
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 14 giugno 2025
*
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 14 giugno 2025.
*
TOP
ROBERTO GUALTIERI

In una sala gremita di emozione e senso di giustizia, tra certificati, spumante e sorrisi che commuovono più di mille discorsi, ieri Roma ha smesso di essere solo Capitale e si è fatta madre. È successo nel momento in cui il sindaco Roberto Gualtieri, con una firma, ha riconosciuto a sei bambini e alle loro due madri ciò che è sempre stato sotto gli occhi di tutti: una famiglia.
Non una forzatura. Non un artificio giuridico. Ma la fotografia più vera della realtà: due donne che si amano, che crescono una bambina o un bambino, e che ieri – grazie alla storica sentenza della Corte Costituzionale del 22 maggio – sono finalmente diventate, anche per lo Stato, entrambe genitori. Non “genitore 1” e “genitore 2“, ma semplicemente: mamma e mamma.
Un passo che pesa

È un passo che pesa. Non solo per il carico simbolico – che pure è enorme – ma per quello che significa sul piano pratico: una bimba che può essere accompagnata a scuola, portata in ospedale, tutelata legalmente da entrambe le persone che la amano. Basta deleghe. Basta umiliazioni. Basta tribunali. È il trionfo della normalità su decenni di ipocrisie.
Roberta e Sara, come le altre coppie che hanno firmato insieme al sindaco, sono state le protagoniste silenziose di una lunga battaglia. Non si sono imposte con slogan urlati, ma con la forza ostinata della verità: una verità fatta di biberon, notti insonni, abbracci e primi passi. E ieri, con la loro bambina tra le braccia, hanno alzato lo sguardo verso uno Stato che, per una volta, ha deciso di ricambiarlo.
Il sindaco Gualtieri ha fatto quello che ogni amministratore dovrebbe fare: applicare la legge e, al tempo stesso, incarnarne lo spirito. Non ha improvvisato. Ha scelto. Ha detto chiaramente da che parte vuole stare: quella delle famiglie reali, non di quelle da depliant. E lo ha fatto con sobrietà istituzionale e umanità politica. Senza proclami, ma con una penna e un gesto di civiltà.
Civiltà, non bandiere

Perché la civiltà – ricordiamolo – non si misura con le bandiere appese alle finestre, ma con i diritti riconosciuti a chi, troppo a lungo, è stato ignorato o guardato con sospetto. E Roma, ieri, ha dato un esempio a tutto il Paese. Ha detto: questa è una città che sa crescere, che sa accogliere, che non ha paura di guardare il presente e riconoscerlo per ciò che è.
C’è ancora molto da fare. La strada verso la piena parità – per le famiglie con due papà, per chi si trova ancora incastrato tra normative arretrate e pregiudizi istituzionali – è ancora lunga. Ma intanto, il Campidoglio ha tracciato una direzione. E nel giorno in cui si prepara al Roma Pride, Roma ha dimostrato di essere all’altezza del suo nome. Urbs, città. Ma anche civitas: comunità. Dove l’amore, finalmente, trova spazio nei registri dell’anagrafe. E nel cuore dello Stato.
Il giorno in cui Roma ha scelto di essere madre
LUCA DI STEFANO

C’era una volta un cinema. Anzi, c’erano più cinema. E poi, come in una pellicola in bianco e nero dal finale amaro, svanirono. A Sora – la città che ha dato i natali a Vittorio De Sica, genio del neorealismo, premio Oscar, regista di “Ladri di biciclette” – da troppo tempo il grande schermo era solo un ricordo. Una nostalgia da raccontare ai nipoti, come il profumo dei pop-corn o le mani che si sfioravano al buio.
Ma oggi la trama si ribalta. Il Comune ha messo in moto la macchina dei sogni: ha deciso di acquistare il Supercinema, storico edificio nel cuore cittadino, per restituire a Sora la magia del cinema. Il mutuo? 350mila euro, stipulato con la Cassa Depositi e Prestiti. L’obiettivo? Molto più di un restauro: è una dichiarazione d’amore alla cultura.
Una città senza cinema è come un film muto

C’è qualcosa di simbolico, di profondamente poetico, nell’idea che proprio nella città dove De Sica ha mosso i primi passi si torni a investire in un luogo capace di far sognare. Il Supercinema – incastonato tra via Settembrini e Lungoliri Cavour – era più di una sala: era un rito. Lì si rideva, si piangeva, si cresceva. Lì si imparava a guardare il mondo anche attraverso gli occhi degli altri.
Ora, con il via libera alla formalizzazione del contratto di acquisto, Sora riporta a casa un pezzo della sua anima. Il prestito sarà ammortizzato in 40 rate semestrali a tasso fisso, ma il vero tasso d’interesse è quello culturale: altissimo. Perché non si tratta solo di pareti e platee, ma di restituire un cuore pulsante alla vita sociale della città.
Di Stefano, regista di un nuovo finale

