
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 11 giugno 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 11 giugno 2025.
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ROBERTA ANGELILLI

Altro che declino industriale, altro che ritardi cronici nel salto verso il futuro: se c’è un luogo dove oggi il venture capital si fa politica pubblica – e visione concreta – è il Lazio. La Regione guidata da Francesco Rocca, con la vicepresidente e assessore allo Sviluppo Economico Roberta Angelilli in cabina di regia, ha deciso di cambiare passo, e soprattutto paradigma. Non più finanziamenti a pioggia, ma una strategia industriale per l’innovazione. Una vera e propria infrastruttura del rischio, costruita per attrarre, accelerare e moltiplicare le imprese del domani.
Il nuovo piano, presentato a Roma, parla chiaro: oltre 100 milioni di euro per costruire un ecosistema regionale del venture capital. Non un annuncio da convegno, ma una roadmap precisa, con call pronte per partire entro fine mese e un ventaglio di strumenti che copre tutto l’arco di vita di una startup, dalla scintilla dell’idea all’ingresso sul mercato.
Quattro pilastri

Quattro i pilastri operativi della nuova stagione: Lazio Venture 2 per attrarre fondi specializzati, Venture Tech Lazio per sostenere acceleratori e fasi seed, Innova Venture 2 per l’investimento diretto nelle realtà selezionate da Lazio Innova, e TT Venture Lazio per spingere il tech transfer e trasformare la ricerca in impresa. Un pacchetto che – a giudicare dalla reazione degli operatori presenti – ha il profumo delle buone idee fatte finalmente sistema.
Dietro questa architettura, c’è una chiara consapevolezza: senza capitale, senza rischio, senza pazienza, non si crea innovazione. E senza innovazione, l’economia regionale rischia di restare ferma nel secolo scorso. L’obiettivo è attirare investitori, certo, ma anche generare fiducia tra chi oggi ha una visione e non trova strumenti per realizzarla. A partire dai giovani, dalle università, dai ricercatori e dai nuovi imprenditori.
La ciliegina sulla torta

E poi c’è la ciliegina sulla torta: il bando Patrimonializzazione PMI, rifinanziato con 12 milioni di euro, che spalanca le porte anche alle startup già sostenute da fondi e angel investor. Un passaggio non secondario, che dà un segnale chiaro: chi ci mette soldi veri, troverà nella Regione un alleato credibile.
Roberta Angelilli ha giocato questa partita con intelligenza strategica e un tempismo impeccabile, mettendosi in sintonia con la Commissione Europea e con la nuova agenda per startup e scale-up. Lo ha fatto costruendo una squadra – con Lazio Innova in prima linea – capace di unire governance pubblica e competenza di mercato. E ha mandato un messaggio inequivocabile a chi ancora pensa che innovazione sia sinonimo di Silicon Valley: no, si può (e si deve) fare anche a casa nostra.
Il venture capital, nel Lazio, ha finalmente smesso di essere una parola per convegni. È diventato politica industriale. Ora la sfida è una sola: far arrivare quei capitali là dove servono davvero. Nelle idee che non hanno paura. E nei territori che vogliono scommettere sul futuro.
Il capitale del futuro passa per il Lazio.
ANDREA QUERQUI

L’arte di bilanciare fa parte della cultura della provincia di Frosinone. Non è cerchiobottismo ma residuo genetico di una terra che è stata feudo andreottiano. Al sindaco di Ceccano Andrea Querqui è bastato non osare troppo per restare in equilibrio con la composizione della sua prima Giunta comunale. Un mix calibrato tra esperienza e innovazione, tra visioni solide e energie fresche.
Cinque assessori ed una presidente del Consiglio per un mosaico formato da volti nuovi e profili navigati. Questa giunta non è una scelta obbligata ma una dichiarazione d’intenti: il territorio chiede cura e la squadra di Querqui ha risposto con una terapia collettiva. Che ora sarà più complessa: perché nei giorni scorsi sono state chiuse le indagini sulla precedente amministrazione e gli inquirenti hanno detto che il solo del quale sospettare è l’allora sindaco ma non il suo governo e nemmeno la sua maggioranza. Per il centrosinistra di Querqui i tempi di adattamento saranno necessariamente brevi. (Leggi qui: Querqui indossa il camice e mette a punto la sua Giunta. E leggi anche The Good Lobby, il caso è chiuso: accuse a Caligiore, non all’amministrazione).
Se son rose…

Il grande test, come recitava quell’antico adagio, è se son rose fioriranno. Ma intanto quella che sembra una giunta “di pace” è soprattutto una squadra che dovrà lavorare e portare risultati. Perché ora, i superstiti del centrodestra potranno mettere in piazza quelli raggiunti da loro e rivendicare che non furono frutto di corruttele.
Ceccano oggi ha una cura a base di finezza, visione e concretezza. Resta da vedere se passeranno gli esami; ma la ricetta è scritta, misurata e firmata. E di questi tempi, non è poco.
La ricetta equilibrata per far fiorire Ceccano
STEFANO BONACCINI

Inutile negarlo: i prossimi giorni saranno in tutto e per tutto dedicati alle analisi plurime sull’esito dei referendum e sui loro presunti significati politici. E con essi alla messa a punto delle varie strategie sugli effetti, in particolar modo da parte di chi ha “perso”.
E a tal proposito ci sono due modi per chiedere la testa di Elly Schlein, cioè della Segretaria del partito che più ha scommesso sui quesiti e che presenta il quadro più correntista. C’è il metodo “unno” ed il metodo Borgia. Ora, siccome Stefano Bonaccini è una mente fine, lui ha scelto di fare come Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia.
Tempo al tempo…
Che i suoi nemici o coloro che insidiavano la sua amante Vanozza li stendeva mesi dopo il “fatto”. Ed ovviamente essendo un Borgia lo faceva coi veleni. Poi c’è il metodo “unno”, quello con il quale invece una robusta parte dell’ala riformista dem ha di fatto in mano una cambiale grossa e con firma della Schlein. E la vuole incassare subito e con tanto di sangue a grondare.

