Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 30 aprile 2025

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 30 aprile 2025

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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 30 aprile 2025.

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TOP

GIORGIA MELONI

Giorgia Meloni

Pneumatici vulcanizzati o ricoperti, pneumatici originali ma scarsini e pneumatici originali e di ottima qualità. Decisamente ed a voler fare un’iperbole forte, Giorgia Meloni appartiene alla categoria numero tre. E se i motivi sono chiari ma non chiarissimi il dato crudo ci dice che quei motivi ci sono.

Questo a contare tra l’altro che il suo Governo è in carica ormai dal 2022 e che, per fisiologia, avrebbe dovuto risentire degli effetti di una usura che non lascia immune nessuno. Eppure le cose, pur essendo state un po’ così anche per l’esecutivo della premier e per il Partito che lei rappresenta, nel caso della Meloni sono andate molto a rilento.

Effetto leader
Palazzo Chigi

Nel senso che Fratelli d’Italia ancora risente in tutto e per tutto del benefico effetto una leader-governante che in quanto a briscole politiche non è seconda a nessuno.

Certo, la Meloni è una maga nel dare maquillage di cose altissime a cose per lo più banali. Ed è ancora più brava nel presentare alcuni indubbi insuccessi come supercazzole in cui si intravede la pinna caudale rosa di un obiettivo raggiunto. E tuttavia in democrazia parlamentare la politica è esattamente questo: la capacità di giocarti le tue carte al meglio anche quando il meglio magari non è arrivato.

A dare riprova dello smalto di Meloni (non certo dei suoi quadri, con i quali il discorso qualitativo sprofonda quasi nell’abisso) è arrivato l’ultimo sondaggio di Swg per il Tg La7. Che spiega senza mezzi termini come Fratelli d’Italia sia un Partito cresciuto ancor più, tanto da “staccare” il Pd.

La “sbornia” pop
Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Il report spiega poi che “il Movimento 5 Stelle cala, la Lega supera Forza Italia”. E questa fotografia in ordine alle intenzioni di voto se si andasse alle elezioni oggi ha i toni nitidi di quel che Meloni ed il suo partito oggi rappresentano per moltissimi italiani.

Una specie di mega sbornia pop e sovranista che però “acchiappa”, grazie anche al carisma della leader. “Fratelli d’Italia si conferma ampiamente il primo partito, guadagnando lo 0,3% e salendo al 30,3%.

La formazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni allunga rispetto al Pd, che rimane stabile al 22%. Proprio come certi pneumatici, che in curva e su fondo sconnesso danno comunque stabilità alla vettura.

Ottima tenuta di strada.

CHIARA FERRAGNI

Chiara Ferragni

Chiara Ferragni è tornata azionista di maggioranza della sua azienda. Non lo ha fatto con un colpo di scena social ma con un assegno da 6,4 milioni di euro. Ha messo mano al portafoglio e, tra addii strategici e silenzi eloquenti, ha riportato sotto il suo controllo quasi totale Fenice, la casa madre del suo brand. Una mossa coraggiosa, certo, ma anche inevitabile: quando il marchio sei tu, non puoi permetterti che affondi senza di te al timone.

Fuori Paolo Barletta, l’ex alleato più potente. Defilato Pasquale Morgese, che resta però una mina vagante, con abbastanza azioni per far rumore in tribunale. La Ferragni, intanto, si presenta con una narrativa nuova: meno favole e più realtà. Dimenticate la Chiara scintillante e perfetta dei tempi d’oro — ora si parla di riorganizzazione, tagli, ripartenza vera. E finalmente, si potrebbe dire.

Una Chiara più umana
Chiara Ferragni (Foto: Clemente Marmorino © Imagoeconomica)

Il punto è chiaro: Chiara ha deciso di metterci la faccia, ma stavolta anche il capitale. È diventata imprenditrice nel senso più concreto e meno instagrammabile del termine. Ha comprato il potere, ma anche tutta la responsabilità. Ora che è sola al comando, non ci saranno più soci da accusare né manager dietro cui nascondersi. Se va bene, è un rilancio. Se va male, è un naufragio in diretta.

Una domanda rimane: il brand Ferragni ha ancora appeal dove conta, cioè fuori dai confini italiani e fuori dalla bolla social? Lo scopriremo presto. Intanto, applausi per il coraggio. Ma occhio: il pubblico ora guarda con occhi diversi. E non perdona più.

Abito azzardato ma le sta benissimo.

FLOP

RENATO SCHIFANI

Renato Schifani (Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica)

Nell’anniversario dell’assassinio del segretario regionale del Pci Pio La Torre e del suo autista Rosario Di Salvo, eroi civili, esempi di coraggio, dignità e lotta senza compromessi contro la mafia, lo scenario che si è presentato ieri a Palermo ha dell’incredibile. Alla commemorazione ufficiale, in via Li Muli, sotto la lapide che testimonia il martirio per mano mafiosa avvenuto la mattina del 30 aprile 1982, non c’erano né il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, né alcun rappresentante del suo governo.

Assente anche la presidenza dell’Assemblea regionale siciliana, nelle mani di Gaetano Galvagno. Un vuoto istituzionale mai visto prima. Un vuoto che grida. Un fatto senza precedenti. Una rottura istituzionale che colpisce e indigna. I palazzi li hanno dimenticati.