Il sindaco Luca Di Stefano, che fin dall’inizio del suo mandato aveva promesso di riportare il cinema in città, ha trovato il modo di tradurre l’intento in fatti. Il progetto non si limita alla riapertura di una sala, ma punta a creare un contenitore culturale polivalente: cinema, teatro, conferenze, rassegne, eventi.
Un centro nevralgico per la creatività e l’incontro. Un luogo per ridere insieme, per riflettere, per vivere. In un’epoca dove tutto scorre su piccoli schermi individuali, Sora rilancia con una scelta controcorrente: un grande schermo condiviso.
Il paradosso era evidente: Sora, patria di uno dei più grandi registi italiani, non aveva più una sala cinematografica. Ora, quella ferita viene ricucita. E lo si fa con un investimento strategico, inserito nel Documento Unico di Programmazione del Comune, che guarda al futuro senza dimenticare il passato.
Come diceva Charlie Chaplin: “Un giorno senza sorriso è un giorno perso”. E Sora, da troppo tempo, aveva perso il sorriso magico del cinema. Ora, grazie a questo passo coraggioso, potrà tornare a brillare di nuova luce. Quella riflessa, certo, sullo schermo. Ma soprattutto negli occhi degli spettatori.
Sora riaccende il proiettore.
ANNALISA MUZIO

Chi dice che l’Urbanistica sia roba da tecnici non ha mai assistito a un Consiglio comunale in cui si pianifica il volto di una città. Latina lo ha fatto. E con il piano particolareggiato di Borgo Sabotino – approvato con la sola astensione dell’opposizione – ha deciso di cambiare marcia. Niente più cerotti sulla mappa, ma una visione d’insieme.
Il progetto firmato dall’assessore Annalisa Muzio e difeso con forza dalla sindaca Matilde Celentano è tutto tranne che conservativo. Si sposta il campo sportivo in una nuova area, si pianifica una piazza multifunzionale, si inseriscono spazi verdi, si immagina un centro aggregativo. In sintesi: si dà un’anima urbanistica a un borgo strategico, connesso alla Marina e cruciale per la rinascita di una periferia che può diventare modello.
Il cambio di ruolo

L’opposizione si è astenuta, parlando di mancanza d’istruttoria. Ma la scelta della giunta è chiara: trasformare Sabotino da luogo ai margini a snodo centrale per identità, mobilità, servizi. Non più una macchia incollata alla città, ma una sua estensione pensata, condivisa, viva.
E non è un caso che la sindaca abbia sentito il bisogno di mettere la faccia su questo progetto. Perché, in un’epoca in cui tutto è immediato, servono amministratori che sappiano guardare oltre il ciclo di mandato. Non per intestarsi meriti, ma per gettare fondamenta. Qui non si inaugurano panchine, si pianifica comunità. Il campo sportivo sarà spostato, sì, ma per far posto a qualcosa che ha più senso per chi abita il borgo: una piazza da vivere, un centro di relazioni. La “visione” evocata dalla sindaca Celentano non è solo un concetto da conferenza stampa. È scritta nei piani, negli atti, nei progetti. E per una volta – finalmente – si parla di politica con la P maiuscola: quella che si sporca le mani con i metri quadri, i vincoli urbanistici, le visioni a dieci anni.
La difesa della sindaca

Nel dibattito sui social – che spesso confonde la politica con il tifo da bar – si è insinuato anche un certo maschilismo, a colpire chi ha osato proporre, progettare, firmare. La sindaca ha risposto con nettezza e con una parola semplice quanto preziosa: rispetto. Non per l’assessore Muzio in quanto donna, ma per l’assessore Muzio in quanto amministratrice competente, che ha messo testa e coraggio in un’idea concreta di città.
Latina, oggi, mostra che l’Urbanistica non è più il libro dei sogni. È una disciplina che può – se usata bene – restituire senso alle periferie e futuro ai cittadini. E se Borgo Sabotino cambierà volto, sarà perché qualcuno ha avuto il coraggio di disegnare prima ancora di costruire.
Il compasso del futuro
CRISTINA PRANDI

Nel 1400 ed in piena bolla storica tra Umanesimo e Proto signorie avere una università sul proprio territorio faceva figo. Tuttavia non era solo una questione di prestigio, era l‘afflato della storia che iniziava a marchiare le società di allora. Fu per questo motivo che nel 1404 nacque l’Università di Torino.
Come sempre dietro c’era un principe: Ludovico di Savoia-Acaia chiese al Papa di Avignone, Benedetto XIII, di formare l’apposita bolla e l’ateneo nacque ufficialmente. Da allora sono passati più di sei secoli ed in sei secoli l’Università di Torino non aveva ma avuto un rettore donna.
Oltre sei secoli di attesa

