
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 15 febbraio 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 15 febbraio 2025.
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DON DINO MAZZOLI

“Oggi ricorre la memoria di San Valentino, al quale affidiamo la protezione degli innamorati. Invochiamone l’intercessione affinché pongano sempre al centro della loro relazione l’amore, quello fatto di sentimenti autentici”. E ancora: “Quell’amore che non è invidioso, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità”.
Un inno quasi “laico”, tanto laico da diventare la forma più alta di purezza cristiana da parte di un “puro” che, per fortuna, ha le mani sporche. Perché Don Dino Mazzoli è così, lui odia i panni lindi di chi sa solo enunziare. Lui si mette in gioco facendo giocare, si offre coinvolgendo. Ed è catodicamente molto a suo agio in questa veste prog e sacrale al contempo.
E alla fine arriva a proporti un vero “post etico” cogliendo l’occasione della ricorrenza di San Valentino di ieri. Don Dino è parroco in una delle più popolose località di Veroli. Ed è uno che sa stare talmente in mezzo alla gente, stimolandola a riscoprire i suoi lati più probi, che se Dio avesse avuto mai bisogno di un press agent lui sarebbe stato quello perfetto.
Giochi contro la strada

Lui è quello che per togliere i bambini dalla strada li intratteneva all’oratorio con i giochi poveri. Giochi intuitivi, coinvolgenti, mai asettici e sempre di gruppo. Perché il vero Dono sta nella beatitudine delle collettività, dei sistemi complessi in cui impari l’amore guardandolo formarsi negli occhi di decine di altri.
E per ieri Don Dino, autore di format social, content-creator e pastore con il sorriso al posto della tigna, se ne è inventata un’altra. Il claim potrebbe essere questo: “Vuoi stupire la donna che ami? Portala a messa”. Cioè: se ami una persona portala nel posto dove il concetto di amore ha trovato la sua significazione più piena. Come? Celebrando il santo patrono degli innamorati con un invito ai giovani fidanzati. Quello a raggiungere una navata di gioia invece che un tavolo di crapula.

E tutto con una card web “che poteva tranquillamente essere utilizzata per una campagna a tema”. Parole del direttore Alessio Porcu nel suo “Senza ricevuta di ritorno” di ieri sera. (Leggi qui: Diavolo d’un prete: anche il giorno di San Valentino).
E sotto, la scritta: Vuoi stupire la persona che ami? Portala a messa. Con l’indicazione che come ogni sera la funzione sarebbe iniziata alle ore 18.
Il Santo dell’Amore
Don Dino lo ha riportato in un’altra card social, il suo concetto, che è antico e modernissimo, austero ed ilare. “San Valentino è festeggiato in tutto il mondo come il ‘Santo dell’amore’. Amore non solo come un semplice sentimento tra due persone, ma una virtù che abbraccia tutta l’umanità”.
“Nelle difficoltà e nelle incomprensioni, il santo che celebriamo (…) ci spinge a gettare il cuore oltre l’ostacolo, ogni giorno”. E grazie a Don Dino forse quell’ostacolo sarà più basso, o forse e meglio ancora: avremo tutti gambe più forti per superarlo. D’un balzo. Tenendo la mano a chi amiamo. E sorridendo.
Pastore rock.
PIETRO NOCITA

Pietro Nocita è il Presidente onorario Centro Studi LIREC diretto da Raffaella Di Marzio. Fuori di acronimo si tratta del Centro Studi sulla Libertà di Religione Credo e Coscienza. E la sua relazione culminata con un “Appello per una informazione rispettosa, etica e inclusiva” sta facendo scalpore.
Il report era stato inviato (anche) all’Ordine Nazionale dei giornalisti e alla Federazione Nazionale della Stampa. E lo scopo? Nobile e difficile al contempo: segnalare il “pericolo dell’istigazione all’odio verso minoranze religiose e spirituali prese di volta in volta come bersagli dai media”.
Il convegno in Senato

“Discorsi di odio: conoscere e prevenire un fenomeno multiforme. Le conseguenze quando i bersagli sono le minoranze religiose e spirituali”. Purtroppo e secondo Nocita ad oggi “nulla è cambiato, se non in peggio, a un anno di distanza da quell’evento, che voleva essere anche un contributo ai lavori della Commissione Straordinaria istituita dal Senato della Repubblica”.
In merito Nocita aveva anche organizzato un convegno presso il Senato della Repubblica, ed anche in quel frangente il tema era stato delicato, molto.
Si tratta di quella “presieduta da Liliana Segre, per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza”. In particolare il focus è sui Testimoni di Geova, che continuano in un certo mainstream a portare lo stigma della “setta”.
L’isterismo conto le “sette”
Nocita ha descritto il fenomeno alla perfezione: “L’isterismo contro le sette continua a diffondersi come un virus, grazie ai media che continuano, con un ritmo incalzante, a diffondere informazioni del tutto false, verità parziali o espresse fuori dal loro naturale contesto”. Quelle e, secondo la denuncia, “testimonianze scelte accuratamente perché possano riferire solo esperienze negative e accuse gravi di abusi e maltrattamenti, senza alcuna possibilità di riscontro, contraddittorio o approfondimento”.
C’è un antefatto, ed è quello per cui “un libro sulla congregazione dei Testimoni di Geova e altri recenti approfondimenti televisivi hanno portato a parlare di scelte di fede con lo stigma della definizione di setta”. Il centro Lirec non la pensa così, e come tutti gli spot di tolleranza in purezza si batte perché cambi l’habitus mentale suo tema.
La cultura dell’approfondimento

