I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 11 dicembre 2024
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 11 dicembre 2024.
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L’ACCORDO AL MIMIT
Alla fine la decisione è stata in punto di saggezza. E di strategia. Perciò, quando saggezza imprenditoriale e strategia vanno in combo i risultati si vedono e come. Risultati notevoli, a contare che ieri presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy è stato raggiunto l’accordo per i lavoratori in segmento servizi di Stellantis. (leggi qui: Stellantis, accordo al Mimit: licenziamenti ritirati e contratti prorogati).
Da tre settimane stavano scioperando di fronte ad una prospettiva: quella del licenziamento per 150 persone (persone, non unità, persone) di Trasnova, Logitech, Tecnoservice.
Il ruolo chiave dei sindacati
La situazione era disperata, direttamente connessa con la crisi planetaria dell’Automotive e con l’effetto domino delle dimissioni dell’Ad Carlos Tavares. Dimissioni che avevano fato pensare al peggio, ma che invece hanno suggerito un preciso cambio di rotta che, con la poltrona di nocchiero ancora vacante, è del tutto attribuibile a John Elkann. C’è lui dietro alla scelta di mandare in soffitta la strategia dell’arroganza adottata in questi anni dall’efficientissimo manager lusitano. Economicamente impeccabile, industrialmente devastante, politicamente inaccettabile. Al punto che stava diventando una sorta di ghetto dorato per i padroni del vapore automobilistico nazionale.
Al tempo stesso, sull’altro fronte c’è stato un sindacato che per la prima volta dopo un quarto di secolo s’è ritrovato di fronte ad una crisi vera con prospettive da macelleria sociale. Ed ha fatto il sindacato: non quello degli slogan e dei cortei ma quello della mediazione in difesa del lavoro e dei lavoratori. Cosa che in troppi, soprattutto tra i tutelati, avevano dato per scontata.
Da un po’ di tempo infatti vige in Italia un format stantio per cui ad esempio i sindacati sono ormai roba inutile. “Servi dei padroni”, “hanno perso il contatto con il mondo operaio”.
Giangrande conducator di strada
E ancora, quel mood ha influenzato il pensiero dominante fino a considerare i leader sindacali di ogni fascia e rango come inutili orpelli di una stagione che fu. Poi però, quando le acque si fanno maroso, i “lupi di mare” sanno portare la nave in porto. E magari salvano l’equipaggio. E’ quello che ha fatto assieme agli altri ad esempio il coordinatore regionale della Uilm Francesco Paolo Giangrande, una vita nel sindacato partendo dalla base. Anno domini 1976, in Fiat a Piedimonte si fabbricavano le 126, i dipendenti erano 12mila, c’erano i brigatisti, c’erano i picchetti, c’erano le lotte sindacali. E c’era anche lui: che bloccava i cancelli ma al tempo stesso si accertava che all’interno ci fosse chi vigilasse contro gli attentati, impediva la produzione ma dentro voleva che ci fosse il direttore perché una cosa è lo sciopero ed altro è l’esproprio proletario. I brigatisti lo misero nel mirino e la polizia pure. Fu lui, con la sua autorevolezza, a dire che il piano Marchionne, se declinato in una certa maniera, poteva funzionare.
C’era anche ieri al Mimit, a guidare un sindacato secondo polo di un’interazione salvifica che ha fatto uscire gente con sorrisi. E perfino con lacrime di sollievo. Tignoso, per strada, accanto ai suoi Giangrande non ha mollato, ed ha portato il risultato a casa quando il risultato sembrava ormai impossibile o compromesso.
L’accordo che dà respiro
Cosa successo? Che dal Mimit sindacati, amministratori del territorio e soprattutto lavoratori e lavoratrici sono usciti con un accordo che dà ufficialità alla proroga di un anno dei contratti ed al ritiro dei licenziamenti. Considerando il clima e lo scenario in punto di “tecnica” è un mezzo miracolo, sia pur con timing definito. Ma consentirà di affrontare la transizione senza fare macelleria: il segnale è che si prende il largo tutti insieme.
