Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 2 luglio 2025

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 2 luglio 2025

*

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 2 luglio 2025.

*

TOP

GINO GERMANI

Luigi Germani (Foto © IchnusaPapers)

Ci sono carriere che iniziano con un discorso roboante e finiscono in una conferenza stampa. Altre che cominciano in silenzio e durano quanto mezzo secolo di storia locale. È questo il caso di Gino Germani, sindaco di Arce, classe 1950, consigliere comunale in maniera ininterrotta dal 15 giugno 1975. Quando mise piede per la prima volta in aula consiliare aveva 25 anni ed una testa piena di capelli e di idee. Oggi, a 74, ha qualche capello in meno ma una certezza in più: che la politica, quella fatta sul campo, tra buche da sistemare e delibere da firmare, è ancora la più alta forma di militanza civile.

Cinquant’anni senza interruzioni. In un Paese dove cambiano governi più velocemente dei calendari, l’inossidabile Germani è riuscito a essere per sei volte sindaco, altrettante consigliere e anche presidente della Comunità Montana “Valle del Liri” per sei anni. Non una meteora, ma una costellazione stabile nel firmamento politico ciociaro.

Questione di modi
Gino Germani

C’è qualcosa di commovente in questa longevità amministrativa. Non solo per il numero degli incarichi, ma per il modo con cui Germani ha saputo restare. Non restare fermo, ma restare fedele. Alla sua comunità, alla sua gente, persino al suo banco consiliare. E nemmeno un malore, l’11 ottobre 2020, lo ha davvero fermato. Ricoverato, debilitato, ma con la mente ancora rivolta a “come è andata la delibera”, a “che ha detto l’opposizione”, e “ricordatevi la determina sulle mense”. Convalescente, ma presente. Da remoto, ma in carica.

Alla politica non ha chiesto onori, ma lavoro. E la politica gli ha restituito rispetto. Come quello che gli ha tributato pochi giorni fa la sua vice, Sara Petrucci, a nome dell’intero consiglio comunale, consegnandogli una targa. Di quelle che si mettono sul comodino, per ricordarsi che a volte la dedizione vale più delle medaglie. Questo traguardo non è solo mio” ha detto Germani, dimostrando che dopo 50 anni la retorica non lo ha mai contagiato. “È di tutti quelli che hanno fatto un pezzo di strada con me”. Nessuna nostalgia, nessuna vanità.

In un tempo in cui la parola “politica” spesso richiama il teatrino, il calcolo, la rissa, Gino Germani è la smentita vivente. Un testardo artigiano del fare, capace di tenere insieme memoria e progetto. E in fondo, il messaggio che arriva da Arce è questo: che la coerenza, se praticata senza fanfare, può durare più di mille elezioni.

Cinquant’anni (in Aula) e non sentirli.

SARA BATTISTI

Sara Battisti ed Elly Schlein

Anticipare i tempi: è una cosa che la politica regionale raramente fa. È quanto accaduto con la proposta di legge firmata dalla Consigliera regionale del Partito Democratico Sara Battisti: l’istituzione di un Servizio di Assistenza Psicologica Primaria, pubblico e accessibile per tutti i cittadini del Lazio.

Sta diventando molto più di una buona idea. È il segno di un’opposizione che, anziché urlare, propone. E quando a metterci la faccia è persino la segretaria nazionale Elly Schlein, significa che quella proposta è finita sotto i riflettori giusti.

Il lancio nel Giardino del Verano
Sara Battisti sul palco al Giardino del Verano

La cornice – il Giardino del Verano – è sembrata perfetta: sobria, popolare, romana. Ma è il contenuto che conta. In un Paese dove il disagio psicologico è diventato la malattia silenziosa del nostro tempo – tra studenti ansiosi, lavoratori sotto pressione, famiglie fragili e vite precarie – proporre che lo psicologo diventi figura strutturale nelle cure primarie è più che una buona intenzione. È una rivoluzione silenziosa, concreta, civile. O come l’ha definita Schlein con un sorriso consapevole: “una piccola grande rivoluzione”.

L’evento del 1° luglio ha fatto notizia per la presenza del sindaco Gualtieri e per le parole nette della segretaria dem. Ma il vero protagonista resta il testo di legge che la Battisti ha portato avanti con tenacia. In un Consiglio regionale spesso ridotto a teatro di schermaglie e schermature, questa proposta è diventata la punta avanzata dell’opposizione alla Giunta Rocca. E non perché polemizza, ma perché mette sul tavolo una risposta a un bisogno reale.

