 6 maggio 2025.
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MARCO COLUCCI

Sembrava impossibile. Al punto che quasi tutti si erano rassegnati. Come una bruttura che sta sempre lì davanti agli occhi ed alla fine ci si abitua: ci si indigna, ci si fa qualche domanda, alla fine ci si rassegna. Non lo ha fatto il sindaco Marco Colucci. E la conseguenza è che in queste ore parte la bonifica dell’ex cartiera Vita Mayer, quell’eco-mostro affacciato sul Liri che per mezzo secolo è rimasto lì, immobile, come un gigantesco monumento al “poi vediamo”.
Invece no. Il “poi” è diventato “adesso”. E il merito è (anche) di un sindaco che ha deciso di non aspettare altri cinquant’anni.
La testa dura di Colucci

Marco Colucci, primo cittadino con i nervi saldi e la testa dura, ha fatto quello che nessuno era riuscito nemmeno a cominciare: trasformare un’area abbandonata da mezzo secolo in un cantiere attivo. I lavori sono partiti. Gli operai sono entrati. Le coperture in amianto verranno rimosse. Fine della cartolina tossica nel cuore della città.
E non è stato un caso né un colpo di fortuna. È stata una partita giocata a testa bassa, fatta di telefonate, solleciti, dossier, e soprattutto volontà politica. La Regione Lazio ha detto sì ma il pulsante d’avvio l’ha premuto Colucci. Con la sua squadra. «È una giornata storica» ha detto il sindaco. Ed ha ragione. Perché quando una città riesce finalmente a scrollarsi di dosso una vergogna urbanistica che dura da decenni, è qualcosa che va scritto. Con penna grossa.
Il progetto, per un valore complessivo di 585 mila euro, è interamente finanziato dalla Regione. I primi 60 mila euro serviranno per pulizia e messa in sicurezza del cantiere, poi si passerà alla rimozione delle coperture in amianto. Il tutto a due passi dal centro abitato, lungo la via Riviera Liri, dove da anni i residenti non chiedevano altro che respirare un po’ di futuro.
E oggi, per una volta, il futuro comincia da un cantiere. E da un sindaco che ha smesso di girarsi dall’altra parte.
La vista concreta di Colucci.

ANGELO BONELLI
Di Angelo Bonelli tutto si può dire, meno che non sia un politico battagliero. Sinceramente convinto della proprie idee e sinceramente convinto di doverle trasmettere quanto più possibile nella logica della democrazia parlamentare. Poi con il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e co-portavoce di Europa Verde si può essere d’accordo o meno.
Così come a volte risulta difficile decrittare certi suoi “talebanismi” in ordine a temi etici ed all’ecologismo spinto, ma il dato resta. Ed è dato politico in purezza tecnica per cui se Bonelli decide (metaforicamente) di picchiare, lo fa duro. Così, come ha spiegato ad esempio ad AdnKronos: “La presidente Meloni è un’ingannatrice seriale e le sue politiche sono un incubo per milioni di italiani”.
J’accuse verde

A cosa allude l’esponente dell’opposizione all’Esecutivo in carica? E’ presto spiegata nella misura in cui a spiegare il perché del suo j’accuse, Bonelli chiama in causa una recente analisi anche di Marco Travaglio. “Lo dimostrano i fatti, non le opinioni: 5,7 milioni di persone in povertà assoluta, precarizzazione selvaggia del lavoro, sfruttamento diffuso, stipendi tra i più bassi d’Europa, oltre 100mila giovani costretti a emigrare, un welfare demolito”.
Insomma, Bonelli ce l’ha con il recente (e consueto) video messaggio della premier Giorgia Meloni. Che ormai con i giornalisti è come la Mirandolina goldoniana, cioè va solo in soliloquio o in colloquio con chi la punge poco. “Di fronte a tutto questo, Meloni ha il coraggio di dire che ‘i salari stanno aumentando’ e che ‘non c’è un problema salariale’. Una balla colossale, smentita dai numeri ufficiali”.
Il report sul lavoro

Bonelli poi incalza: “Secondo l’ultimo Rapporto 2024-2025 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro l’Italia si distingue per una dinamica salariale negativa, con salari reali più bassi di quelli del 2008. Eurostat e Istat confermano: siamo tra gli ultimi in Europa per crescita del potere d’acquisto”.
Poi la stoccata finale, agra e puntuta. “Eppure Meloni continua a raccontare un Paese che non esiste, pensando che basti un video patinato per cancellare la realtà. Non basta”. E a chiosa: “Mentre le famiglie italiane sono in ginocchio per il caro energia, il governo continua a fare regali alle lobby fossili: 70 miliardi di euro di extraprofitti per le compagnie energetiche, mentre nulla si investe seriamente sulla transizione ecologica”.
“Altro che difesa del clima: le politiche di Meloni sono un favore costante agli interessi di pochi a danno della collettività“.
Inflessibile.
FLOP
L’OPPOSIZIONE DI VENTOTENE

