
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 18 giugno 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 18 giugno 2025
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AMBROGIO SPREAFICO E JAGO

Ci sono storie che, pur nascendo in silenzio, parlano forte. Una chiesa sconsacrata, una comunità antica e due uomini molto diversi per vocazione e missione, ma uniti dallo stesso istinto: quello di restituire bellezza. È il caso della Madonna del Popolo di Anagni, che da reliquia architettonica sta per rinascere come fucina d’arte viva grazie a un gesto in apparenza semplice, ma in realtà potentissimo.
Ambrogio Spreafico, il vescovo che “vede” oltre le navate, ha deciso di restituire quella chiesa alla vita non riempiendola di Messe, ma di creazione. Non è solo un atto di generosità, è una scelta culturale e pastorale precisa: affidare un pezzo di storia a un artista significa scommettere sul presente. Significa fidarsi dell’immaginazione, credere che lo Spirito possa parlare anche attraverso il marmo, la polvere, lo scalpello. (Leggi qui: Anagni rinasce con l’arte: la chiesa dimenticata diventa il laboratorio di Jago).
Il vescovo e lo scultore

Jacopo Cardillo, in arte Jago, non è un semplice scultore. È un artigiano del sacro contemporaneo. Plasma il marmo come fosse carne e restituisce alla materia il tormento e la grazia della condizione umana. Ma soprattutto, ha un’idea precisa di arte: non come ornamento, ma come atto civile. Non come oggetto da museo, ma come detonatore di trasformazione sociale. Lo ha già fatto a Napoli, nel Rione Sanità, dove una chiesa abbandonata è diventata un presidio culturale. E ora lo farà ad Anagni, nella sua città.
Spreafico e Jago, a ben vedere, hanno fatto lo stesso gesto: hanno abbattuto un muro, tra sacro e profano, tra passato e futuro, tra istituzione e talento. Hanno capito che la bellezza non va musealizzata ma liberata. Che i luoghi, come le persone, possono rinascere solo se qualcuno ha il coraggio di rimetterli al mondo.
I gesti della Cultura

Si parla troppo di degrado e troppo poco di visione, per questo l’alleanza tra Spreafico e Jago ricorda quella tra Giulio II e Michelangelo. È una lezione: la cultura non ha bisogno di convegni, ha bisogno di gesti. Di spazi aperti. Di fiducia. Se ogni città avesse un vescovo disposto a cedere una chiesa a un artista, ed ogni territorio avesse un artista disposto a farsi carico del peso di una comunità, l’Italia non sarebbe un Paese che si lamenta del declino, ma che investe ogni giorno nella propria resurrezione.
Non si tratta solo di Anagni, né solo di un laboratorio artistico. Si tratta di capire che la vera modernità sta nel riscoprire ciò che abbiamo già, se solo qualcuno ha il coraggio di riaccenderlo. Spreafico lo ha fatto, Jago pure. Noi, almeno, impariamo a guardare.
Il marmo e la visione: se l’arte incontra il coraggio del sacro.
NICOLA OTTAVIANI

I veri amici non si vedono al brindisi della vittoria ma quando c’è odore di fumo e le sirene dell’azzeramento cominciano a ululare. È in quei momenti che si distingue il compagno di viaggio dal semplice passeggero. Vale nella vita e vale ancora di più in politica. E ieri sera Nicola Ottaviani lo ha dimostrato senza giri di parole: mettendoci la faccia, la penna e – come spesso fa – anche il tono di chi non le manda a dire. (Leggi qui: Frosinone, Ottaviani avverte gli alleati e blinda Mastrangeli).
Fratelli d’Italia prepara il colpo di scena? Bene, ma sappia che nel frattempo l’ex sindaco, oggi deputato e segretario provinciale della Lega, ha già blindato il suo successore Riccardo Mastrangeli con un intervento che è insieme scudo, monito e chiamata alla responsabilità.
Perché Ottaviani è così: quando fiuta la tempesta, non si mette al riparo. Si piazza sulla tolda, dà un’occhiata alla bussola e avvisa l’equipaggio. Non è tempo di giochi di palazzo, ha detto in sostanza. E se c’è qualcosa da correggere, lo si faccia. Ma dentro la coalizione, non con la dinamite in tasca.
La difesa del fortino

