Top e Flop, i protagonisti di sabato 2 novembre 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 2 novembre 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 2 novembre 2024.

TOP

MATTEO RENZI

Matteo Renzi (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeconomica)

A volte ci prende in pieno, altre prende mezze cantonate o quanto meno non centra del tutto il bersaglio. Una cosa però è certa: quando Matteo Renzi decide di buttare una polpetta avvelenata nello stagno della parte avversaria in politica di quel momento, sono sempre guai. E lo sono più per chi sta nello stagno che per il lanciatore. Sopratutto perché, anche al netto di un format “falso-moderato” che ormai contraddistingue l’ex premier anche nel mainstream italiano, le sue caratteristiche di autorevolezza su alcune questioni e su alcuni retroscena alla fine prevalgono.

E lasciano una sgradevole impressione per cui Renzi un po’ ci abbia preso, nel lanciare i suoi strali. Anche perché il leader di Italia Viva usa una tattica sopraffina per sganciare bombe, quella della “doppietta”. Che significa?

La seconda chiave: sotterranea
Fabio Tagliaferri

Che approfitta innanzitutto di un fatto accertato, uno svarione, uno scivolone o un problema empirico, poi a traino ed in combo a quello ci piazza una sua lettura. Che è sempre più sotterranea, da corridoio. Così ottiene, soprattutto con il cittadino comune, l’impressione che lui sia quello su vascello pirata che conosce i segreti della stiva, e che li espone in cassero a favore di tutti.

Questo format lo aveva utilizzato già con il frusinate Fabio Tagliaferri, quando era stato nominato alla guida di ALeS SpA poco dopo lo scandalo Sangiuliano-Boccia. Oggi ci ha riprovato e partendo dallo svarione di calcolo della premier Giorgia Meloni nella sua ospitata da Bruno Vespa.

Ecco come l’ha messa (in combo) Renzi: “Questa storia e incredibile, amici. Parlando di sanità da Bruno Vespa, Giorgia Meloni ha sbagliato i conti e si è giustamente scusata: ‘Ho fatto un casino, scusate’ ha detto la Premier. Bene che se ne sia accorta”.

Lo svarione di calcolo di Meloni
Giorgia Meloni da Vespa con la calcolatrice (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Poi la fase due: allargare il contesto usando la debolezza si un fatto come key universale: “Però il vero casino sanitario Giorgia lo ha fatto scegliendo come sottosegretario alla sanità un suo fedelissimo, tal Gemmato. E qui l’affondo sul personaggio vicino ai vertici di Fdi.

“(Gemmato) la cui azienda di cliniche si fa pubblicità dicendo: venite nel privato, noi non abbiamo le liste d’attesa del pubblico. Dunque ricapitolando: sei un parlamentare di Fratelli d’Italia, vai al Governo per occuparti di sanità e anziché risolvere il problema delle liste d’attesa fai pubblicità alla tua azienda.

Cioè “dicendo: venite a curarvi da me perché nel pubblico c’è il problema delle liste d’attesa. Problema che dovrebbe risolvere il Governo. Ma Gemmato non lo risolve e anzi fa pubblicità alla sua azienda in pieno conflitto di interesse”.

Il caso inside: Gemmato

La chiosa è quasi da gossip, ma allama molto. “Sapete perché Giorgia Meloni non caccia Gemmato? Perché è uno dei suoi. E perché lui organizza le vacanze tutti gli anni alla famiglia Meloni, in Puglia. Perché le liste d’attesa sono un dramma per gli italiani, ma un business per il Fratello d’Italia sottosegretario.

“Mai vista una faccia tosta del genere: spero che Gemmato si dimetta subito, così potrà seguire il suo business e continuare a organizzare le vacanze a Giorgia. Così, tra morale e dileggio, Renzi ha fiondato altra pastura al curaro nello stagno già limaccioso dei “Fratelli”.

Boom-boom.

PAOLO FERRARA

Virginia Raggi e Paolo Ferrara (Foto: Andrea Giannetti © Imagoeconomica)

Le brutte esperienze servono: basta saper cercare al loro interno una lezione utile. Nel Lazio il Movimento 5 Stelle ha sperimentato prima e meglio che in qualunque altra parte d’Italia le dottrine dei suoi leader nazionali. Ottenendone risultati nettamente diversi. E dai quali ora ricavare la lezione.

