Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 30 ottobre 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 30 ottobre 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 30 ottobre 2024.

TOP

ADOLFO URSO

(Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Senza giri di parole, senza trucchi lessicali: il ministro del Made in Italy ha detto con chiarezza che il futuro dello stabilimento Stellantis Cassino Plant è rischio. Fortissimo. Lo ha annunciato al presidente della Provincia di Frosinone Luca Di Stefano con una lettera: in cui gli scrive che per l’impianto di Piedimonte San Germano “c’è la possibilità di favorire l’attrazione di nuovi investitori che possano contribuire al rilancio del sito produttivo, garantendo non solo la continuità operativa dello stesso, ma anche un ampliamento delle opportunità produttive, eventualmente integrando nuovi settori innovativi e strategici per il futuro del Paese“. (Leggi qui: Stellantis, allarme rosso per Piedimonte: il ministero cerca già nuovi investitori).

In pratica? Il comparto dell’Automotive sta vivendo una fase rapidissima di riassetto in tutta l’Europa: le fabbriche di auto si stanno spostando sempre più in Cina e Nord Africa e la prospettiva è quella di un totale ribaltamento della situazione. Quella che per mezzo secolo ci ha visto produrre in Europa per vendere ad Oriente mentre ora si prospetta la produzione ad Oriente per vendere in Europa. La chiusura di 3 stabilimenti Volkswagen in Germania è la conferma di quanto il problema sia di sistema e non di Stellantis.

Raffaele Trequattrini

Chi ha una visione chiara del futuro sta agendo di conseguenza. Il professor Raffaele Trequattrini, commissario del Consorzio Industriale del Lazio, dal giorno del suo insediamento martella sulla necessità di convertire una parte dell’industria Cassinate e puntare sull’energia. Il presidente Corrado Savoriti appena messo piede nella sua nuova stanza di presidente in Unindustria Frosinone ha detto che la riconversione industriale è l’opzione al momento più credibile. Anche i sindacati, poco alla volta, stanno smettendo di recitare il vecchio mantra dei nuovi modelli che servono per salvare lo stabilimento.

Elkann: “Nulla da aggiungere”
John Elkann davanti alla foto del nonno Gianni Agnelli Foto © Imagoeconomica / Stefano Carofei

Se occorressero ulteriori conferme, il presidente di Stellantis John Elkann nelle ore scorse ha scritto una lettera al presidente della Commissione Attività Produttive della Camera, il leghista Alberto Gusmeroli. Lo ha informato che non andrà in Parlamento: la sua audizione in X Commissione per parlare di sviluppo dell’Automotive era prevista dopo l’intervento dell’11 ottobre scorso del Ceo Carlos Tavares. Nel quale non una sola volta è stata pronunciata la parola Cassino. Lapidario il presidente Elkann: “Non essendoci aggiornamenti dall’audizione dello scorso venerdì 11 ottobre da Lei stesso presieduta non abbiamo nulla da aggiungere rispetto a quanto già illustrato dall’amministratore delegato“. Posizione che spiazza il presidente della Camera Lorenzo Fontana.

Il fatto è che qui si continua a credere che a Palazzo Chigi ci sia ancora la Democrazia Cristiana e prima poi Giulio Andreotti se ne esca con una soluzione. Ignorando che nei mesi scorsi proprio Tavares disse che in queste condizioni uno o due stabilimenti Stellantis in Italia erano di troppo. (Leggi qui: Stellantis, Cassino non rischia ma gli altri si).

Foto © Imagoeconomica

Difficile credere che sotto la scure possa finire proprio Cassino Plant: lì sono in corso grossi investimenti. Ma le parole del ministro fanno capire con chiarezza che si stanno cercando nuovi investitori. Ed a scanso di dubbi aggiunge che sono in corso di valutazione le opportunità fornite dai fondi nazionali e comunitari, al fine di sostenere gli investimenti necessari per la modernizzazione dello stabilimento e per favorire il mantenimento e la creazione di nuovi posti di lavoro”.

Se in Germania ne chiudono tre, nulla di strano se qui ne chiuderanno due. Quello che è strano è altro: che nessuno stia lavorando sul dopo. O forse è proprio quello che sta dicendo il ministro Urso.

Realista ma con gentilezza.

