
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 15 gennaio 2024
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 15 gennaio 2024.
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L’UNIVERSITA’ DI CASSINO

Il fascicolo è preliminare e la magistratura farà le sue verifiche nelle more di una presunzione di reato. Grave e plurima su diversi soggetti. Tuttavia pur sempre legata ad un format procedurale – Dio lo benedica – per cui un indagato non è un colpevole, ma solo un cittadino su cui la Procura sta effettuando verifiche. Presunzione comunque molto grave perché, sia pur solo presuntivamente, chiama in causa in un profilo corruttivo due cose. (Leggi qui: Pagavano e passavano il concorso anche se “la luna è viola”).
Il diritto di chi fa i concorsi di concorrere in maniera regolare ed il dovere di ottemperare alla mission di insegnante di sostegno con le skill giuste. Quelle verificate in punto di una rigorosa selezione che non metta docenti incompetenti ma “ardimentosi” a servizio di persone che dalla vita hanno già ricevuto batoste maiuscole. (Leggi qui: I prof che comprano il titolo ed i bimbi difficili lasciati soli).
Faccenda serissima, però…

Spiegato questo e senza alcuna affettazione ché la faccenda è comunque serissima va proclamata una cosa: senza paura di non stare tra gi accodati al comune sentire di pancia. Allo stato dell’arte e nel mainstream l’Università di Cassino è la più facile delle prede. Di un giudizio massificante e poco a traino delle regole del Diritto per cui “lì si fanno solo impicci”. Non è così, e sarebbe ignobile dimenticare il contributo che l’Ateneo della Città Martire ha dato: al sapere, alla formazione di professionalità altissime.
O comunque pronte per accedere al grande meccanismo del lavoro di rango, alla ricerca ed al decoro di un territorio intero. In quel posto lavorano, insegnano e studiano persone che sono molto di più degli errori che la magistratura contesta in forma di reati presunti ad un gruppo di censiti in fascicolo. In quel posto c’è gente che fa il suo dovere. Che si pone il dubbio su una lezione ben spiegata, che ascolta ed agevola ogni studente che si presenti allo sportello o in ufficio.
Quelli che seguono le regole
E che (con)corre per gradini di merito in un percorso didattico senza neanche sognarsi di truccare le carte. La loro frustrazione, il timore di essere assimilati anche solo ipoteticamente ad un format che oggi attiene solo le verifiche dell’Autorità Giudiziaria la capiamo. E siamo con loro.
Con ogni studente che faccia il suo dovere, con ogni docente che veda chiara la mission, con ogni impiegato che sappia quanto vale il suo operato. Perché indignarsi è giusto ed a tempo debito, ma fare fascio unico prima che quel tempo sia arrivato è da meschini. E noi non ci stiamo, ad accodarci.
Canne al vento mai.
RICCARDO MAGI

L’ultima festa, quella che ci ha piallato il fegato, è stata l’Epifania, la festa dei Re Magi. Quelli che portarono in dono al Salvatore oro, incenso e mirra. Ecco, il paragone finisce qui perché il solo gancio che serviva è tutto giocato sul cognome di Riccardo Magi, che non è né re, men che mai “mago”.
E che soprattutto non porta doni, ma analisi per certi versi indiscutibili. Partiamo da una considerazione di ordine logico e generale. Quando all’apice di un sistema complesso basato sul consenso e sull’affidamento di una delega c’è una struttura solida, cosa accade?
Che in punto di logica quella struttura non dovrebbe temere il confronto perché la delega che ha ricevuto è stata e si tiene così forte e marcata che nulla o quasi potrebbero scalfire la struttura stessa. Perciò, sempre in punto di logica, quella struttura apicale dovrebbe cercare il confronto con le strutture paritarie non solo perché può farlo, ma perché farlo conviene.
Il “primato” di Giorgia Meloni

