I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 18 marzo 2023
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 18 marzo 2023
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ALESSANDRO ORSINI
Non esistono costanti nel pensiero umano e chi sostiene il contrario è figlio o figliastro del pensiero unico che non accetta deroghe e scaccia il confronto come la peste. Ed è sulla scorta di questo assioma che le persone come Alessandro Orsini non hanno cittadinanza fissa nella casella degli intruppati scomodi. Le cui parole sono solo inni alla faziosità, ma a volte cambiano residenza e si accucciano scomode nella casella delle cose su cui riflettere.
Riflettere ad esempio sul “must have” della urticante logorrea di Orsini. Che è quello dei giudizi, non sempre sereni, sulla guerra della Russia all’Ucraina. Il docente di sociologia del terrorismo internazionale ci ha abituati ad uscite “estreme” che decisamente legavano malissimo con la realtà fattuale delle cose, e quelle iperboli hanno impedito ad Orsini stesso ed a noi di cogliere gli spunti razionali di alcuni suoi discorsi. E di uscire dal comodo giardino dei preconcetti.
Stavolta però Orsini ha fatto uno sforzo cartesiano e non ha detto cose turpi, magari ne ha dette di scomode e discutibili. Ma non necessariamente riprovevoli, posto che avere un’opinione sia riprovevole, ovvio. Cose come “non esiste una chance su un miliardo che l’Ucraina liberi il Donbass e la Crimea. La guerra finirà, se finirà, con una cessione territoriale alla Russia“.
Oppure cose come: “Mi viene lo sconforto vedendo questo massacro: a Bakmuth c’è un massacro in corso tra russi e ucraini. Se i russi avanzano verso Kramatorsk, che è ancora più fortificata, ci sarà una mattanza peggiore”. Poi la stoccata di geopolitica ampia ma con un viraggio di saggezza senza livore: “Il presidente degli Stati Uniti, Biden, ha l’idea che la Russia possa prendere il Donbass e per ora non invia gli F-16. Se la Russia cercherà di allargarsi oltre il Donbass, Biden prenderà in considerazione l’ipotesi di inviare i jet“.
Insomma, senza necessariamente enunciare le parole del controverso docente della cui logorrea è innamorata una Bianca Berlinguer a caccia di share pare che Orsini abbia trovato il punto di equilibrio fra come la pensa nel suo intimo e come stanno effettivamente le cose nello sconcio a cui assistiamo da un anno ed un mese.
“La Russia per fermare la guerra non vuole solo concessioni dall’Ucraina, le vuole dagli Usa e dall’Ue. Le concessioni sono: ritirare la Nato dalla Georgia e dall’Ucraina, fermare l’ingresso della Finlandia nella Nato“. E se la geopolitica è scomoda poco cale, il solo fatto che essa abbia ritrovato i toni dell’approccio razionale fa ben sperare. Non per il conflitto purtroppo, ma per come quel conflitto lo vede l’Occidente.
Stavolta l’ha detta bene.
GIORGIA MELONI
Delle sue idee si può anche condividere nulla. Ma nessuno potrà negare che la donna ha coraggio da vendere, fiuto politico come pochi, schiettezza spinta a ridosso della brutalità come non se ne vedeva dai tempi del craxismo più riformista. Giorgia Meloni che affronta il Congresso della Cgil è uno dei punti centrali di questa stagione politica.
C’è andata senza cercare l’applauso, senza provocare la zuffa. C’è andata da premier e da leader. Senza il compitino preparato da alcun professore: il guizzo è tutto suo quando prende al volo l’occasione servitale su un piatto d’argento dai delegati che pensando di imbarazzarla hanno sfoggiato la scritta ‘pensati sgradita‘ sui vestiti – messaggio copiati da Chiara Ferragni Sanremo.
Invece è l’occasione per dimostrare tutta la saldezza dei nervi di Giorgia Meloni, che risponde ringraziando tutta la Cgil, anche “chi mi ha contestato con slogan efficaci, anche se non sapevo che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica“. Poi l’orgoglio di destra. Che può non essere condiviso nella posizione politica, ma va ammirato per la sua schiettezza “Mi sento fischiata da quando ho 16 anni. Potrei dire che sono Cavaliere al merito su questo“.
Mette in chiaro che poco o nulla c’è in comune con la platea. Ma non per questo si deve rinunciare al confronto. Se a qualcuno sembra poca cosa, vada a rivedersi l’arroganza berlusconiana che disse “La stagione della concertazione è finita”.
Il vero punto di confine che ricorda tutti la radice della differenza è quando Giorgia Meloni denuncia l’assalto subito due anni fa dalla Cgil. “Credevamo che il tempo della contrapposizione ideologica feroce fosse alle nostre spalle. Invece in questi mesi, purtroppo, mi pare che siano sempre più frequenti segnali di ritorno alla violenza politica, con l’inaccettabile attacco degli esponenti di estrema destra alla Cgil“. Non ce la fa proprio a dire ‘squadrismo fascista‘.