Ecco allora che la nota diffusa nelle scorse ore suona come un “basta giochi al massacro”: se volete cambiare qualcosa, venite a dirlo davanti al tavolo regionale. Altrimenti, è solo veleno. Ottaviani ricorda da dove è partita Frosinone, quel 2012 che sapeva di dissesto, e quanta fatica c’è voluta per riportare la città a numeri e decoro. Parla da padre politico, non da spettatore.
In fondo, la politica ha bisogno anche di questo: di chi, quando vede un sindaco sotto tiro, non fa finta di niente per convenienza ma alza il telefono, scrive una nota e si mette di traverso. Perché i fortini non si difendono solo con i muscoli ma con la memoria. E con il coraggio di dire: io ci sono.
Maschere via, insomma. A Frosinone si gioca una partita che non è solo amministrativa, ma di lealtà. E Ottaviani ha scelto da che parte stare. Forse non salverà la coalizione con un comunicato, ma intanto ha ricordato a tutti – amici e non – che la politica è fatta anche di riconoscenza, coerenza e un certo senso dell’onore. Perché quando piove servono gli ombrelli ma più ancora servono i compagni di squadra. E a Frosinone, uno ha già risposto presente.
Più che amici veri.
MATTEO SALVINI

Per quanto un posatissimo Carlo Calenda abbia recentissimamente detto di lui che “parla come un ubriaco alla terza grappa” Matteo Salvini sta vivendo una sua piccola golden age. E’ una cosa sottesa, non evidentissima, magari corroborata anche dagli ultimi sondaggi, ma che fuor di ogni valutazione pelosa testimonia un dato più sottile.
Quello per cui il leader della Lega ha capito che come capo politico funziona più che come ministro. Perciò, possedendo il fiuto basico di chi sa allamare il momento buono, ha deciso di tornare sui suoi vecchi emi: quelli pop-social. Ma con una serie di svisate tattiche che rendono questo Salvini qua molto meno beceramente grullo di quanto non appaia e moltissimo becero perché essere beceri è funzionale. Ed utile.
Il terzo mandato ai governatori

Partiamo da un dato: in ordine alla questione del terzo mandato ai governatori regionali Salvini ha capito due cose. La prima: che spingere dove Giorgia Meloni aveva già insinuato e proprio mentre Meloni era impegnata nel G7 canadese rappresenta un segnale preciso all’alleata-avversaria inside. Cioè equivale a prendere una posizione netta lì dove Meloni aveva fatto una blanda retromarcia, apparendo quindi più coerente.
La seconda: che segnatamente al caso Veneto evitare di ritrovarsi in agenda un inquilino “disoccupato” ed ingombrante come Luca Zaia e soprattutto evitare che con Zaia fuori gioco Fratelli d’Italia si prenda il “sacro” Veneto è cosa buona. Soprattutto è cosa leghista in purezza.
Perciò da due giorni Salvini non molla l’osso. E la dice tutta ma facendo la parte di quello che esprime opinioni “concettuali”, non interessate. E ovviamente non è affatto così.
Senza mollare mai l’osso

Cose come questa: “Il terzo mandato non è una battaglia per Tizio o Caio, vuol dire che sono i cittadini a scegliersi il loro sindaco o il loro governatore”. E ancora: “Se è incapace lo mandano a casa, anche dopo il primo mandato, se è bravo perché cancellare la possibilità di rieleggerlo e risceglierlo?”.
La briscola è evidente, a contare che Zaia è tra i governatori più acclamato di Paese ed addirittura a prescindere dalla sua collocazione partitica.
Parlare di rischio di autoritarismo è quindi “assolutamente esagerato. Citare Hitler o Mussolini a proposito della democrazia italiana del 2025 mi sembra curioso o sbagliato. La posizione della Lega è chiara da anni. Se gli altri condividono che sono i cittadini a dover avere l’ultima parola e non i partiti una legge si può fare in fretta”.
E i risultati di questa nuova “cazzimma” del segretario del Carroccio si vedono. Lo dicono gli ultimi sondaggi di Swg. Che spiegano come Fratelli d’Italia, Pd e M5S siano in calo e come la Lega abbia guadagnato punti.
La riprova nei sondaggi

“Fratelli d’Italia, che si conferma ampiamente primo Partito, cede lo 0,3% rispetto alla scorsa settimana e guida con il 30,4%. Passo indietro anche del Partito Democratico, che perde lo 0,1% e scende al 23,3%”.
“Giù anche il Movimento 5 Stelle che lascia sul campo lo 0,2% e ora vale il 12,3%. Alle spalle dei primi 3 partiti crescono Forza Italia, che guadagna lo 0,3% salendo all’8,3%, e la Lega, che cresce dello 0,2% e arriva all’8,1%. Su anche Verdi e Sinistra, ora al 6,7%”.
Insomma, essere Matteo Salvini non è sempre eguale ad essere un capopopolo avventato e grezzo. A volte i grezzi fanno cose sottilissime.
Orientato e rinato.
FLOP
LA LEGA DI ANAGNI