E conviene perché così dai l’idea di essere democratico, istituzionale e pluralista pur sapendo che alla fine l’ultima parola sarà la tua. E’ un maquillage politico che funziona insomma, ma che pare che per Giorgia Meloni ed il Governo che presiede non funzioni affatto.
Ecco, Magi ha fatto un’analisi praticamente perfetta su questo strano e paradossale format. Con queste parole: “Finalmente un primato per Giorgia Meloni, se pur triste: in due anni la presidente del Consiglio ha chiesto ben 73 voti di fiducia, quasi 3 al mese”.
E secondo l’esponente di +Europa “più di qualsiasi altro governo, più di ogni esecutivo tecnico, nonostante la maggioranza solida che gode sia alla Camera che al Senato”. Insomma, Meloni non tiene abbastanza conto delle Camere, che pur sono parte essenziale dell’impalcatura istituzionale e costituzionale.
La chiosa di Magi è amara: “Ogni fiducia posta da questo esecutivo equivale a un chiodo sul coperchio della bara della democrazia parlamentare e corrisponde all’attività legislativa compulsiva e raffazzonata di un esecutivo che trasforma in carne da macello la prassi parlamentare e le istituzioni”.
Chi ha superato questo Esecutivo

In realtà Magi ha esagerato ma ha comunque sollevato un problema: perché a chiedere più voti di fiducia ancora del governo Meloni sono stati il Berlusconi IV ed il governo Monti. Solo che il primo non aveva i numeri dell’attuale esecutivo e non blaterava ogni giorno di agire in nome “degli italiani”. Ed il secondo era un governo tecnico ed emergenziale per fronteggiare la crisi finanziaria partita nel 2008.
C’è una soluzione? Tecnicamente no, ma Magi è un politico e ci prova. “Visto che gli appelli ai presidenti delle Camere sono caduti nel vuoto, chiediamo un urgente intervento al presidente Mattarella prima che il Parlamento venga definitivamente svilito nelle sue funzioni”.
Interventi a parte la radiografia è impietosa, ma reale. Perché con tre voti di fiducia al mese Meloni ha certificato una cosa che già si sapeva: lei non si fida di nessuno. Neanche della democrazia.
In attesa dei tre, eccone uno.
GIOVANNI ACAMPORA

L’ossatura dell’economia italiana è costituita dalle piccole e medie imprese. Ed uno dei linfonodi sta nell’Edilizia: se il mattone riparte significa che il Paese ha superato la crisi. L‘altro linfonodo che indica lo stato di salute è il Commercio. Non il grande commercio ma quello piccolo, al minuto, reale, di strada: se c’è gente nel negozio allora il Paese è vivo e vitale. È con uno sguardo attento al Paese Reale che la Camera di Commercio del Sud Lazio ha deciso di puntare ad una cura rivitalizzante per il Commercio.
L’ente guidato da Giovanni Acampora lo fa con dei contributi a fondo perduto per i pubblici esercizi. In campo ci sono 400mila euro per sostenere progetti con cui rilanciare le imprese attraverso la riqualificazione dei locali. Ma con uno sguardo al green ed alla sostenibilità.

Il target sono ristoranti, bar, pasticcerie, gelaterie… Per essere precisi: tutte le attività classificate con i codici 56.10.1 – 2 – 3. Il bando prevede il sostegno al 60% per le spese di ammodernamento, ampliamento, ristrutturazione dei locali, comprese le insegne. Si finanzia anche l’acquisto di nuove attrezzature e nuovi arredi funzionali alla riqualificazione. Rientrano nel bando l’innovazione tecnologica per ampliare il mercato (passare all’e-commerce), l’introduzione di strumenti web marketing. Vengono coperte anche le spese per pubblicità e promozione dell’impresa.
Copertura all’80% per le spese con cui migliorare l’impianto elettrico, l’acquisto di strumenti Hardware e Software per la gestione del locale, colonnine per la ricarica di veicoli elettrici.
Al di là dell’aspetto economico: è la capacità di visione del territorio ad essere importante, la connessione tra l’ente guidato da Giovanni Acampora ed il Paese reale. Quello cioè che va avanti se riparte il mattone e si riesce ad andare al ristorante.
Connesso con la realtà.
ANTONIO MISIANI

