Top e Flop, i protagonisti di sabato 11 ottobre 2025

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 11 ottobre 2025.

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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 11 ottobre 2025.

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TOP

RUSPANDINI – RIGHINI

Massimo Ruspandini

Non servono sempre squilli di tromba o roboanti comunicati stampa per cambiare la direzione del vento. A volte basta un gesto, una parola soppesata, una presenza scelta con cura. È quello che sta accadendo – finalmente – dentro Fratelli d’Italia nel Lazio, dove dopo settimane di scintille e tensioni a distanza tra due protagonisti di peso come Massimo Ruspandini e Giancarlo Righini, si sta facendo largo una nuova stagione: quella della maturità politica. (Leggi qui: Ceccano, la Notte Verde accende la politica).

Il primo a rompere il ghiaccio è stato Righini. Due settimane fa, da Ceccano – terra madre di Ruspandini – ha voluto lanciare un segnale chiaro: la sua presenza non era una sfida ma un atto dovuto al suo ruolo di portavoce regionale. Nessuna prova di forza, solo istituzionalità. In un altro tempo, un altro Righini avrebbe marcato il territorio. Invece ha costruito ponti.

Il segnale raccolto
Giancarlo Righini

Il segnale è stato colto. E la risposta è arrivata nelle ultime ore: Massimo Ruspandini ha presenziato con entusiasmo e toni inclusivi all’ingresso di Alessia Macciomei in Fratelli d’Italia. Nessuna recriminazione, nessuna rigidità. Solo un messaggio: FdI è casa di tutti, anche di chi, pur arrivando da percorsi civici, condivide valori e prospettive. (Leggi qui: Macciomei entra in Fratelli d’Italia: a Ceccano cresce il gruppo).

Chi conosce davvero la politica sa che certi segnali valgono più di mille parole. I due si stanno parlando, per ora a distanza e non ancora ufficialmente. E un incontro chiarificatore è ormai nelle cose. Perché FdI, se vuole restare il motore della destra di governo, non può permettersi divisioni da recita scolastica.

Ruspandini e Righini lo hanno capito. E oggi iniziano a comportarsi da statisti, non solo da capicorrente.

La destra della maturità.

FABIO SBIANCHI

Fabio Sbianchi (Foto: Paolo Cerroni © Imagoeconomica)

La finanza ha i suoi riti, e quello di passaggio al vertice è tra i più delicati. Alla Banca Popolare del Frusinate non si è fatta eccezione ma il cambio non è solo di nome. Fabio Sbianchi – imprenditore visionario, innovatore seriale, pioniere della mobilità intelligente con Octo Telematics e delle assicurazioni del futuro con Wallife – è il nuovo presidente del Consiglio di Amministrazione della Popolare. E porta con sé un bagaglio che sarà particolarmente utile per il futuro dell’istituto bancario. (Leggi qui: Sbianchi, il banchiere atipico alla guida della Banca Popolare del Frusinate).

Chi immagina un presidente “classico”, dovrà ricredersi. Sbianchi è uomo da curve paraboliche più che da rettilinei, abituato ad anticipare i bisogni prima che diventino emergenze. «Nessuno si salva da solo» ha detto recentemente, citando Papa Francesco e chiamando a raccolta il sistema Paese intorno a una parola d’ordine: alleanza. Un termine che sa di comunità, di reti, di visione condivisa. E di economia che non sia solo numeri, ma anche inclusione e impatto.

Strumenti travolgenti
La direzione generale della Banca Popolare del Frusinate

Non è un caso che parli già di intelligenza artificiale come fu per il web e l’elettricità: strumenti che travolgono, se non si governano. Il suo sarà un approccio da regista dell’innovazione più che da semplice amministratore. E questa, per una banca locale è una rivoluzione gentile.

Oggi le banche di territorio arrancano per trovare identità e slancio, la BpF sceglie di scommettere su un uomo che di futuro ha fatto mestiere. Se l’intuito imprenditoriale è garanzia, allora le premesse ci sono tutte. In fondo, anche l’economia – come l’acqua – premia chi sa scorrere, senza perdersi.