Il presidente Schifani, uomo di Forza Italia, politicamente voluto alla guida del governo regionale da Marcello Dell’Utri, non ha trovato il tempo né la volontà di partecipare o delegare. Stessa scelta per Galvagno, presidente del parlamento siciliano, esponente di Fratelli d’Italia, cresciuto nella destra meloniana e politicamente vicino a Ignazio La Russa.

Il pericoloso disimpegno
Pio La Torre (Foto: Carlo Carino © Imagoeconomica)

Un vuoto istituzionale che segna un pericoloso scivolamento nel disimpegno morale. La destra al potere in Sicilia oggi non ha trovato il tempo o il coraggio per onorare un uomo che ha dato la vita per la lotta alla mafia. Un uomo che ha osato sfidare Cosa nostra in tanti modi concreti a cominciare dalla proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati che introduceva nel Codice Penale il reato di associazione di tipo mafioso e il sequestro dei patrimoni di provenienza illecita. Un uomo che ha unito il pensiero alla prassi, il coraggio alla legge.La memoria non è un accessorio.

È un fondamento. Dimenticarla – o peggio, ignorarla deliberatamente – è un atto politico. E oggi, il messaggio che arriva è chiaro: una parte delle istituzioni siciliane che sono nella maggioranza del governo e del parlamento dell’isola ha voltato le spalle alla storia antimafia di questa terra. Non solo alla sinistra, ma a tutta la Sicilia che resiste, che non si piega, che crede ancora nella legalità come orizzonte civile.

Chi cancella i simboli, i riti della memoria, apre la strada all’indifferenza. E l’indifferenza, in questa terra, uccide due volte. Siamo di fronte a un problema politico, ma soprattutto culturale: si sta recidendo, pezzo dopo pezzo, il filo che lega la Sicilia onesta ai suoi martiri. Non ricordare è già una forma di complicità. E chi governa senza memoria è già un pericolo per la democrazia.

Recessione pericolosa.

ANGELO BECCIU

Foto: © CNS photo/Paul Haring / Catholic News Service

In questi giorni concitati e successivi alla morte di Papa Bergoglio il suo era diventato un caso. Ed in un clima pre-Conclave in cui le correnti dei cardinali decideranno se dare continuità alla linea Bergogliana o se frangerla con un nome ortodosso il caso di Angelo Becciu era diventato…. cardinale.

Il porporato si era reso infatti protagonista di una sorta di diatriba per la quale lui richiedeva di essere nel novero dei 135 aventi diritto ad essere esentati dall’Extra omnes del Camerlengo ed al voto, ma su di lui gravavano ombre.

Ombre giudiziarie, per la precisione. Ieri mattina AdnKronos ha fatto sapere, in recap, che il cardinale Angelo Becciu, che ha sempre rivendicato il suo dovere di votare in Conclave per il nuovo Papa, potrebbe aver fatto “un passo indietro”. Su cosa?

Sulla sua tigna ad esserci ed a determinarlo per sua fiata, questo Conclave cruciale del 7 maggio. Ed invece, “a quanto si apprende da fonti qualificate, avrebbe deciso di fare un passo indietro e sarebbe questa la ragione per la quale non c’è stata una deliberazione da parte dei cardinali riuniti nella quinta Congregazione stamani”.

La “tigna” di esserci
(Foto: Andrea Di Biagio © Imagoeconomica)

Riassumiamo brevemente l caso: dato che Becciu sembrava non desistere sul suo caso ci sarebbe già dovuto essere un pronunciamento, che avrebbe anche “impugnato” una precisa disposizione scritta ed ostativa di Papa Bergoglio in limine vitae.

Quel parere non c’è stato perché pare insomma che Becciu lo abbia capito da solo, che andare al muro contro muro lo avrebbe visto soccombere. Ma a cosa? Al fatto che il porporato è stato condannato dal Tribunale vaticano.

In primo grado per peculato, truffa aggravata e abuso d’ufficio nell’ambito della compravendita del Palazzo londinese. E sempre da quanto di apprende (me è noto da tempo) a Becciu è stata anche comminata l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Nessun viatico

AdnK spiega che “nelle ore precedenti il portavoce del Vaticano, Matteo Bruni, aveva spiegato che i cardinali riuniti nella quinta Congregazione generale nel pre Conclave avevano parlato del caso del cardinale Angelo Becciu ma che non c’era ancora ‘nessuna delibera’.

Vero che intorno al caso Becciu sono emerse recentemente grosse perplessità: sull’attendibilità delle accuse, sul modo in cui sono state raccolte, sull’atteggimento avuto dal Promotore di Giustizia Vaticana. Dettagli che stanno ponendo il caso sotto una luce differente. Ma nonostante questo, il cardinale si è reso conto che le “macchie” sul suo nome non possono essere chiarite ora che la Sede è vacante: dovrà essere il prossimo Papa a disporlo.

Per il momento, quella situazione non può certo essere viatico per un voto sereno all’interno di un Consesso che dovrà eleggere un Pontefice. E dopo un predecessore che ha fatto della specchiatezza la più bella delle bandiere. Meglio allora farsi di lato e lasciare al successore di Francesco il compito di rileggere le carte.

Egredi, sacerdos.