MATILDE CELENTANO

Matilde Celentano

Quando si ha un ruolo pubblico, fosse quello del parroco nell’ultimo paese di provincia o quello di sindaco in uno dei più importanti capoluoghi della Regione, si hanno responsabilità. Che solo in parte sono scritte e codificate. Le altre derivano dalla sensibilità personale: sono le più dirompenti. Perché non discendono da un obbligo.

Come nel caso di Matilde Celentano, sindaca di Latina e da poco uscita con successo dal confronto con il suo organismo ed un cancro che stava cercando di appropriarsene. È un confronto terribile: per ogni essere umano. Perché non è una partita ma un percorso che spesso, ancora oggi, si conclude in maniera infausta e con una cerimonia tra incenso e fiori.

Lei l’ha affrontata a testa alta, senza piangersi addosso e continuando a svolgere la missione per la quale è stata votata. Quando lo ha rivelato (per rispondere ai deficienti da tastiera che guardandola in foto la accusavano di essersi fatta il botox ma invece erano chemio) ha dato un primo fortissimo incoraggiamento a tutti i malati oncologici in preda alla disperazione. C’è chi legittimamente finisce in ginocchio e chi percorre un’altra strada stando in piedi: vederlo con i propri occhi fa tutt’altro effetto).

Matilde Celentano

Per una donna la malattia è ancora più devastante. Perché colpisce anche i simboli dell’estetica femminile, come i capelli. Che per le donne sono essenza intima della propria personalità: tremate quando li tagliano, spesso significa che stanno dando un taglio anche alla loro vita.

Matilde Celentano ieri si è mostrata con serenità senza la parrucca che l’ha accompagnata in questi mesi aggiungendo discrezione alla sua discrezione sulla malattia. Mandando un nuovo potentissimo segnale: questa volta a tutte le donne che hanno dovuto affrontare il suo stesso percorso. Non c’è da vergognarsi, la malattia non è un’onta ed i capelli cortissimi che ricrescono sono una corona d’alloro che cinge il capo di chi ce l’ha fatta. E dimostrano che non bisogna finire in ginocchio: ma camminare a testa alta.

Esempi potentissimi.

LAURA BOLDRINI

Laura Boldrini (Foto: Livio Anticoli © Imagoeconomica)

Agganciare un’idea alla bussola etica che la sostiene e seguire una rotta dritta. Ed inflessibile. In questo, va riconosciuto oltre ogni credo politico legittimo, Laura Boldrini è inarrivabile. La sua lunga esperienza internazionale sugli scenari dei grandi drammi dell’umanità, il battage politico e, soprattutto, un senso morale cristallino fanno una magia netta. Quella di un’esponente della politica italiana che non deroga mai dalla sola rotta del pubblico servizio: quella che guarda agli ultimi.

Laura Boldrini non è (solo) una deputata dem di estrazione sinistrorsa, probabilmente è una delle ultime comuniste del Paese. In senso puro, schietto, piacevole o meno da un punto di vista della dialettica, ma certificata. Ed a mettere bollino alla natura della Boldrini ci sono le sue ultime considerazioni sui centri di detenzione per richiedenti asilo in Albania.

Per la deputata Pd ed ex Presidente della Camera non è mai stato un problema di legiferati-toppa. No, semplicemente essi “rappresentano un enorme spreco di denaro”. Uno scialo pubblicistico “che non ha niente a che fare con la gestione dei flussi migranti, ma solo con le necessità propagandistiche della presidente Meloni e del suo governo.

Migranti e caso Ceccano
Roberto Caligiore (Foto © Stefano Strani)

Necessità che, per ironia della sorte, sono mestamente naufragate nello scandalo (eticamente certo, giudiziariamente da certificare) che da 36 ore ha resettato l’amministrazione destro-centrista di Ceccano. E Boldrini indica anche dove va a fare perno questo bisogno pubblicistico dell’Esecutivo in carica.

La farebbe, a suo dire, “minando i diritti fondamentali delle persone a partire da quello d’asilo e usando risorse che avrebbero potuto essere spese per cose urgenti come, ad esempio, per la sanità. Si tratta di circa un miliardo, di cui 60 milioni già spesi con appalti affidati senza gare. Attenzione, qui l’analisi della Boldrini si fa puntuta e di merito.

