Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 10 luglio 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 10 luglio 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 10 luglio 2024.

TOP

CRISTIANO PAPETTI

Cristiano Papetti

Botta ed orgoglio. La prima “l’ha tenuta”, come si dice in gergo, Cristiano ed il secondo lo ha sfoderato Papetti. L’esponente di Fratelli d’Italia già candidato sindaco di Veroli avrà pure perso il treno del cimento amministrativo ernico, ma a livello di partito ha conservato una sua “integrità”. Una dote che, c’è da giurarlo, gli tornerà utile nei prossimi mesi e non a livello comunale, ma di collegio.

Specie dopo che la Direzione Provinciale del Partito degli ultimi giorni ha effettuato l’analisi del voto Comunale ed Europeo ed ha sconfessato l’ipotesi estrema di un suo defenestramento . Papetti è a tutti gli effetti un membro del Direttivo provinciale di Fdi. Ma far fuori Papetti avrebbe significato, anche per il Coordinatore Provinciale Massimo Ruspandini, certificare la sua linea “eccentrica”.

La “patente di eccentricità”

E non sono pochi, quelli nel Partito di Giorgia Meloni in provincia di Frosinone, che la patente di eccentricità la attribuiscono sì, ma non a Papetti. Anzi. Come è noto in occasione delle ultima amministrative erniche l’avvocato aveva scelto, pur essendo uomo di incarico apicale, di correre da sé. E di farlo portandosi al seguito una certa fetta minoritaria ma non esigua di sodali che non ci erano stati ad essere bollati come “fuoriusciti” dal partito.

Antonio Abbate (Foto: Erica Del Vecchio © Teleuniverso)

In quelle concitate settimane Papetti aveva sempre goduto dello sparring attivo del vice coordinatore regionale di FdI Antonio Abbate. Ed è accaduto così che pur avendo perso nella corsa per Palazzo Mazzoli Papetti è rimasto in corsa per i futuri cimenti. Per le lotte di affermazione nella formazione che ha in Arianna Meloni la “giudice” delle condotte territoriali. Ci è rimasto decisamente secondo il mood che aveva scelto, Papetti, cioè con quella “schiena dritta” che molti tra i suoi supporter gli riconoscono.

Il pretesto Papetti

La realtà emersa in tutta la sua evidenza durante l‘analisi del voto compiuta dai vertici provinciali è che Papetti è stato strumento: testa di ariete lanciata da una sensibilità politica interna a FdI contro l’altra. Più chiari: chi non sta con Ruspandini ha utilizzato la sensibilità di Papetti contro Ruspandini. Il perché è elementare. Le due visioni quali sono? Ruspandini ha una posizione nella quale non può più ragionare in base alle sue personali convinzioni ma deve farlo in una logica di Partito. Ed a Veroli ha dimostrato la sua capacità di visione strategica: la città era in mano al Centrosinistra ed i numeri non avrebbero mai consentito la vittoria al centrodestra stante la spaccatura con Forza Italia che si è presentata da sola.

Ruspandini si è trovato davanti a due scelte: compiere una battaglia ideologica ed identitaria ma perdente oppure obbligare il Centrosinistra ad ammainare la bandiera, condurre il tutto su una piattaforma civica, individuare come punto di sintesi un sindaco non del Pd. È così che si è arrivati alla candidatura di Germano Caperna di Italia Viva.

Massimo Ruspandini

Una parte di FdI ha appoggiato il piano, Papetti ha scelto di candidarsi sindaco contrapponendosi a questo piano. Ha perso e malamente. Non di meno, al di là dell’aspetto della conta interna tra componenti, ha dimostrato che oggi Fratelli d’Italia è un Partito nel quale è possibile la discussione interna, contrapporsi alla visione gerarchica. È importante perché significa che i Congressi dei mesi scorsi non sono stati farsa: ma FdI ha avviato davvero un processo di democratizzazione che prende distanza nei fatti da marce, svastiche e federali.