Nel periodo del grillismo più esasperato, quando il Partito Democratico era composto da “Quelli di Bibbiano”, una sana ondata di realismo portò Roberta Lombardi (quella della celebre diretta streaming con Pier Luigi Bersani) a costruire una linea di dialogo con Nicola Zingaretti. Ne seguirono 5 anni di governo congiunto del Lazio: con buoni risultati secondo la visione Prog, pessimi secondo gli attuali inquilini della Pisana. Il modello andò così bene che invece di tornare alle urne dopo il fallimento del governo Giallo-Verde si decise di sostituirlo con uno Giallo-Rosso.

Alle elezioni successive Giuseppe Conte elaborò una delle tattiche più suicide alle quali il Movimento abbia dato vita in questi anni. Dichiarò chiuso il Campo Largo e schierò una sua candidata al governo della Regione: con il risultato di dimezzare i suoi Consiglieri, perderne altri due andati ad accasarsi in Forza Italia, non vedere per un solo minuto in Aula la sua nuova punta di diamante che si dimise prima ancora del Consiglio di insediamento. Onestà intellettuale impone di aggiungere che in quel disastro tattico anche il Pd fece egregiamente la propria parte. Insieme consegnarono alla destra di Francesco Rocca il governo regionale del Lazio.

A Roma per tornare al Campo Largo
Roberto Gualtieri (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Paradosso vuole che tutti o quasi fossero felici e contenti di quel disastro. Al punto da replicarlo in altre regioni: con analoghe conseguenze. Ignorando che nelle elezioni i voti non si sommano con la calcolatrice ma con la forza delle coalizioni. E se le crei con il solo obiettivo di vincere finisci invece per perdere: superato da chi dimostra all’elettore d’avere allestito una squadra nella quale i ruoli sono chiari. Anche se il loro contenuto politico non ti convince.

Il prossimo grande fronte nazionale in cui Movimento 5 Stelle e Partito Democratico devono decidere se e come farsi del male sono le elezioni di Roma Capitale nelle quali scegliere il nuovo sindaco. Se rieleggere Roberto Gualtieri o restituire anche Roma alle destre. Una questione che si è posto Paolo Ferrara: tra i nomi che contano di più nel M5S romano, vicepresidente dell’Assemblea capitolina. Ha lanciato la proposta al Pd di avviare subito una stretta collaborazione su progetti strategici e formare un campo largo progressista di centrosinistra per correre insieme alle prossime elezioni Comunali di Roma 2026.

Lo ha fatto con una dichiarazione all’edizione romana di Repubblica. Con la quale ha parlato di “un patto per il governo per i prossimi due anni” che comprende tutte le altre forze progressiste di centrosinistra. Cioè Alleanza Verdi Sinistra, Azione, Italia Viva e Civiche. Su temi comuni come riqualificazione urbana, economia green, servizi sociali pubblici, infrastrutture e mobilità leggera. “Non scelgo io, sarà il Pd a decidere, non tiriamo il sindaco per la giacchetta – ha detto Ferrara – di sicuro in questo patto per il governo il M5s non farebbe la stampella ma sarà un attore alla pari con il Pd per portare a termine progetti concreti per la città”.

Lezioni dalla Liguria.

FLOP

FABIO RAMPELLI

Fabio Rampelli (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeconomica)

A dicembre scorso, quando la Corte Costituzionale albanese aveva accolto il ricorso dei dem locali contro il nuovo modello di “accoglienza” battezzato da Roma, avallato da Tirana e perfezionato ancora da Roma dopo il recente caso, aveva espresso una certa, sottile e sardonica perplessità. Con queste parole: “Ci viene il dubbio che il ricorso dei parlamentari di sinistra alla Corte sia del tutto strumentale.

Quelli erano i mesi in cui il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia era impegnato nella sua personale fronda interna contro Giorgia Meloni. Quella che poi sarebbe stata mezza sanata dal Congresso romano. E forse era da attribuirsi a questo suo engagement interno la distrazione per cui Rampelli non aveva ben realizzato che il Pd albanese è orientato a destra.

Il format di alcuni media
Matteo Piantedosi (Foto Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Il dato, dato odierno, è comunque un altro, ed è quello per cui la evidente irritualità della scelta di Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi di dirottare migranti su suolo foresto, e malgrado una Legge di rango approvata speed, non è ancora perfettamente formattata in punto di: Diritto, opportunità ed utilità empirica. E il dato due è che al momento esiste solo la solita, massiccia, campagna stampa (non di tutta la stampa) per accreditare quella svolta. Una svolta sulla quale molti media si sperticano ogni santo giorno a mettere suggelli “europei”.