La vera notizia non è il solco. Nel mito di quel solco l’Italia ci sta vivendo da quasi ottant’anni. È il ponte a stupire: quello che due personaggi profondamente distanti come solo Maurizio Landini e Giorgia Meloni possono essere, stanno tentando di costruire. Attraverso il reciproco riconoscimento. E ferme restando le distanze, può solo fare bene all’Italia.
Istituzionale.
FLOP
LUCA DI STEFANO
Come nei castelli inglesi più blasonati e di rispetto. Ora anche Palazzo Iacobucci, sede dell’Amministrazione Provinciale di Frosinone, ha un fantasma: è il presidente Luca Di Stefano. Evanescente, impalpabile, trasparente: svanito.
La dimostrazione sta nella lunga serie di dossier aperti, sui quali un Presidente della Provincia ha il compito – prima politico che istituzionale – di intervenire. E non lo sta facendo. Ad esempio: il conflitto interno tra le due sensibilità del Partito Democratico; il suo ruolo politico e la sua funzione amministrativa gli consentono in maniera del tutto naturale di essere efficace punto di mediazione. Non lo ha fatto.
Subito dopo la sua elezione si è creato uno straordinario momento di dialogo tra il Partito Democratico e la Lega, immortalato da una foto scattata nel suo salottino di rappresentanza. Lavate le tazzine del caffè è tutto finito. Nulla è stato fatto.
Altrettanto incoraggiante era la foto che lo ritraeva con il presidente della Provincia di Latina Gerardo Stefanelli: ideale aurora di un ritorno al dialogo tra i due territori vicini che tanti temi hanno da sviluppare in comune. Ciao core, nessuno ha saputo più nulla.
Antonio Pompeo ha lasciato nei cassetti un dossier pagato al Politecnico di Torino: lì c’è scritto dove è possibile fare la nuova discarica provinciale di Frosinone. Guai a nominarlo. Ma intanto adesso scatteranno gli aumenti sulla tariffa dei rifiuti perché dobbiamo pagare la discarica in affitto più il trasporto fino lì.
Il fatto è che il mondo non finisce a Sora e l’onere non finisce nel momento in cui si è raggiunto l’onore di una fascia azzurra da aggiungere a quella tricolore. Entrambe hanno la stessa dignità. Non si governa per delega, non ci si lascia surrogare de facto dal presidente d’Aula Gianluca Quadrini che ogni giorno è in un luogo diverso a rappresentare doverosamente l’ente.
Altrimenti si passa dall’evanescenza dei fantasmi allo scambio dei corpi: dall’esoterico al diabolico.
Cercasi presidente nella sua stanza.
BEPPE GRILLO
“Non era così all’inizio ma lui è nato…”. Chi non era così all’inizio e soprattutto chi è che “non è nato”? Una volta, nell’Italietta Giolittiana fonte di quasi tutti i nostri mali contemporanei, si chiedeva ad un tizio “come nascesse” per onorare la parlesia di una nobiltà con aspirazioni di notabilato.
Oggi ad usare inconsapevolmente quella formula eugenetica per indicare che l’oggetto della domanda non è un ortodosso del Movimento è Beppe Grillo su Giuseppe Conte. Insomma, il dato è che per il cofondatore del M5s il suo attuale presidente e leader non è un “sansepolcrista del vaffa”. Perciò in quanto mezzo spurio ha atteggiamenti che legano male con la tradizionale verve barricadera del movimento.
Il dato però emerge netto: Grillo ottenne successi elettorali e di consenso mainstream sull’onda di un populismo agli esordi. Deflagrante e potentissimo in quanto a proseliti. Mentre Conte è stato costretto a raccattare i cocci di un populismo morente e disilluso. Ed è riuscito a diventare leader di un’opposizione unica e “insidiata” solo dall’arrivo di Elly Schlein al Nazareno.
E proprio partendo dalla Schlein, Grillo ha detto un’altra cosa discutibile, che cioè le idee del M5s potrebbero viaggiare sulle gambe di un altro partito che adesso ha una leadership più definita e massimalista. Giusta giusta per fare da stampella ai soliloqui etici del M5s. Pare volo pindarico ma il comico ci crede: “Dovranno dire tutte le nostre idee per andare avanti. Tutte le nostre idee devono andare avanti con altri nomi. Fanno così“.
E Conte? Grillo sostanzialmente lo elogia e lo snobba al contempo, come fanno i “maitre à penser” con i discepoli che hanno tratto ispirazione ma senza copiare: “Conte vuole organizzare, sul piano territoriale, con i fondi… “Conte non è nato…, devi dargli un pò di tempo… Non era così all’inizio…“.
Insomma, per arrivare alla purezza che fu e che di puro non ha prodotto granché il leader pentastellato deve ancora assaggiare il sale della terra politica. Ma è la terra di Grillo, non quella di Conte. E forse Grillo lo ha capito tanto bene da dire che la terra da calcare è ancora una sola. E non è più così.
Da grillo a quaglia è un attimo.