La vittoria collettiva dello sconfitto individuale.

MARINA BERLUSCONI E IL LAZIO

Marina Berlusconi (Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica)

Il serto massimo del prestigioso Premio Strega quest’anno è andato all’Abruzzo. Lo ha meritatamente messo in testa Donatella Di Pietrantonio con L’Età fragile edito da Einaudi. Abruzzo ed una storica casa editrice torinese dunque, questa la combo del 2024 per il prestigioso riconoscimento letterario.

Premio che l’anno scorso costò una mezza figuraccia al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e quasi il posto a Gepi Cucciari, presentatrice e fustigatrice argutissima anche quest’anno. Ma ci sono altri dati, e sono dati che, in ordine alla cambo editor-regione, indicano in Marina Berlusconi e nel Lazio quella vincente sul range ampio.

Il report Preply
Gepi Cucciari al Premio Strega

Chi lo dice? Un report di Preply. Studio accurato da cui “emerge che Mondadori, con 23 vittorie, è la casa editrice più titolata al Premio Strega”. Non serve sforzarsi troppo, tra addetti ai lavori e bibliofli, per rammentare le opere che sono crasi di questo scenario. Basti pensare a “Come Dio comanda” di Niccolò Ammaniti (2001), “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano (2008) e “Non ti muovere” di Margaret Mazzantini (2002).

E proprio Einaudi è seconda con con 16 vittorie, poi Rizzoli (11) e Bompiani (10). E Feltrinelli? Il report spiega che “condivide invece il posto con la Garzanti classificandosi solo con 4 vittorie”. Perché il Lazio fa parte della combo del successo allo Strega? Perché è di fatto “la regione con il maggior numero di vittorie al Premio Strega, totalizzando 15 successi”. I nomi sono quelli di giganti: Alberto Moravia, Elsa Morante e Alessandro Piperno.

“Segue il Piemonte al secondo posto con 9 trionfi, con autori celebri come Umberto Eco e Primo Levi“. E ancora: Chiude il podio la Toscana con 8 vittorie, tra cui spicca Sandro Veronesi che ha primeggiato ben due volte con i romanzi “Caos calmo” e “Il colibrì”.

La parabola di sempre: da Milano a Roma

Insomma, se da un punto di vista regionale la Lombardia ha ottenuto solo 5 Premi Strega malgrado le principali case editrici siano milanesi, grazie a Mondadori la Regione che vuole intitolare un aeroporto a Silvio Berlusconi sta in podio grazie… a sua figlia.

Marina Berlusconi è infatti presidente del Gruppo Arnoldo Mondadori Editore e guida quella che di fatto è la fucina “tiranna” dei Premi Strega. Ma non lo fa solo come lombarda, perché il bouquet di podii più alto ce l’ha il Lazio. Un po’ come il suo papà, che a Milano faceva il grano ma che per diventare mietitore patentato dovette puntare su Roma.

Doppia vetta.

MARIA RITA D’AMICO

Maria Rita D’Amico

Non bisogna mai stancarsi di inseguire i propri sogni. Perché aiutano a vivere: a qualunque età. C’è gente che ha smesso di sognare a vent’anni: è molto più arida di tanti sessantenni che invece continuano a voler raggiungere una meta. Come insegna una maestra d’asilo di Ferentino. All’età di 65 anni è diventata insegnante di ruolo nella scuola materna dopo ben 26 anni di attesa: è il caso di Maria Rita D’Amico che ha superato in queste ore l’anno di prova ed ha ricevuto la comunicazione che dall’anno prossimo sarà insegnante di ruolo a tempo pieno

 A raccontare la sua storia è l’edizione di Frosinone del quotidiano Il Messaggero. Maria Rita D’Amico si è diplomata allo Scientifico nel 1997,  ha cominciato a lavorare in un asilo ed al tempo stesso proseguito gli studi laureandosi in Psicologia. Adora i bambini e per questo ha aperto una struttura privata, prima sul litorale romano e poi a Ferentino. Nel 1998 ha partecipato al concorso per entrare in graduatoria nella scuola dell’Infanzia: da allora solo brevi supplenze e contratti nel privato che comunque le consentivano di restare in graduatoria ed acquisire punteggio. Un anno fa è arrivata la fatidica chiamata.