Chiunque abbia avuto un familiare, un amico, un figlio in difficoltà sa quanto sia urgente rompere lo stigma e rendere accessibile il sostegno psicologico. Non a pagamento. Non tra sei mesi. Ma nella sanità pubblica, come diritto di prossimità.

Sfida al centrodestra
Elly Schlein e Sara Battisti

Il centrodestra, che sul tema Sanità nel Lazio è spesso affannato non liquida la proposta come velleitaria. La mossa della Battisti è un segnale diverso: quello di un’opposizione che non si limita a dire “no”, ma prova a scrivere il “come”.

La partita, certo, è ancora lunga. Ma se questa legge diventerà un faro anche a livello nazionale – e le parole della Schlein lo fanno intuire – allora sarà la dimostrazione che i territori, a volte, sanno indicare la strada molto meglio dei palazzi romani.

In fondo, la vera notizia è questa: in un’epoca in cui la politica sembra sempre più lontana dalle persone, c’è chi prova a costruire una sanità che assomigli alla vita. E a farlo partendo dal luogo più fragile – e più trascurato – che abbiamo: la nostra testa.

La linea del fronte passa per la testa (e il cuore)

FLOP

FRANCESCO ROCCA

Francesco Rocca

Dall’inizio della legislatura il governatore Francesco Rocca assicura che sanerà la piaga delle liste d’attesa negli ospedali del Lazio. «Riorganizzando i servizi — ha dichiarato di recente — siamo riusciti a passare dal 70% di copertura delle liste d’attesa nei tempi previsti dalla legge, che è ciò che avveniva con la giunta Zingaretti, al 96%» .

Ad evidenziare che qualcosa non sta andando per il verso giusto è però ora lo stesso ente presieduto da Rocca, che ha tenuto per sé la delega alla Sanità. La Direzione regionale salute, nel rapporto sugli interventi chirurgici eseguiti lo scorso anno nel Lazio, specifica infatti che sono stati operati meno pazienti di quelli in lista. Con situazioni come quella dell’Umberto I, dove di 2.435 interventi programmati ne sono stati eseguiti appena 402, anche se poi da un riconteggio emerge che gli interventi sono stati in realtà 9.549 su 11.348.

Il sistema di monitoraggio

Il sistema di monitoraggio delle liste d’attesa per gli interventi chirurgici ha registrato un totale di 137.364 interventi inseriti in lista e 115.659 interventi eseguiti, con una percentuale complessiva di interventi effettuati entro i tempi soglia, dunque entro quelli previsti, pari soltanto al 65,9%. Le operazioni inclasse A, quelle urgenti, hanno poi rappresentato il 41% di quelle inserite in lista e il 46% di quelle eseguite.

La Direzione salute ha appurato che vi sono notevoli differenze tra le diverse tipologie di interventi, con l’85% di quelli sull’occhio eseguiti a fronte del 44% di quelli al naso, alla bocca e alla faringe. Di più: «Le classi di priorità A (massima urgenza) mostrano una performance leggermente inferiore, con una percentuale pari al 64% di interventi eseguiti entro soglia, mentre per i pazienti oncologici in classe A la percentuale è del 65% » . Performance critiche anche per le operazioni all’orecchio e sull’apparato urinario, con percentuali inferiori alla media, rispettivamente 45% e 59,4%.

Da caso a caso
Francesco Rocca all’inaugurazione di una recente struttura sanitaria

Differenze significative anche da ospedale a ospedale, sia per le strutture pubbliche che in parte per quelle private convenzionate. Ecco così che, oltre al caso dell’Umberto I, al San Giovanni sono stati programmati 6.035 interventi e ne sono stati eseguiti soltanto 5.482, al Sant’Andrea ne sono stati programmati 5.364 e eseguiti 4.562, rispettando i tempi previsti solo nel 55,5% dei casi, a Tor Vergata sono stati compiuti soltanto 4.748 interventi dei 6.059 in lista, mentre al San Camillo sono state effettuate 8.181 operazioni su 9.948 programmate. Vi sono però anche esempi virtuosi, in strutture considerate di frontiera come il Grassi di Ostia, dove sono stati previsti 696 interventi e ne sono stati effettuati 712.

O a Terracina, dove ne sono stati programmati 243 e compiuti 259, e Fondi, dove in lista sono stati inseriti 277 interventi e ne sono stati effettuati 290. Un trend che in parte si riflette anche nelle strutture private: al Vannini eseguiti soltanto 383 interventi dei 718 previsti, all’Israelitico 822 su 1306 e alla Casa del sole di Formia 22 su 429. Ma anche qui ci sono esempi virtuosi come il Casilino, che a fronte di 3.813 operazioni programmate ne ha compiute 5.359.