Il futuro ha sete di coraggio

LEONARDO MARIA DEL VECCHIO

Gabriele Benedetto, CEO di Acqua e Terme di Fiuggi

C’è un modo per trasformare l’ordinario in eccellenza. E Leonardo Maria Del Vecchio, patron visionario di Acqua Fiuggi, lo ha appena fatto. Con la firma che lega per tre anni il marchio della storica fonte laziale all’Olimpia Milano, una delle squadre più blasonate del basket europeo, ha alzato l’asticella e portato la sua azienda… nell’Olimpo. (Leggi qui: Olimpia Milano beve Fiuggi: quando l’acqua incontra la leggenda)

Non è solo sponsorizzazione. È strategia. È visione. È un’acqua che non disseta soltanto ma si fa stile di vita, wellness e sport di altissimo livello. Se l’Olimpia Milano ha scelto di bere Fiuggi, non è solo per le sue proprietà depurative: è per ciò che quel nome evoca. Tradizione, qualità, italianità. In una parola: prestigio.

Leonardo Maria Del Vecchio nel nuovo stabilimento di Acqua Fiuggi

Del Vecchio, imprenditore appassionato e testardo, ha preso un brand che rischiava l’anonimato e lo ha rilanciato tra le stelle. Prima le terme, poi l’espansione nei mercati internazionali, ora il matrimonio con una leggenda del parquet. Tutto in punta di piedi, come chi non ha bisogno di urlare per far sapere che è arrivato.

L’accordo con l’Olimpia vale più di mille spot. È l’ingresso in un club esclusivo, dove l’acqua non è solo bevanda, ma simbolo di benessere e performance. E Acqua Fiuggi ora gioca nella stessa squadra di chi ha fatto la storia della pallacanestro. Anche questo, in fondo, è un canestro da tre punti.

Quando l’acqua fa canestro.

FLOP

IL SISTEMA PAVIA

L ‘ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Foto © Ansa)

C’è un momento in cui il brocardo latino “Quis custodiet ipsos custodes?” smette di suonare come un paradosso filosofico e diventa una domanda scomoda. Urgente. Bruciante. Il caso Pavia – con l’inchiesta che sfiora l’ex procuratore che guidò le indagini sul delitto di Garlasco – ne è l’ennesima, amara, conferma. Non tanto per le ipotesi di corruzione, che pure ci sono. Ma per la sovrapposizione inquietante tra i custodi della legalità e chi avrebbe dovuto esserne l’oggetto d’indagine.

Qui non siamo davanti al solito “furbetto del quartierino”. Le indagini raccontano di auto passate di mano a prezzi troppo vantaggiosi per sembrare casuali, di ristoranti stellati frequentati con la leggerezza di chi sa che pagherà qualcun altro, di rapporti simbiotici tra pm e imprenditori, tra investigatori e affaristi. Di una giustizia che si è fatta sistema, chiusa in una cerchia ristretta, autoreferenziale, in cui la fedeltà conta più della trasparenza.

Ed è questo il punto che brucia: il sistema. Non il singolo magistrato sotto inchiesta, che avrà modo di spiegare e difendersi (giustamente). Ma l’ecosistema che si è retto troppo a lungo su una fiducia cieca, quasi sacrale. Perché quando è il pubblico ministero a firmare la richiesta d’archiviazione per un nome pesante, non ci si chiede se sia giusta o sbagliata. Si presume che sia giusta per definizione.

L’autoassoluzione
Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica

Ma anche la nuova inchiesta che sfiora il magistrato lascia spazio a perplessità. Perché l’Accusa dice che abbia preso auto a prezzi di favore, la Difesa ribatte che tutto è stato pagato con puntuali rate: possibile che prima di mettere toghe e divise in pasto al pubblico ludibrio non siano state controllate cose così elementari?

La domanda è scomoda, ma inevitabile: fino a che punto un sistema può autogiustificarsi? E fino a quando il cittadino potrà – o vorrà – continuare a delegare la propria fiducia a occhi chiusi?

C’è un rischio più grave della corruzione stessa: è il disincanto. È l’idea che anche nel tempio della giustizia si possano stringere patti, scambiare favori, blindare silenzi. E allora tutto si sfalda: la credibilità, la legittimità, la fiducia. Tutto.

Il cortocircuito della fiducia cieca