Spiegando cioè che ci sono Paesi Ue che hanno dimostrato “interesse” (come sottolineato anche da Carolina Varchi poche ore fa) e perfino che la stessa Ursula von der Leyen sarebbe la “principale sponsor dell’iniziativa”. Come molti e più di molti però, Fabio Rampelli, che è meloniano a scatti e che in alcune chat non è stato immune dall’avallare critiche alla leader, sembra ignorare un fatto cardinale. Quello per cui non è che se Bruxelles ha “digerito” una scelta irrituale ma opportuna per silenziare Roma questa scelta debba essere automaticamente bollinata come ottimale.

Il confine tra dialettica e polemicuzza
Ursula von der Leyen

E a traino non è che se questa scelta si palesa poi nel concreto è necessario farci sopra ricami di livore contro chi non la condivideva. E’ vero, la dialettica è fondamentale in politica, ma non si può ridurre tutto ad un perenne “gengnegnegnè” agli avversari, come se l’Italia fosse un cortiletto di parrocchia.

“Esprimiamo solidarietà alle anime belle della sinistra tradita dall’interesse francese – ed europeo – verso la proposta italiana. Abbiamo brevettato un prototipo che cambia come direbbero i radical chic il ‘paradigma culturale’ sulla gestione dei flussi migratori”.

Sì, decisamente uno come Rampelli questa lettura se (ce) la poteva anche risparmiare.

Nuota a dorso.

DOMENICA SPINELLI

Domenica Spinelli

C’è una regola non scritta ma applicata da tutti, in ogni tipo di campagna elettorale. Ed è una regola che, in politica ed al netto di imprescindibili paletti etici e legali, si condensa in una sola parola: vincere. O quanto meno provarci con ogni mezzo che possa far presa legittima sull’elettorato e sulle sue decisioni d’urna.

L’Emilia Romagna che si appresta al voto regionale di questo mese appena iniziato dopo il voto in Liguria non fa eccezione. E dato che non fa accezione appaiono davvero “tiepide” le contestazioni di chi accusa l’avversario di utilizzare la “shining” di un esponente di rango massimo del partito concorrente per provare ad incrementare i consensi.

Bonaccini o De Pascale?
Giorgia Meloni

“La campagna elettorale in Emilia Romagna è quantomeno curiosa, ed evidentemente ci sfugge qualcosa, il candidato è Bonaccini o De Pascale?. Parole e musica sono di Domenica Spinelli, senatrice di Fratelli d’Italia. Cioè di un partito che, dovunque abbia corso, ha fatto il diavolo a quattro per avere sul palco la sola persona che a quel partito ha saputo dare grip: Giorgia Meloni.

Che per inciso è anche Presidente del Consiglio e, in una certa misura, anche un filino super partes. Spinelli ha proseguito: “Ed essendo la risposta ovviamente De Pascale, non è chiaro il motivo per cui dovrebbe essere Bonaccini a confrontarsi con la candidata del centrodestra Ugolini”.

Il malumore della senatrice Fdi
Stefano Bonaccini

Bonaccini non ha rifiutato la tenzone perché secondo i sondaggi BiDiMedia per Citynews è proprio Michele De Pascale ad essere in netto vantaggio su Elena Ugolini. E con “il Partito Democratico a guidare le danze, seguito da Fratelli d’Italia”, in ordine ad una “affluenza stimata oltre il 50% e una percentuale ancora elevata di indecisi.”

Spinelli teme una batosta e la butta in caciara pelosa: “All’ormai ex presidente Bonaccini consiglio di smetterla con le ingerenze e di concentrarsi sul suo ruolo in Europa, dove c’è bisogno di sostenere davvero l’Italia e di non preoccuparsi. Gli emiliano-romagnoli hanno già ben compreso che il candidato del centrosinistra alla presidenza della regione non è assolutamente all’altezza della sfida”.

Forse non lo è davvero, anche se resta un’opinione della Spinelli, ma neanche Marsilio in Abruzzo lo era. Eppure per raggiungerlo Giorgia Meloni mise in secondo step di griglia impegni. Impegni forse superiori, per urgenza e peso istituzionale, a quelli di Bonaccini.

Ragioni banali.