Ma cosa è successo nel concreto? Che si è registrata una nettissima inversione di tendenza con start ideale e strategico dal dopo Tavares. L’azienda non poteva non vedere, anche a contare binari differenti, la discrasia tra la super buona uscita dell’ex Ad e la fame incombente dei lavoratori. E assieme alla finanza ha fatto economia. Anche perché fonti inside spiegano che alla fine nessuno ha voluto aprire una crepa con il Ministero per un appalto che vale circa 20/30 milioni.
E nel fare economia di scala massima questa Stellatins di John Elkan ha fatto anche economia etica. Tardivamente ma meritoriamente.
Buona la prima.
NINO CARTABELLOTTA
E’ tutta una questione di onestà intellettuale. Una onestà che già a su tempo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, aveva palesato. Attenzione perché con “a suo tempo” si intende un tempo in cui dire cose senza senso sembrava essere diventato lo sport nazionale. E dire cose senza senso nel pieno di una pandemia non è il massimo del grip sul pianeta per questa buffa specie di primati avanzati. Il tema resta comunque quello, anche se in raggio molto più ampio: la sanità italiana.
Una sanità pubblica che progressivamente sta cedendo passo alla sua “sorella” privata. E che ha spinto Cartabellotta ad essere metà sincero, metà ironico, su alcune affermazioni di Giovanni Toti, ex governatore della Liguria. Ha detto il numero uno di Gimbe. “Apprezzo l’onestà intellettuale di Giovanni Toti”. Poi ha spiegato: “E’ l’unico che dice chiaramente che le politiche liberiste (non liberali!) della destra vogliono privatizzare la sanità pubblica”.
L’analisi di Toti sul Pd
Ma perché, Toti cosa aveva detto? Il solito mood in salsa falso funzionalista con molto politichese dentro. “La campagna del Pd sulla sanità pubblica è una mistificazione. Per fornire ai cittadini tutte le prestazioni necessarie serve potenziare assicurazioni, privati accreditati, farmacie. Serve una riforma liberale. La maggioranza non si faccia dettare la agenda!”.
Chiara Giorgi, già a marzo ed in un report splendido per quanto mesto, spiegava che “Nella sanità pubblica italiana è in corso un’accelerazione di processi di privatizzazione che da tempo stanno minando i principi costitutivi del Servizio sanitario nazionale (SSN), mettendone a repentaglio attività e tenuta”.
La docente di Storia contemporanea a La Sapienza aveva poi rievocato genesi e mutazioni. “Nato dai conflitti degli anni Sessanta e Settanta, il SSN ha segnato il momento di maggiore qualificazione democratica del welfare italiano. Ed è stato improntato da universalità di copertura, equità di accesso e uguaglianza di trattamento”.
Come fu concepito il SSN
E “globalità dell’intervento sanitario, uniformità territoriale, partecipazione democratica, finanziamento tramite la fiscalità generale progressiva”. Il senso era, e dovrebbe essere che il SSN è stato modellato addosso ai cittadini secondo la regola per cui un plotone ha l’obbligo di marciare al passo del più lento dei suoi componenti.
Tuttavia “a partire dagli ultimi due decenni del secolo scorso si è registrata un’inversione di rotta nella cornice di nuove politiche di stampo neoliberale. Dirette ad allargare gli spazi del mercato in ambiti tradizionalmente regolati dallo Stato, a ridimensionare i servizi di welfare, a introdurre l’outsourcing dei servizi pubblici e logiche competitive anche in ambito sociale”.
Cartabellotta sta sostenendo da tempo una battaglia simile di informazione per additare questa progressiva metamorfosi liberista, ma pochi lo ascoltano. Almeno tra quelli che non hanno interesse a porgere le orecchie. Ma lui non ha paura non si arrende, come non si arrese “a suo tempo”.
Nino non aver paura.
FLOP
GIOVANNI BORTONE
La libertà di pensiero è intangibile. Ed il suo modo di esprimerla è limitato solo dalla Legge. Poi c’è il confronto interno con la propria coscienza, intenso e lacerante se il ragionamento porta ad andare contro ciò per cui fino a poco prima si era combattuto. Per questo bisogna togliersi il cappello di fronte alla scelta adottata in questi mesi dal capogruppo della Lega in Consiglio Comunale, Giovanni Bortone.