In Campania come commissario del Partito Democratico ce lo aveva messo Elly Schlein, questo sulla scorta delle ben note frizioni tra la segretaria dem ed il “governatorissimo” Vincenzo De Luca. Frizioni che sono giunte, come noto, a massa critica esattamente in queste settimane, quando la prospettiva delle elezioni regionali del 2025 ha riaperto gli angoli del ring.
Più di wrestling che di boxe, a dire il vero, questo a contare alcuni fattori cardinali. Il primo: che Schlein non vuole che De Luca si ricandidi per un terzo mandato. Il secondo: che De Luca ha fatto votare una legge regionale che lo consente e che però c’è una legge di rango nazionale che ferma la prima.
Il terzo: sui governatori di lungo corso il problema è nazionale e si interseca con quello del Veneto, dove Luca Zaia si trova nella stessa casella di “Vicienzo” ma con uno scenario di agio maggiore. Insomma, gli elementi per definire “grana” o “mezzo caos” tutto il concertato – come diceva Guareschi – ci sono tutti.
Il funambolo della Campania

Ecco perché in questo scenario la figura del senatore Antonio Misiani, commissario del Pd in Campania dopo che Elly Schlein aveva dato il primo segnale forte a De Luca, spicca per lungimiranza. E lo fa proprio in queste ore. Perché? Perché Misiani non solo sta reggendo la linea del Nazareno in un contesto nel quale tenerla in piedi è roba da funamboli bravi, ma sta anche agendo.
Come? Su tre fronti: il primo, quello istituzionale, per cui lui è la lunga mano di Schelin in una regione dove comanda De Luca. Il secondo: quelo per cui essendo lui il Commissario Pd deve comunque iniziare ad agire per disegnare uno scenario elettorale favorevole al partito.
E il terzo? Quello per il quale Misiani “avrebbe incontrato insieme a Mario Casillo, capogruppo dem in regione e ‘mister preferenze’, i partiti della maggioranza deluchiana”. Cioè e nello specifico Azione, Italia Viva e Avs. Lo scopo è quello di “sondare la prospettiva di una coalizione allargata ai 5 Stelle. Sullo sfondo ci sarebbe la candidatura di Roberto Fico”. Lo dice AdnKronos.
L’ipotesi-mastice: Fico

Di un uomo cioè che andrebbe a mettere d’accordo tutti e non tanto perché è…Fico, ma perché oggi, a superare l’impasse De Luca, qualunque candidato con potere unificatore sarebbe perfetto. Il fatto è che il governatore storico pare voglia fare una sua lista.
Perciò Misiani ha fiutato l’aria e capito che, se non disegna uno scenario strutturato in tempo, i voti dei campani in areale centrosinistra (e non solo) andranno a confluire dovunque De Luca voglia.
Perciò gli sta facendo terra bruciata sotto i piedi prima ancora che si stabilisca quale sia terreno reale di scontro. Ed il politica questa si chiama visione prospettica.
In agguato dietro le quinte.
FLOP
SCHILLACI-GIORGETTI

Su alcune cose noi italiani non impariamo: è genio di popolo, è indole di genti che hanno sempre lodato ed usato la furbizia e perculato i previdenti. Genti “formiche” che sbeffeggiano le cicale. Non importano il colore politico, il momento storico, la situazione specifica o il comune sentire: noi passiamo i nostri guai come si passa una febbre ma non ci mettiamo mai il pullover un mese prima quando è tempo di febbri.
Ci riammaliamo e scriviamo fiumi di cose inutili su quanto siamo avventati. Poi ricominciamo. Il guaio è che questo format a che a suo tempo descrisse alla perfezione Giuseppe Prezzolini potrà anche essere riconducibile al folklore o ai grandi moti della Storia nella più parte dei casi.
Tuttavia quando in ballo ed in combo ci sono la nostra beata inettitudine e le pandemia allora le cose cambiano. Eppure avremmo dovuto imparare, dal 2020. Ma no, noi non impariamo, e proprio alla fine di questo 2024 torniamo a parlare di quanto è stato messo in Legge di Bilancio per il Piano pandemico 2024-2028.
Cioè per quella cosa che, a conti fatti, potrebbe salvare la vita a milioni di noi se altre brutte faccende virali o batteriche dovessero minacciare le nostre esistenze. Il ministro della Salute Orazio Schillaci spiega e spergiura che le risorse ci sono, ma non è così. “Stiamo lavorando per prevedere in Manovra le risorse finanziarie per il nuovo Piano pandemico e per rispondere alle richieste delle regioni. In Finanziaria ci saranno le risorse per approvarlo. E’ un Piano moderno che guarda a tutte le emergenze“.
La forbice e le risorse necessarie

