I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 1 novembre 2025.
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 1 novembre 2025.
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ROBERTO GUALTIERI

Non servono giubbotti antiproiettile, né reparti d’assalto: la vera corazza del sindaco di Roma si chiama legalità. Roberto Gualtieri ha fatto ciò che per anni è stato rimandato, evitato, nascosto sotto il tappeto: ha abbattuto due case abusive in mano a famiglie legate ai clan sinti, restituendo un pezzo di città alla legalità. E lo ha fatto con un blitz interforze, coordinato, civile e giusto. Proprio per questo ha ricevuto una minaccia a mano armata, diretta, feroce, firmata con tanto di fucile in braccio: “Questo è per te e la tua famiglia”.
Ma Gualtieri non si piega. Anzi, raddoppia. «Non ci fermeremo di un millimetro», ha detto. E in queste parole non c’è retorica, c’è la sostanza di chi crede davvero che Roma possa tornare ad essere una città dove le regole valgono per tutti. Dove non si abbassa lo sguardo davanti ai clan e dove un sindaco fa il sindaco: non l’equilibrista.
Il punto non è solo l’abbattimento di due villette. È la rottura del patto non scritto con l’illegalità. È il coraggio di dire no a chi si è sentito intoccabile per decenni. E’ lo Stato che non fa sconti.
La pagina più importante del suo mandato

Gualtieri sta scrivendo, mattone dopo mattone, la pagina più importante del suo mandato: quella della dignità e della giustizia. Non per la vetrina. Non per i consensi. Ma per Roma. E se questo significa ricevere minacce, allora è il segno che sta colpendo nel segno.
Chi oggi imbraccia un fucile contro un sindaco, domani troverà un’intera città a difendere quel sindaco. Perché Roma, finalmente, sta rialzando la testa.
La schiena dritta dello Stato.
DI STEFANO e STEFANELLI

Finalmente. Qualcuno che batte un colpo. Anzi, due. Quelli di Luca Di Stefano e Gerardo Stefanelli, presidenti delle Province di Frosinone e Latina, che per una volta – e con ottima scelta di tempi e toni – si sono presentati con una voce sola al cospetto del Governo. Destinataria della missiva: Giorgia Meloni. Per conoscenza: Francesco Rocca. Oggetto: l’ingiusta esclusione del Basso Lazio dalla ZES unica del Mezzogiorno. Tradotto: incentivi e agevolazioni per attrarre imprese, investimenti e lavoro che arrivano a un soffio dal nostro territorio. E si fermano lì.
In questi Paese i confini dello sviluppo sembrano tracciati con il righello e non con il buonsenso, le province di Frosinone e Latina sono tagliate fuori da un’opportunità storica. Perché? Perché i numeri di Roma – ricca, dinamica, capitale – drogano la media regionale. E il resto del Lazio paga dazio.
Ecco allora il colpo di reni, la mossa da scacchisti istituzionali: scrivere una lettera a quattro mani, con tono fermo ma propositivo. Proponendo due strade: o si inserisce anche il sud del Lazio nella ZES, oppure si attivano misure compensative serie. Come? Con una ZLS rafforzata, più aiuti, più incentivi, più equità.
Il ruolo di Teleuniverso

Il documento è nato in diretta tv, nello studio di A Porte Aperte su Teleuniverso e lì ha preso forma l’inedito asse istituzionale tra Ciociaria e Agro Pontino. Segno che quando le telecamere si spengono, il cervello resta acceso.
Non è solo una questione economica – quei 2 miliardi potenziali che rischiano di volatilizzarsi – è una questione di giustizia territoriale. Le imprese di Frosinone e Latina competono con quelle di Campania, Molise, Abruzzo. Ma non partono dallo stesso blocco. E questo non è più accettabile.
Sia chiaro: Di Stefano e Stefanelli non hanno risolto alcunché ma per la prima volta hanno ragionato come se il Lazio Sud fosse un’Area Vasta cioè un’entità da un milione di abitanti che sviluppa l’ottava economia in Italia. Hanno dimostrato che il territorio può ragionare insieme, marciare insieme ed insieme prendere posizione.
E ora tocca al Governo decidere se ascoltare o continuare a girarsi dall’altra parte.
Luca e Gerardo, l’asse del Sud del Lazio che alza la voce.
FRANCESCA CERQUOZZI

Senza vittimismo, senza retorica, senza cercare applausi. Ha reso pubblica la sua cicatrice: non per chiedere pietà ma per scuotere coscienze. È costato tanto al vicesindaco di Veroli Francesca Cerquozzi mettere in piazza il suo tumore al seno che l’ha costretta ad entrare in Sala Operatoria.
Ha dato l’esempio. Dicendo a tutte che il tumore al seno non è un tabù e non deve esserlo. E per dimostrarlo ha scelto di parlarne con sincerità, da un ruolo istituzionale, mettendoci la faccia, il corpo e la voce. (Leggi qui: “Io, la cicatrice e quei nuovi occhi”: il viaggio di Francesca oltre la paura).
Il messaggio più importante
Non ha detto: “Io ho vinto“. Ha detto: “Io ho capito“. Che la prevenzione salva la vita.
Che aspettare è pericoloso. E che la paura non può decidere per noi. Francesca non ha condiviso una storia, ha lanciato un allarme. Ha detto a tutte – e anche a tutti – di smettere di rimandare. Di prenotare quella visita. Di ascoltare il proprio corpo.

Ha parlato con autenticità, senza filtri, e proprio per questo è stata potente.
Nessuna posa da guerriera. Nessun “ce l’ho fatta” da post motivazionale. Solo una donna vera, che ha attraversato la tempesta e ora guarda il mondo con nuovi occhi.
Lì sta il suo coraggio: nel non aver cercato riflettori, ma nel trasformare un’esperienza privata in un messaggio pubblico.
Senza finti eroi e narrazioni costruite, Francesca ha portato verità. E ci ha ricordato una cosa semplice: la prevenzione non è un consiglio. È un dovere verso se stessi.
Il coraggio di mostrare la cicatrice.