Ad Anagni, la Lega ha deciso di scendere in piazza… contro se stessa. Un comunicato infuocato sulla crisi occupazionale territoriale, duro come un difensore in area di rigore, ha colto tutti di sorpresa – soprattutto gli alleati in giunta. (Leggi qui: Paradosso o strategia elettorale? Lo strano caso della Lega ad Anagni).
Da una parte, un grido di allarme sui numeri INPS: “La disoccupazione è una ferita che sanguina quotidianamente” – fanno sapere dal Carroccio. Dall’altra, l’assessore all’Urbanistica Vittorio D’Ercole replica secco: “Abbiamo già introdotto strumenti e incentivi, non servono comizi, ma fatti concreti. Noi governiamo“ .
Autoaffondamento
Il colpo di scena? La Lega è attivamente in maggioranza dal 2018, e detiene deleghe chiave nel rilancio Urbanistico. È facile gridare che “non se ne può più“, ma più difficile sollevare proverbiali pietre quando si ha il martello in mano.

Dietro le quinte, sembra emergere un obiettivo: recuperare “visibilità e peso” all’interno della coalizione, in vista delle ormai vicine elezioni comunali. Di più: forse il Carroccio vuole riprendersi il ruolo guida nel centrodestra, in un Comune dove Forza Italia e Fratelli d’Italia sembrano definitivi padroni del gioco . O forse vuole ricordare alle società che stanno investendo ed assumendo ad Anagni che in città c’è pure lei.
Rimane il dilemma politico: agitare la crisi per ottenere uno slot elettorale o per sollecitare responsabilità concrete? È epoca in cui la politica è sempre più show e sempre meno governo ed Anagni offre una lezione chiara: sul palco si recita bene ma sul campo servono ben altri allenamenti.
Nota di garbo politico: se la Lega vuole davvero rilanciare il lavoro e l’occupazione, può aprire un confronto serio in Giunta e portare proposte di cui misurare i risultati, non solo l’eco mediatica. La sede naturale per la proposta è quella. Il resto rischia di sembrare un déjà vu di comizi più che di comunità.
Facciamoci del male.
ELLY SCHLEIN

Lei è un po’, in iperbole e senza alcuna allusione alla frivolezza delle generose donne oggetto degli anni ‘50 ovviamente, come Jessica Rabbit. E’ che “la disegnano così”. Elly Schlein è ormai una perenne vittima del suo basculare tra quello che è davvero e quello che dovrebbe essere come Segretaria di un Partito di massimo rango e con aspirazioni di Governo. Gli esempi non mancano.
Invoca la pace ma dice sì al riamo. Sta con Israele sulla guerra all’Iran ma non dimentica che Israele ha la macchia di Gaza ed ha attaccato esso per primo l’Iran. Va alle manifestazioni oltranziste ma negli spot decisori e decide esattamente il contrario di quello per cui va alle manifestazioni.
La manifestazione di sabato

Solidarizza con Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e con i “landiniani” ma quando le conviene si prende “tutto il cucuzzaro” del campo largo assai e dopo aver vinto va a dire che è così che si deve fare.
L’ipotesi più probabile, sempre proseguendo sul filo delle iperboli, è che Elly Schlein stia vivendo una crisi di identità che ha attaccato, come la scabbia, a quella parte di Pd massimalista che la segue ma che ormai da tempo non la capisce più.
Sabato 21 ci sarà una ulteriore manifestazione a Roma sulla guerra di Tel Aviv a Teheran. I media spiegano che Schlein non ci sarà di persona, ma che sono già pronte le debite surroghe ideologiche. Attenzione e riflettiamo: la segretaria questo fine settimana sarà “impegnata ad Amsterdam a una riunione dei socialisti europei, ma sarà presente sicuramente qualcuno del gruppo dirigente versione tardo-no global” (fonte, L’inkiesta).
L’equilibrio che manca

E l’ossimoro non è sfuggito a nessuno: Schlein sarà ad un summit olandese della sinistra europea moderata a cui afferisce il “suo” Partito mentre il “suo” stesso Partito a Roma tutto sarà meno che moderato.
Qui non è un problema di giustezza o meno delle posizioni etico-ideologiche, qui è un problema di assetto. E di rendere il Pd, perfino il Pd di Schlein, abbastanza omogeneo da poter sperare di vincere un giorno e sufficientemente disomogeneo da non dare l’idea di una caserma. Ma per raggiungere questo equilibrio serve maggior equilibrio. E se oggi stai con la Knesset ma non con Bibi e domani stai contro gli integralisti, e con Kiev stai un po’ qua un po’ “boh” e via discorrendo quella non è pluralità.
Quello è caos. Il caos che Elly Schlein si sta attirando addosso da molto, troppo tempo.
Un po’ troppo Pilatessa.