Non è semplice dover rinnegare buona parte di quello per cui ci si è candidati, si è fatta campagna elettorale, si è stati eletti e per un certo periodo si è governato. Ma lui il suo dilemma di coscienza lo ha avuto, affrontato e risolto: arruolandosi nella pattuglia dei cinque dissidenti dell’amministrazione Mastrangeli passati alle cronache con l’appellativo di Malpancisti.
Fin qui, la scelta è ammirevole: di coscienza e senza steccati. Ma poi lo scenario cambia.
Perché non si può pretendere di essere allo stesso tempo di lotta e di governo, non si può stare nello stesso momento con il Re e con il Papa. O stai con il sindaco e la sua maggioranza o gli stai contro. Le zone d’ombra alimentano un indefinito tipicamente nostrano dove l’ideologia va a farsi benedire per lasciare spazio al piccolo pennacchio personale. Nella fattispecie: non si può pretendere di essere al tempo stesso il Capogruppo comunale del Partito che ha espresso il sindaco di Frosinone e stare nella pattuglia che non gli ha rinnovato la fiducia.
Un’ambiguità più unica che rara. Alla quale è stata messa fine ieri con la cacciata di Bortone dalla Lega. Ineccepibile. Ma proprio per questo il capogruppo avrebbe fatto bene a prendere cappello e sbattere lui il portone. Solo così avrebbe dato senso politico alla fatica delle sue scelte. Così gliene ha dato esattamente un altro.
Fuori tempo.
MARCO OSNATO
Presente quando sei l’aiuto cuoco di un ristorante che cucina così così ma tu proclami all’universo mondo che in quel locale si mangia da Dio e birba chi ancora non gli ha dato la prima stella Michelin? Al di là della prova empirica che poi metterebbe ogni cliente reduce da quei tavoli nelle condizioni di giudicare da sé resta un fatto. Il fatto eclatante ed un po’ smargiasso per cui “nemo propheta in patria” e soprattutto per cui dire bene del sistema complesso di cui si è parte è quanto meno discutibile, oltre che molto inelegante.
Sarebbe da spiegare a Marco Osnato, che si vive con molta disinvoltura la sua doppia veste di deputato di Fratelli d’Italia, responsabile economico del partito di Giorgia ed Arianna Meloni e presidente della commissione Finanze. In buona sostanza Osnato ha detto che il giudizio “soft” di Moody’s sulla revisione dei conti dell’Italia è la conferma che “il governo è nella giusta traiettoria”.
“La giusta traiettoria” di Moody’s
Capito quanto si può essere banali quando si decide di imbrodarsi di cose per cui sarebbe meglio essere distanti? Il problema non è che qui si sta parlando di un clamoroso errore, ci mancherebbe. No, semplicemente e poco prima del Natale Osnato ha deciso di essere al tempo stesso Cometa, Re Mago e pastorello ruffiano.
E di accodarsi ad un giudizio peraltro non del tutto favorevole per dire che la strada è quella. Giancarlo Giorgetti, un gigante di fronte ad Osnato, ha spiegato sulla Finanziaria che “la sessione di bilancio si colloca in un contesto economico e istituzionale complesso, che vede da un lato l’entrata in vigore delle nuove regole di bilancio europee”.
Giorgetti tra obiettivo e generico
E dall’altro “il permanere dell’incertezza geopolitica che da tempo caratterizza lo scenario internazionale”. Insomma, la mette giù tecnica per non doverla mettere giù mezza nera o quanto meno grigia. Ma Osnato no, lui tira dritto e in quanto governante si auto-certifica bravobravissimo in quanto uomo di Fdi.
Così: “La revisione periodica di Moody’s conferma che siamo sulla giusta traiettoria: per la crescita nel breve periodo, vicina a quell’1% che anni fa sembrava un miraggio. E per la consapevolezza che dobbiamo puntare sulle riforme strutturali legate al Pnrr e il contenimento del Superbonus ‘radioattivo. (…) Non è certo una sfida facile – precisa Osnato – ma il Governo Meloni continuerà a stupire in positivo”.
Giù il sipario e raccattate sega, valletta e conigli.
Accattatavilla.