E quanto ci vorrebbe per mettere a terra un Piano Pandemico che non sia solo un vecchio fascicolo da cui togliere la polvere al prossimo attacco di un virus o simili? AdnKronos citava “una forbice tra 300 e 500 milioni di euro spalmati nei diversi anni dal 2024-2028. Se si troveranno i fondi, come ha assicurato Schillaci, il Piano pandemico potrà essere presentato a breve nella sua ultima versione”.
Sì, ma sarà una versione ritoccata (quando non taroccata) in rapporto e rispetto quella della cui bozza si era avuta menzione anche media ad inizio anno. Era quella curata a livello ministeriale da Francesco Vaia e rappresentava una vera mezza rivoluzione.
Con la “responsabilizzazione delle persone e delle Istituzioni. Sempre seguendo però le linee guida internazionali che nel campo delle malattie infettive sono il faro per tutti i Paesi, come abbiamo imparato durante la pandemia Covid”. Il dato però è che dal Mef guidato da Giancarlo Gorgetti si continua a puntare su un mood sparagino.
E come sempre noi italiani siamo in bilico tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che si può fare. Perché con la prevenzione pandemica ci fai solo prevenzione, ma non ci fabbrichi il consenso.
Memoria cortissima.
ROBERTO VANNACCI

Come al solito ha peccato di presunzione nel dare la sua analisi e come al solito non è saputo andare oltre la punta del suo naso. Magari coltivando quella che i Greci della Classicità chiamavano “mesotes”, cioè la misura, l’equilibrio. Che per inciso è una punta che guarda dritta solo all’ambito destrorso si una “carriera” politica incipiente e già sovranista al top di gamma. Roberto Vannacci, il generale Roberto, Vannacci, altro non ha saputo fare nel replicare ad Ilaria Salis sul tema detenuti che contrapporre il dolore di primi a quello delle loro vittime.
Così, tanto per bilanciare la polpa cartesiana di un ragionamento che forse avrebbe dovuto avere meno toni benaltristi e più spunti analitici. Ma vediamo l’ambito. Sulle carceri e sulle condizioni di chi vi è recluso Salis ha detto cose “partigiane” ma tutto sommato per parte condivisibili anche in chiave ecumenica.
Cosa ha detto la Salis sulle carceri

“L’anno scorso ho passato il Natale in carcere e so che per molti il periodo delle feste è ancora più duro del solito dentro questi luoghi. Il 2024 è stato un anno terribile per le carceri italiane”. Purtroppo è vero e l’eurodeputata di Avs lo ha ricordato: “Il numero dei suicidi ha raggiunto le cifre più elevate da quando vengono conteggiate e i detenuti sono costretti a vivere in condizioni degradanti, indegne di un Paese civile”.
Poi la chiosa: “Ci tengo a esprimere tutta la mia vicinanza ai detenuti, alle detenute e ai loro cari. Forza, resistete, ricordatevi che non siete soli”. Insomma, una serie di affermazioni magari non del tutto condivisibili, ma che partono da un assunto empirico.
Al di là del fatto che per la più parte di chi ci sta stare in carcere è giusto, questo non significa che stare in carcere debba essere più brutto di quanto già una sacrosanta privazione della libertà dopo un crimine accertato comporti. Purtroppo però il generale Vannacci non è riuscito ad andare oltre il contro-slogan.
Il distinguo che non serviva
E l’ha messa giù “emotional”. Con piene ragioni a voler contare quelle dei congiunti delle vittime di reati, ma del tutto fuori squadra con il contesto originario. Che non è quello di deprecare il carcere come metodo, ma di deprecare il carcere per com’è troppe volte. “La mia totale solidarietà va alle vittime della criminalità”.