Fino ad una manciata di ore fa, a dire il vero, quando la docente di chimica Cristina Prandi è stata eletta nuova rettrice. E sì, si tratta della prima rettrice donna dopo quasi 620 anni. Da quanto riportano i media piemontesi la neo rettrice è “passata” al secondo turno delle elezioni e lo ha fatto superando il quorum di 1.411 voti, il che le ha permesso di staccare il giurista Raffaele Caterina.
Non è un fatto da poco, non lo è perché anche quello accademico come tanti altri universi afferenti il sistema complesso della società italiana ed occidentale, è in ritardo. La Prandi non è solo il totem di una conquista che per sedimentare e trovare epifania ci ha messo sei secoli, ma è soprattutto la prova provata che il mondo deve cambiare. E che distinzioni e paletti di genere in una società che risente ancora di marcati orpelli giolittiani devono scomparire. E stemperarsi nella piena ed incondizionata valutazione dell’individuo e delle sue eccellenze.
Le “scienze dure”

La rettrice Prandi succede a Stefano Geuna e sarà ufficialmente in carica a partire dal primo ottobre. E quella della Prandi è una svolta duplice, perché si tratta di una carica di vertice afferente le cosiddette scienze dure (scienze esatte, scienze naturali). E lei, cosa ha detto una volta saputo della vittoria?
“Ringrazio chi mi ha supportato e anche quelli che non mi hanno votato, siamo pronti per lavorare insieme“. Ora la sfida sarà internazionalizzare l’ateneo e renderlo amministrativamente smart.
E i presupposti sembrano davvero esserci tutti.
Magnifica.
FLOP
PINO SCHIBONI

In principio fu Ciacciarelli. Poi venne Schiboni. E infine arrivarono i subemendamenti. Una legge che doveva rilanciare i locali abbandonati nei quali un tempo c’erano cinema, teatri e anche scuderie tra i ruderi agricoli, sta invece mettendo in scena uno spettacolo degno di Ionesco. Assurdo, grottesco, con colpi di scena, attori che recitano copioni diversi e un pubblico – cioè i cittadini – lasciato fuori dalla sala in attesa che qualcuno si decida a dare il via allo spettacolo.
Succede alla Pisana, sede del Consiglio Regionale del Lazio, dove la tanto attesa legge sull’Urbanistica e la valorizzazione dei luoghi della cultura si è trasformata in un polveroso giallo legislativo. Un giorno pronta per il debutto, il giorno dopo riscritta daccapo, ora messa in stand-by con proroghe, rinvii e tensioni che nemmeno nelle prove del Macbeth.
In principio fu Ciacciarelli

Tutto comincia con la versione originale firmata dall’allora assessore Pasquale Ciacciarelli (Lega), che nel tentativo di snellire le maglie urbanistiche e dare nuova vita a ciò che aveva lasciato il settore culturale, aveva scritto una norma capace di trasformare i cinema dismessi in supermercati lasciando uno spazio per attività culturale. La rivolta degli addetti ai lavori – artisti, produttori, registi e tecnici – non si fa attendere: una standing ovation al contrario. Fischi e proteste che portano la giunta Rocca a rivedere tutto.
Nel frattempo il dossier passa al nuovo assessore Giuseppe Schiboni, di Forza Italia. Schiboni si presenta con un nuovo copione l’11 giugno, promettendo modifiche e tagli alle parti più esplosive (addio piscine nei ruderi, per ora). Ma il tempo di sedersi e leggere le prime righe in Aula e la legge già inciampa: slitta la discussione, viene prorogato il termine per i subemendamenti e la prossima messa in scena è fissata per il 18 giugno. Giorno in cui, realisticamente, si annuncia l’ennesimo nulla di fatto.
Lo scontro interno

Nel frattempo, dietro le quinte si consumano le vere tensioni. Quelle tra l’area di Forza Italia che fa riferimento al senatore Claudio Fazzone (nume tutelare di Schiboni) e quella che fa riferimento all’area romana che esprime in Aula Giuseppe Cangemi.
Intanto il centrosinistra si allena per lo scontro, con i Dem e Marietta Tidei (Iv) pronti ad affilare le repliche contro una legge che, dicono, rischia di essere un condono mascherato, travestito da rilancio culturale. I più scettici nei corridoi della Regione sono già pronti a scommettere: “Vedrai che finisce tutto a ottobre”. Perché quando in Aula c’è più voglia di riscrivere che di votare, la sensazione è che il sipario si alzi solo per coprire la retromarcia.
Nel frattempo, gli operatori culturali del Lazio restano a guardare. Con un piede sul palco e l’altro nella burocrazia, aspettano una norma che li consideri non solo come comparse ma come protagonisti. Per ora, però, la legge più attesa della stagione è rimasta bloccata in camerino. E come spesso accade nella politica, anche qui c’è un grande assente: il pubblico.
Quando il sipario resta chiuso