A Ventotene, l’isola laboratorio dell’Europa unita, la politica si fa più rovente della roccia vulcanica su cui poggia. I consiglieri di opposizione Gerardo Santomauro, Pasquale Bernardo e Domenico Malingieri hanno deciso di alzare la voce (e la temperatura istituzionale) presentando una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco Carmine Caputo, accusato di essere “inidoneo a guidare il Comune“. Un atto muscolare, che però somiglia più a un esercizio di propaganda che a una reale istanza di cambiamento.
La mozione è un’arma legittima, certo. È prevista dalla legge, può essere usata per rimuovere un sindaco. Ma perché funzioni, deve poggiare su una sostanza solida, non su un collage di recriminazioni politiche. Il punto è proprio questo: i contenuti di questa mozione non sembrano essere tanto una denuncia documentata di inadempienze oggettive, quanto una raccolta di opinioni — legittime, ma opinioni — che spettano a chi ha l’ultima parola: gli elettori.
Quis custodiet ipsos custodes?
Chi giudica la capacità amministrativa di un sindaco? Non certo l’opposizione. Non perché non abbia voce in capitolo, ma perché quella voce ha un tempo e un luogo: la campagna elettorale. E le urne. Caputo è stato eletto. Punto. Con quella fiducia popolare ha ottenuto la patente per governare. Se qualcuno gliela vuole revocare, dovrà farlo convincendo la cittadinanza, non scrivendo una requisitoria politica in Consiglio comunale.

Certo, il contesto è acceso: il caso Futuro Rifiuti Zero (la società per la raccolta e lo smaltimento delle immondizie cittadine), le tensioni sul progetto del carcere di Santo Stefano, la gestione dei fondi Pnrr, perfino i rifiuti nel campo sportivo. Ma se tutto questo dimostrasse davvero incapacità amministrativa conclamata, i cittadini non sarebbero già in piazza con i forconi? Invece no. Siamo di fronte a una strategia comunicativa, non a un’emergenza democratica.
Abuso di democrazia
Il vero problema di questa mozione è che svuota di senso lo strumento che pretende di usare. Se ogni contrasto politico si traduce in una richiesta di sfiducia, allora la sfiducia perde valore, diventa moneta inflazionata. È normale che ci siano frizioni, critiche, visioni diverse. È la democrazia. Ma la mozione di sfiducia dovrebbe restare un’eccezione, non la forma ordinaria di dissenso.
Così, più che sfiduciare il sindaco, questa mozione rischia di sfiduciare il buon senso. E di mostrare un’opposizione che, invece di costruire un’alternativa credibile per il futuro, preferisce incendiare il presente con fiammate di retorica. Ma a Ventotene, terra di idee lungimiranti, meritiamo qualcosa di meglio.
Mozione di sfiducia o sfiducia nella mozione?
DON FRANCESCO PESCE

Sia chiaro, nella faccenda in sé non c’è stata alcuna malizia o intenzione sottile, ma il clero è il clero. Cioè una categoria sociale (soprattutto italiana) che dovrebbe sapere meglio e più di tutte le altre che, in clima “elettorale”, la miglior regola è il silenzio.
Questo perché ogni aneddoto, ogni riferimento ed ogni allusione sia pur ammantata dell’innocenza narrativa che non discutiamo, potrebbero fare cifra e massa per esiti su piani molto più giganti. Piani come quello del Conclave che partirà domani, ad esempio, per eleggere il successore di Papa Francesco.
Cioè, a ben vedere, per decidere tra la continuità sulla sua linea prog, una soluzione mediata oppure un ritorno all’ortodossia ratzingeriana. Tutto questo per dire che magari Don Francesco Pesce, parroco della Madonna dei Monti a Roma, poteva evitare di dilungarsi in un’aneddotica narrativa, sia pur innocente per intenti.
Il racconto

Quale? Quella per cui al cardinale Aveline, papabile e considerato bergogliano, era stata rubata la borsa.
Don Francesco Pesce, cappellano di Montecitorio e parroco della Madonna dei Monti, lo ha raccontato ai giornalisti che speravano di strappare qualche considerazione al cardinale che da domani sarà in lizza. ”La scorsa settimana la borsa del cardinale, contenente tra l’altro chiavi ed effetti personali, è stara rubata. Ma dopo tre giorni è ricomparsa. A testimonianza – ha scherzato don Francesco Pesce – che la Madonna dei Monti continua a fare miracoli, anche se in questo caso l’abbiamo un po’ aiutata…”.
Il problema è light e serio al contempo, perché, fattualmente, l’attuale arcivescovo di Marsiglia è considerato uno di quelli che potrebbero esser il prossimo papa. E’ vero che a votare saranno solo i cardinali e che in questo caso l’influenza sul voto è minimal, ma anche all’interno del collegio potrebbe maturare qualche sottile e subliminale convinzione sul mainstream.
Questo perché mai come adesso il blocco di elettori è composto anche da novizi. Da prelati di altissimo rango cioè che non seguono l’usta di trame e correnti, ma agiscono d’impulso. E in questo loro impulso devono essere comunque lasciati liberi di valutare, senza esche aneddotica e penzolare davanti alla bocca del loro cuore.
“Peccato” veniale.