Questo attraverso “una cultura di approfondimento e studio sulle fedi di minoranza, su che tipo di restrizioni subiscono e sullo stigma con cui vengono spesso narrate senza una reale conoscenza”.
Una frase colpisce di questa analisi cruda e scomoda: “I bersagli sono sempre gli stessi così come la ricerca spasmodica di vittime delle sette, un’abitudine consolidata delle redazioni di stampa, radio e televisione”.
Già: i bersagli sono sempre gli stessi, aumentano solo gonzi che bersagli li vedono. E che odiano a prescindere tutto ciò che non è simile ad essi.
Crociata ma prog.
FLOP
SERGIO COSTA

Quando anche solo si accennasse alle questione dei rifiuti in Campania scatta subito un campanello di allarme. E si sente quel trillo infido di colpevolismo di comodo con cui ogni sistema complesso, ogni governo ed ogni fazione danno la colpa a chi li ha preceduti per quello scempio perenne. Parlare di “Terra dei Fuochi” è sempre stato evocativo e truce, quasi infernale, e ha dato a chiunque abbia provato epidermicamente a spegnerli, qui fuochi, la patente di pompiere.
Però sempre di pompieri a cottimo si è trattato, il cottimo utile e parallelo alla visibilità mainstream e politica di chi a quel problema fingeva di metterci mano. Questo non significa che nel novero degli esecutivi e delle singolarità italiane non ci siano stati veri “combattenti” contro i rifiuti in Campania, ma solo che quello è un trend altalenante e non un risultato netto e definitivo.
Il Cav spazzino ma non troppo

Chi non ricorda il Silvio Berlusconi che in poche settimane fece sparire quasi tutta la “monnezza” dai bordi delle strade salvo poi non dire che era stata solo resa meno visibile per le telecamere? Tutto questo per dire che Sergio Costa, già comandante regionale della Campania del Corpo forestale dello Stato e generale di Brigata dei Carabinieri forestali, forse poteva giocarsi la sua briscola meglio.
Quale? Quella che, come Ministro dell’Ambiente del governo Conte I, lo ha portato a rivendicare i suoi risultati sul tema. Il che ci sta, perché Costa dei risultati li ottenne. Poi però, a criticare il suo omologo attuale per l’assenza di risultati, il che è un po’ funzionalista ma vero a tappe.
“Voglio ricordare che la condanna della Cedu è riferita al periodo precedente al 2013”. E che “sull’oggetto della sentenza, sino a una certa data non è stato fatto nulla, i primi inquinamenti delle falde risalgono al 1971-1972, poi c’è stata l’escalation negli anni ‘80 e ‘90”. Ci sta prosegue nella sua descrizione all’AdnKronos: “Poi si è preso coscienza della realtà, ma allora non c’erano leggi sull’ambiente. Il primo decreto, quello Ronchi, risale al 1997, la prima norma più aggressiva al 2001, quando il danno era già fatto”.
Il recap boomerang

Ecco, con un recap così meticoloso, possibile che sia sfuggito a Costa che quello di cui si parla è un problema atavico con colpe talmente complesse che puntare il dito contro singoli fattori è fuorviante? Pare di no.
“Il governo Meloni si sveglia dopo due anni e mezzo, si accorge solo ora della Terra dei Fuochi? In tre anni da ministro dell’Ambiente sono state fatte più cose che nei precedenti 50, dalla cabina di regia che ha coinvolto lo Stato, la Regione Campania, i Comuni interessati e i comitati”.

“Sino alla direzione unica sulle bonifiche al Ministero, poi alla definizione del Sito di interesse nazionale a Giugliano”. E a chiosa venefica, legittima politicamente ma scarsina in punto di merito tecnico. “L’unica cosa che questo governo invece ha fatto è stata cancellare la direzione unica sulle modifiche”.
L’attuale ministro, Gilberto Pichetto Fratin, è stato recentemente audito dalla commissione Ecomafie, sulla questione Terra dei Fuochi, a seguito di una condanna inflitta all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il problema c’è, ma Costa lo ha capito che il solo modo per risolverlo è superare gli steccatucci di bottega?
La colpa comoda.