“In deroga al codice degli appalti e gestiti dal ministero della Difesa, come se si trattasse di opere destinate alla sicurezza nazionale in una base militare”. Attenzione bis: proprio sul codice degli appalti verte una sugosa fetta dell’indagine su Ceccano e l’ex sindaco Roberto Caligiore. Poi la chiosa in punto di Diritto che, piaccia o meno, cassa la faccenda.

Cosa ha detto la Corte Ue di Giustizia
Un “barcone” di migranti

“La recente sentenza della Corte europea di giustizia ne smonta poi l’impianto giuridico e chiarisce che i paesi, per essere sicuri, devono esserlo in tutto il loro territorio e per tutte le categorie di persone. Sarebbero quindi esclusi dalla lista dei cosiddetti ‘paesi sicuri’ fornita dalla Farnesina. E “buona parte dei paesi inclusi Tunisia, Egitto e Bangladesh. Apprendiamo che i primi migranti diretti nei centri albanesi sono, appunto, egiziani e bengalesi.

A questo punto, secondo un ragionamento difficile da confutare, “i giudici italiani non potranno che conformarsi alla decisione della Corte europea di giustizia”. Perché anche al netto di un legiferato “indigeno” di rango varato in fretta a furia, certe ragioni procedurali comunque restano.

Ragione sontuosa.

FLOP

NICOLA MORRA

Nicola Morra. Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica

Alla fine sì, gli elettori liguri hanno “ragionato”. Certo, non lo hanno fatto come avrebbe sperato il genovese Nicola Morra, che in un post Facebook aveva scritto: “Ragioniamo”. A cosa si riferiva l’ormai ex candidato alla Presidenza della Regione lasciata al voto dai guai giudiziari di Giovanni Toti? La sua era un’esortazione a fare messe cartesiana di una facoltà costituzionale.

E non per far “dimenticare” le sue ciniche frasi all’indirizzo del vincitore Marco Bucci contraffortate dalle ancor più ciniche parola sulla defunta Iole Santelli. No, che pensasse che Morra ha perso raggranellando un melanconico 09% sbaglierebbe a di brutto. Memorabili furono quelle sue mezze liste di “proscrizione etica” in Commissione parlamentare Antimafia con cui venivano indicati i cosiddetti “impresentabili“. Fu grazie ad una di quelle, in cui finì Mauro Vicano, che, alla fine, a Frosinone ebbe gioco facile il centrodestra. (Leggi qui: L’indecenza dei 18 candidati ‘impresentabili’).

La politica aggressiva non paga
Mauro Vicano

Morra ha perso perché certo, la politica aggressiva non paga mai quando supera i limiti. Ma questa è l’Italia del sovranismo imperante, e in giro c’è chi ne ha dette di più e peggio di Morra, eppure sta ancora in piedi. Il vero dato che sta in polpa pura alla sconfitta del docente di filosofia è quello bicipite di un Movimento Cinquestelle terremotato dalle sue lotte tra leader e dell’insussistenza assoluta della ricetta di Giuseppe Conte.

Quella per cui il campo largo con il Partito Democratico è una chimera ondivaga e settata solo sulle opportunità di comodo. Morra ci ha messo (molto) del suo dimostrandosi un candidato evanescente e del tutto fuori asse rispetto al suo battage di studioso.

Un “misero 0.9% di preferenze”
Marco Bucci

Tanto che la definizione de Il Secolo, non certo un giornale a corto di ideologia, lo dipinge forse al meglio. “Con un misero 0,9% di preferenze, l’ex grillino ormai espulso, incassa il triste verdetto: la Liguria, per ora, gli chiude la porta in faccia”.
In un intero bacino elettorale a livello regionale sarebbero stati poco più di 2600 elettori a ritenere che Morra dovesse andare a governare apicalmente la Regione Liguria del dopo Toti.

E perfino l’idea, una volta vincente, con cui il candidato ha provato ad adescare consensi si è rivelata inutile. Quale? Quella del solito loop dei “puri versus corrotti”, della politica buona e di servizio contro quella profittatrice e stantia. Attenzione: non tutto quello che eticamente era stato consegnato a Morra era inutile o poco valido, e questo rende la sua sconfitta ancora più cocente.

Perché se il messaggio politico della eunomia possibile e del servizio assoluto non passa non è solo perché l’elettore di quelle faccende eticheggianti non ne vuol sapere. E’ anche perché magari la maggioranza del tuo target elettorale non ti ha ritenuto il testimonial giusto delle stesse.

Pesto genovese.