Insomma, ci sono i riformisti soft ed i riformisti “avvelenati”, ma sono entrambi riformisti, figure politiche cioè in agguato su ogni scivolone dell’ala massimalista incarnata dalla leader e pronte a chiedere una decapitazione.
Dove sta la furbizia di Bonaccini nel non fare il sanculotto? Lui è di fatto un renziano rimasto nel posto che Renzi lasciò. Tuttavia sa benissimo che oggi se fai alcuni distinguo ci passi per magnanimo analista di una sconfitta seria, non per cacciatore di scalpi che su quella sconfitta vuole costruirci un putsch.
Tanto, siccome l’esito potrebbe essere lo stesso, tanto vale essere soft e mandare avanti gli altri ad ululare. Altri come Pina Picierno, Elisabetta Gualmini e Filippo Sensi. Lo scopo pare quello di invocare e convocare al più presto una Direzione per riflettere su “quello che serve per vincere le elezioni, su quello che ha funzionato e non funzionato”.
Due Direzioni distinte

Ma la prossima Direzione Pd, che già era in calendario, avrà il bilancio come unico punto all’Odg, perciò Bonaccini si può permettere il lusso di aspettare una convocazione ad hoc. E nel frattempo di fare il critico sereno ma tutto sommato blando. Anche per valorizzare quei 14 milioni di elettori che “vanno valorizzati, ben sapendo che non sono sufficienti” per vincere le politiche.
Perciò Bonaccini ha preferito sparare a palle incatenate su chi gongola, e non su chi ha permesso ad altri di non gongolare. “Fossi nella destra, tuttavia, eviterei certi toni di scherno: pochi o tanti che siano, i circa 14 milioni di elettori che hanno partecipato sono più della somma dei voti di tutti i partiti che sostengono il governo Meloni alle ultime elezioni politiche”.
“Dunque consiglierei di tenerne conto e non deriderli”. Tutto questo mentre pesta la belladonna nel mortaio da alchimista.
La differenza tra Borgia e Unni.
FLOP
VINCENZO DE LUCA

La banalità è un dono che Vincenzo De Luca proprio non si può permettere a anche a voler contare il fatto che lui amicoamico di Elly Schlein proprio non lo è mai stato. E che quindi, nell’accodarsi alla lunga schiera di personalità politiche chiamate a commentare l’esito dei referendum, gli potesse scappare un’analisi un po’ troppo piatta.
Certo, l’attuale governatore della Campania non riuscirebbe ad essere del tutto piatto neanche sotto ipnosi, però forse stavolta ci è andato vicino.
I precedenti con Elly

Il dato cardinale è che se non si mettono a recap i pregressi tra De Luca e l’attuale leader dem si capisce poco o si rimanda tutto al carisma belluino del personaggio. De Luca vorrebbe ricandidarsi per la terza volta come governatore della Campania ma una sentenza figlia dell’impugnazione del governo di una legge regionale glielo impedisce. Adesso però pare che Giorgia Meloni, giusto per non regalare la Campania a Fulvio Martusciello, è diventata aperturista.
Chi non ha mai voluto e mai vorrà De Luca in mandato ter è proprio Elly Schlein. Che oggi porta le stimmate di colei che ha “perso” il referendum. Perciò De Luca si fa piatto volutamente e nello spiegare l’esito del voto referendario in regione spara colpi di spingarda falsamente vellutati. Così: “sul referendum c’è stato un elemento di ideologizzazione eccessivo ed è stato sbagliato”.
Ora, chiunque principi in Italia un ragionamento sul tema dicendo che i referendum sentono l’usta delle ideologie dei partiti che su di essi gareggiano dice una cosa banale assai.
Inevitabile ideologia

Perché è ovvio che è così, anche per quelli famosi contro le trivelle sotto Matteo Renzi. Pretendere che i Partiti non appaltino le consultazioni di democrazia diretta sarebbe come pretendere che i Partiti rinnegassero la loro stessa ragione di esistere.
E ancora: “C’è il problema che quando si affrontano argomenti complessi lo strumento referendario non è quello più adatto”. Vero, i referendum sono spesso settati su temi “intorcinati” nel merito e stortignaccoli nella forma, ma è proprio per questo che si chiede ad un popolo di esibire una maturità settata sul momento in cui verrà chiamato ad esercitare un suo diritto primario.

Per De Luca invece “alla fine bisogna arrivare comunque in una sede parlamentare per affrontare i problemi e definire i procedimenti legislativi per risolverli”. Vero ma fino ad un certo punto, perché De Luca sta dicendo che i referendum sono inutili e che nelle Camere ci sia gente più preparata (vero ma non verissimo).
O quanto meno che chi ha provato a determinarne l’esito ha toppato. Ed è vero, ma non al punto da non capire che a “Vicienzo” questa verità dà un piacere sottile. Quello di chi sta affilando la lama sul capo del condannato.
Efficace ma un po’ banale.