Correzione in atto

Dalla Regione assicurano che, oltre a correggere alcuni dati, è in corso un lavoro volto a raggiungere l’obiettivo del 90% di interventi oncologici entro soglia entro il 2025. Aggiungono poi che il monitoraggio delle liste d’attesa è costante, che si sta potenziando l’attività chirurgica, che sono stati attivati percorsi specifici per pazienti con patologie ad alta complessità e che sono in corso audit e verifiche periodiche, «per individuare eventuali criticità organizzative e favorire il miglioramento continuo dei servizi » .

Infine è stato varato un progetto per tagliare le liste d’attesa sugli interventi alla cataratta, passando da 13.700 pazienti in attesa a 9.356.

L’inferno è lastricato di buone intenzioni (e di report regionali).

PIETRO ORESTA

Il generale Pietro Oresta

Ci sono frasi che pesano come pietre. E ci sono pietre che pesano più del dovuto perché gettate contro chi ha osato usare una parola scomoda: “benessere”. È bastato che il generale Pietro Oresta – comandante fino a pochi giorni fa della scuola allievi marescialli e brigadieri di Firenze – pronunciasse parole semplici, quasi paterne, per scatenare una reazione che sa di riflesso condizionato.

«Il vostro benessere e quello delle vostre famiglie viene prima di qualunque istruzione o procedura». Una frase che, letta fuori contesto, può sembrare retorica da motivatore. Ma pronunciata da un ufficiale dell’Arma, in una caserma segnata da un recente suicidio di una giovane allieva, suona come una richiesta: cambiamo qualcosa. O almeno, ascoltiamoci.

Silenzio e rimozione
Foto © Stefano Strani

Il risultato? Silenzio dai vertici, rimozione immediata, e una puntualizzazione tanto gelida quanto netta da parte del Comandante Generale Salvatore Luongo: «Disciplina è fedeltà assoluta. Oltre l’orizzonte della convenienza personale». Tradotto: prima viene il dovere, poi – forse – tutto il resto.

Ora, nessuno qui vuole mettere in discussione la necessità della disciplina in un corpo militare. Nessuno ignora che l’Arma dei Carabinieri sia fondata su valori solidi e codici rigorosi. Ma c’è una differenza sottile, e fondamentale, tra disciplina e obbedienza cieca. Tra dedizione e annullamento. È questa la faglia sulla quale si gioca il caso Oresta.

Il generale ha usato parole da padre. Ha fatto appello al cuore, più che al regolamento. Ha detto che aiutare un anziano a attraversare la strada vale più che sequestrare tonnellate di cocaina. Ha invitato i futuri sottufficiali a mettere la persona davanti alla divisa. E ha osato, con garbo ma con chiarezza, far emergere una ferita ancora aperta: quella della carabiniera di 25 anni trovata senza vita nella scuola, un anno fa. Una vicenda archiviata nelle carte, ma non nell’anima.

Lo prevede il regolamento
Foto © Stefano Strani

Il generale, in realtà non s’è inventato niente. Quello che lui dice è lo spirito dell’articolo 1 del Regolamento di Disciplina per i Sottufficiali dell’Arma. Autorizza i marescialli ad occuparsi anche dei privati dissidi se necessario per ricomporre l’armonia familiare. Pure se non è faccenda da codice penale ma da C’è Posta per Te.

Forse, a irritare davvero i vertici dell’Arma non sono state le parole, ma il contesto. Il fatto che a parlare fosse il comandante, non un giornalista o uno psicologo. Che lo abbia fatto nel luogo simbolico dove si formano i quadri del futuro. Che abbia fatto quello che oggi sembra essere il peccato capitale di ogni gerarchia: prendere posizione.

Eppure, l’Arma non ha bisogno di automi in divisa. Ha bisogno di ufficiali che sappiano comandare senza schiacciare. Che formino, senza opprimere. Che costruiscano autorità con l’autorevolezza, non con il silenzio.

Destituire un generale per un discorso che metteva al centro la persona, non è un atto di fermezza: è una rinuncia al dubbio, al confronto, all’autocritica. È, se vogliamo, un modo per dire che non c’è spazio per l’umano, se rischia di incrinare l’apparenza dell’ordine.

Se un giorno ci troveremo a chiederci perché i nostri giovani carabinieri si sentono soli, inascoltati, fragili, ricordiamoci di quando un comandante ha provato a dirlo. E l’hanno fatto tacere.

L’ordine non basta. Serve anche coscienza.