 È entrata in ruolo presso la scuola dell’Infanzia dell’istituto Comprensivo di Guarcino: ora ha superato l’anno di prova e da settembre sarà definitivamente di ruolo sempre a Guarcino. All’età di 65 anni ed a due passi da quella per poter andare in pensione. “L’esperienza maturata in tanti anni nel sociale – ha detto al Messaggero – mi ha formato molto ed insegnare a 65 anni tra tante colleghe più giovani mi stimola e mi rende molto felice”.

Sognare non costa niente e spesso si avvera.

FLOP

FRANCESCO PAOLO FIGLIUOLO

Il generale Francesco Paolo Figliuolo (Foto via Imagoeconomica)

Lo abbiamo conosciuto come l’uomo che ha piegato la pandemia con la forza della logistica. Cioè con il potere assoluto di un’organizzazione capillare nelle cui maglie e grazie ad un’ottima campagna vaccinale il Covid alla fine si è perso, frammentato ed indebolito fino allo stremo endemico. Francesco Paolo Figliuolo è stato, almeno fino all’avvento dello scenografico Roberto Vannacci, Il generale per antonomasia.

Ecco perché, dopo un incarico di altissimo prestigio di ambito militare in purezza, la sua nomina a Commissario straordinario per l’emergenza meteo dopo le alluvioni in Emilia Romagna, Marche e Lazio era giunta appaiata ad una certe sensazione di sollievo. Un sollievo appena appena “guastato” dalla polemica tecnico politica sull’opportunità di tener fuori da quel ruolo Stefano Bonaccini.

Cioè il presidente della regione simbolo, quella più colpita dal disastro, e forse la persona più skillata per mettere a regime la riorganizzazione. Insomma, Figliuolo era riuscito perfino a sedare l’atavica capacità degli italiani di polarizzarsi intorno ai vessilli anche quando c’è da fare quadrato sotto una bandiera sola: quella dell’emergenza. Una mission, la sua, tuttavia un po’ “sporcata” da alcuni numeri che stanno emergendo in queste ore.

Le polemiche ed il caso Bonaccini
Stefano Bonaccini

Quali? Quelli per cui, ovviamente con il Governo in carica a fare da manovratore, c’erano stati ritardi nei risarcimenti. E non solo: il massimale di indennizzo per i beni mobili delle famiglie alluvionate era stato fissato a soli 6mila euro. Lo ha spiegato un recentissimo emendamento al Decreto sulla Ricostruzione post-calamità che ha lo scopo proprio di innalzare da 6mila a 30mila euro il massimale di indennizzo per i beni mobili delle famiglie alluvionate. La modifica porta la firma di ANCI, UPI e Conferenza delle Regioni piùl’avallo di PD, AVS, M5S, IV, Azione, Autonomie. Ed è stata oggetto di discussione nella canonica Conferenza Unificata tra Regioni e Governo.

A darne menzione era stato già in un’occasione abbastanza “agra” il Sindaco e Presidente della Provincia di Ravenna, Michele De Pascale, Presidente di UPI. Che aveva puntato il dito senza remore: “Dai dati in nostro possesso al momento le domande di indennizzo da parte di famiglie approvate con decreto di concessione dal Commissario per i danni già oggi indennizzabili, sono 222. E con richieste per 7 milioni 632 mila euro, di cui riconosciuti solo 5 milioni 032 mila ed effettivamente erogati 2 milioni e 476 mila”.