Poi il solito distinguo di pancia ad indicare chi non avrebbe capito nulla. “Le feste sono il periodo più duro per i detenuti, dice la Salis. Mai una parola, da parte di questa sinistra livorosa, sediziosa e violenta, per le vittime della delinquenza. Cioè per le persone che quei detenuti hanno derubato, rapinato, ferito, violentato, ucciso”.
La chiosa è deamicisiana ma del tutto inutile, dato che enuncia valori e sentimenti comuni, non solo della destra di Vannacci. “La mia solidarietà va a loro, non ai detenuti che stanno scontando la giusta pena per le loro malefatte”.
Più greca che greco.
FABRIZIO PIGNALBERI

I giudici gli hanno detto no. Ancora. E questa volta lo hanno fatto senza toga. A respingere le accuse sono stati i componenti della Giunta per le Autorizzazioni della Camera dei Deputati. Si è pronunciata all’unanimità per l’insindacabilità delle opinioni espresse da Giorgia Meloni. Contro chi? Chi è il dante causa nei confronti della premier? Fabrizio Pignalberi, divenuto noto su scala nazionale dopo che la trasmissione Mediaset Le Iene gli ha dedicato varie puntate mettendo in dubbio il suo operato come consulente legale. (Leggi qui: Pignalberi quello delle Iene? Mai conosciuto. Anzi no).
Pignalberi ha querelato Giorgia Meloni quando non era ancora alla guida del Governo italiano ma la leader di Fratelli d’Italia all’opposizione. Le contestava di avere detto che Pignalbèri “non ha più nulla a che fare con FdI da alcuni anni” e che “ciononostante non avremmo potuto immaginare che fosse un truffatore“. A Giorgia Meloni era stato contestato il reato di diffamazione.
Le accuse

Dopo aver detto che “non ci saremmo mai aspettati che Pignalberi fosse un truffatore“, Meloni nella sua dichiarazioneaveva aggiunto: “Siamo pronti a costituirci parte civile nel processo contro di lui perché siamo parte lesa“.
Tutto, raccolto nel servizio secondo il quale Pignalberi “avrebbe conseguito all’estero una laurea in giurisprudenza non riconosciuta in Italia e aperto uno studio professionale di avvocato“. In tal modo, era stato raccontato da Le Iene, “avrebbe truffato diverse persone – anche anziane e in grosse difficoltà economiche – inducendole a farsi versare denaro contante e assegni, teoricamente destinati al pagamento di debiti contratti da tali persone con altri soggetti (come banche, enti per la riscossione, ecc.) e che lui, invece, avrebbe indebitamente trattenuto per sé“.
Nel servizio Tv si faceva ampio riferimento anche all’attività politica di Pignalbèri, descritto come fondatore del movimento Più Italia che avrebbe stipulato un patto federativo con Fratelli d’Italia, “di cui avrebbe peraltro sostanzialmente copiato lo statuto“. E “si riferiva inoltre della passata candidatura del Pignalbèri al comune di Frosinone nella lista di Fratelli d’Italia ed erano mostrate anche alcune fotografie che lo ritraevano insieme a Giorgia Meloni. Il servizio si concludeva con un appello diretto a Meloni a “fare qualcosa” dal momento che “siete stati voi i primi a dare credibilità a quest’uomo“.
Insindacabile

Nella querela a Giorgia Meloni, Pignalbèri precisa “di non aver mai riportato nessuna condanna“ e scrive che il 15 giugno 2021, uno degli intervistati nel servizio giornalistico “presso il Tribunale di Frosinone veniva ascoltato dal giudice nell’ ambito di un procedimento” e questi “riferiva la verità sui fatti, facendo cadere nei miei confronti tutte le accuse che da anni postava sui social finendo addirittura a Le Iene“.
Pignalberi sostiene di continuare “a subire dei danni in termini lavorativi, politici, oltre che personali, sulla base di una “sentenza” di condanna emessa dalla Signora Meloni, ma del tutto inesistente, alla luce anche dell’escussione della presunta persona offesa, il quale conferma la vera versione dei fatti, da sempre sostenuta dal sottoscritto“.
Per Montecitorio, Giorgia Meloni nel momento in cui faceva quelle dichiarazioni stava esercitando il suo mandato parlamentare e pertanto non può essere processata. La risposta a Pignalberi è stato un no. Un altro no, Pignalberi lo aveva incassato quando aveva provato a concorrere per la guida della Regione Lazio: i giudici avevano respinto la sua candidatura ritenendo che mancassero firme e candidati a sufficienza. Nel luglio di due anni fa lo avevano condannato per avere esercitato la professione di avvocato senza aver mai conseguito l’abilitazione: otto mesi di reclusione ed 11mila euro di multa. Ora il nuovo no.
Sindacabile.