De Pascale ed il suo “J’accuse”
Michele De Pascale (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

A queste si aggiungono “27 domande di imprese con richieste per 5 milioni 932 mila euro, di cui riconosciuti solo 2 milioni 622 mila ed erogati 1 milione 358 mila. Insomma, le skill dicono che Figliuolo è un generale, ma i dati suggeriscono che per adesso pare non sia andato oltre il grado di “colonnello”.

E “l’incertezza sul finanziamento dei beni mobili delle famiglie alluvionate dell’Emilia-Romagna rappresenta in questo momento il principale ostacolo a cui è urgente dare soluzione”.

Talmente urgente che per adesso la greca più famosa d’Italia (prima di Vannacci) si becca… una torre e tre stelle. Forse bordate di rosso, ma questo si vedrà nei mesi prossimi.

Suvvia, Figliuolo.

MATTEO RENZI

Matteo Renzi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

E niente, lui è fatto così: appena vede un appiglio ci si aggrappa come una patella volpina ad uno scoglio di opportunity. Matteo Renzi non perde mai occasione per scavare fossati tra la sua splendida verve dialettica e le sue occasionali ma robuste scivolate argomentative. E’ una caratteristica ormai nota dell’ex premier e leader di Italia Viva, ma il dato è un altro. Si tratta di quello per cui Renzi è uno tanto abituato a prendersi la scena che poi quando lo fa con copione fesso è difficile non balzare a cogliere le sue contraddizioni.

Il senso è: se voli basso e non ne dici una al giorno alla fine quando ne dici una imprecisa nessuno ti tocca. Ma se voli sempre in zona andina e poi prendi cappellate allora chi ti impallina un po’ ha ragione. Il contesto è quello ormai noto della vittoria di Keir Starmer come nuovo primo ministro del Regno Unito. Di quella e della vittoria delle sinistre (rigorosamente plurale) in Francia contro Marine Le Pen.

Gli esempi in Uk e Francia

In particolare, con la vittoria dei Laburisti alle elezioni del 4 luglio stampata su un 33,7% dei voti, il partito di centro sinistra “conquista 412 seggi su un totale di 650, ben al di sopra dei 326 posti richiesti per la maggioranza (ma in termini assoluti il gradimento è inferiore al 2019)”. Ed ovviamente i conservatori sono andati a picco, mai così a picco dal 1834. Lo slogan del nuovo inquilino del 10 di Downing Strett è propositivo e formichineggiante: “Mattone dopo mattone ricostruiremo l’infrastruttura delle opportunità”. E Renzi? Ci si è avventato come un gheppio da allodola, ovviamente.

Non benissimo: “Le elezioni inglesi offrono un quadro molto chiaro. Quando la sinistra scommette sui riformisti, vince: è successo con Blair e con Starmer. Quando la sinistra isola i riformisti, perde: è successo con Ed Miliband e Corbyn. Se la sinistra vuole vincere deve sfondare al centro, non solo nel Regno Unito”. In realtà non è affatto così, tanto che in Francia la sinistra ha vinto sfondando a manca. E nel caso Uk non lo è per la radicale diversità dello scenario britannico.

Paralleli imperfetti: molto
Rishi Sunak (Foto: Lauren Hurley © N° 10 Downing Street)

Sui social molti lo hanno notato ed hanno obiettato. RassegnaTa Stampa Podcast ad esempio l’ha messa forse meglio di tutti: “Un po’ parziale come analisi. In Inghilterra, la gente voleva cambiare dopo 14 anni di Governo conservatore allo sbando più totale.

“Poi la vittoria schiacciante del Labour rappresenta solo il sistema bipartitico inglese. Se uno non ti piace, vai dall’altra parte. In Italia non è possibile riprodurre questo modello”.

E Renzi, che tra l’altro ha litigato con tutti proprio per evitare quella crasi, lo sa benissimo. Però sale sul carro altrui per far desumere che lui è un buon cocchiere.

Mattew o Matieu non è Matteo.