Top e Flop, i protagonisti di sabato 22 giugno 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 22 giugno 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 22 giugno 2024.

TOP

GIUSEPPE CONTE

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte è maestro in alcune cose, ed una di quelle è il sapere passare l’evidenziatore sotto le contraddizioni di Giorgia Meloni. O meglio, tra la Meloni leader di un’opposizione trucida ed intransigente che fu e la Meloni premier di un Governo che è sceso dalle barricate. E che a volte fa cose in netta antitesi con quelle fatte e proclamate quando la Meloni non faceva sconti a nessun per acquisire consensi.

Notare la finezza: Conte è uno dei pochi che non punta il dito contro il vero imperatore delle Contraddizioni, vale a dire quel Matteo Salvini di cui sui social c’è traccia di tutto e del contrario di tutto, in quanto a proclami. Il leader del Movimento Cinquestelle uscito non proprio benissimo dalle Europee sa che nel caso del Capitano è come sparare sulla Croce Rossa.

Mentre nel caso di Meloni ogni “rinfaccio” è una potenziale erosione alla sua credibilità che un giorno (lontano) potrebbe tornargli utile. “Il regionalismo ha fallito e la Lega difende un sistema ormai fallito”: parole di Giorgia Meloni che accusava nel 2014 Matteo Salvini di aver voluto imbastire una semplice azione elettorale. E Meloni chiosava: “Noi saremo pronti a difendere il Meridione d’Italia”. Roba che autonomia delle Regioni e legge Calderoli scansatevi forte, insomma.

“Le Regioni? Noi le aboliremo”
Giorgia Meloni al G7

Dagospia ha rincarato la dose in queste ore riportando interi brani di quelle esternazioni di Meloni vecchie di 10 anni ma modernissime in quanto ad incastro paradossale sul celeberrimo negazionismo di sé stessi che appartiene alla politica italiana.

“Nessun appiattimento, noi abbiamo delle posizioni nostre che sono posizioni sulle quali sfidiamo anche Salvini, sfidiamo la Lega”. E mica era finita: “Vogliamo abolire le Regioni, perché il regionalismo in Italia ha fallito, perché ha moltiplicato occasioni di malaffare, ha moltiplicato poltrone, ha moltiplicato spesa pubblica”. E quindi? Conte ha fiutato l’usta e ci ha messo il carico social da mille: Quella Meloni là faceva una “proposta completamente diversa, 36 distretti e dare più peso ai Comuni, restituire autorevolezza allo Stato centrale. Su questi temi sfidiamo ovviamente anche la Lega. Poi su alcuni temi invece facciamo le battaglie comuni, quella contro l’euro, quella contro l’eurocrazia e quella contro l’immigrazione incontrollata”.

Insomma, quella Meloni là indicata da Conte era ossimora con la Meloni di oggi. E “Giuseppi” chiosa: “Fratelli d’Italia, pur di portare a casa il premierato, ha ceduto allo scambio con la Lega e all’approvazione dell’autonomia differenziata che spacca il Paese. Si fanno chiamare Fratelli d’Italia ma poi dividono gli italiani in serie a, b, c.”. Poi la sferzata ironica: “Giorgia Meloni oggi vogliamo ricordarla così”.

Perché poco da fare: in questo Conte è bravo, perché non attacca il fianco scoperto di Giorgia che guarda a Pontida, ma Giorgia stessa. Cioè l’architrave della maggioranza.

Tante Giorgia, forse troppe.

GERARDO ANTONAZZO

Il vescovo Gerardo Antonazzo

Un pastore è tanto più abile quanto più conosce il suo gregge. Cosa non semplice se ti mettono su un trampolino a Santa Maria di Leuca e ti catapultano in provincia di Frosinone. Che in quanto a divisioni, veleni, coltellate alla schiena ha tristissimi primati di autolesionismo. Ma una volta nominato vescovo, Gerardo Antonazzo abbracciò la sua nuova croce e confidò in una delle esortazioni del Nazareno: “Prendete su di voi il mio giogo, perché soave è il mio giogo e leggero il mio peso

Ci ha messo un po’ per comprendere dove lo avessero mandato. Il dubbio che ancora lo pervade è se gli abbiano fatto un piacere o rifilato una fregatura: ma tant’è. Un dato però è certo: Gerardo Antonazzo ha cominciato a trovare il bandolo della matassa da quando s’è affidato alla Madonna di Canneto.

Dal Santuario guidato dal rettore don Antonio Molle, poco dopo l’arrivo del nuovo vescovo è partita una Peregrinatio Mariae durata un anno che ha portato l’immagine della madonna bruna in ogni chiesa di ogni parrocchia di tutta la diocesi, compresi carceri ed ospedali. E lì è stato evidente l’attaccamento popolare, la devozione sincera.

Il crescendo continuo
(Foto © Alessio Pagliari)

Non a caso, su Canneto mette gli occhi Papa Francesco. Che nel 2015 eleva il santuario alla dignità di Basilica Minore. E quasi dieci anni più tardi il Dicastero per il Culto Divino ha confermato la proclamazione della Beata Vergine Maria Regina, sotto il titolo ″di Canneto″, Patrona presso Dio della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo. 

Ora il vescovo Antonazzo ha messo a segno un’altra iniziativa: il Santuario di Canneto è stato eretto a Santuario regionale, unico nel Lazio e nel Centro Italia. L’annuncio è arrivato dalla voce del vescovo Gerardo Antonazzo, al termine dell’assemblea sinodale su ‘Cammino sinodale, pellegrinaggio e santuario’. Una approvazione, quella dei vescovi del Lazio, che conclude un iter accurato di indagine supportato, in particolare, dalle fonti archivistiche reclutate da don Antonio Molle. La proposta del vescovo Antonazzo, votata su richiesta del vicepresidente dell’assemblea Mariano Crociata è stata accolta all’unanimità dai votanti.

Canneto è un simbolo: di devozione ed unità. Capace di accogliere sotto al suo infinito mantello tutte le anime della diocesi. Il pastore ha capito che lì il gregge si sarebbe riunito volentieri. E Gerardo Antonazzo con i suoi collaboratori ce lo ha guidato.

Il pastorale efficace.

FLOP

NICOLA OTTAVIANI

Nicola Ottaviani

Che le cose non stiano girando tutte per il verso giusto nell’amministrazione comunale di Frosinone è un’evidenza. Il piglio e la fermezza di Nicola Ottaviani sterminavano sul nascere le discussioni che il garbo e l’ecumenicità del suo successore Riccardo Mastrangeli invece hanno lasciato crescere nella speranza di poter gestire attraverso il dialogo e la condivisione. Scegliendo una via precisa: amministrare, realizzare, costruire, ristrutturare, dare ai cittadini. Lasciando la politica a strepitare mentre i cantieri danno un volto nuovo a Frosinone.

Ma è evidente che tutta la responsabilità dei problemi che in questo momento stanno affliggendo la maggioranza non possa essere ascritta ai consiglieri ‘malpancisti‘ che hanno sospeso la loro fiducia al sindaco, pretendendo un azzeramento dell’esecutivo. Perché qualcuno quei Consiglieri deve averli ‘validati’ nel momento in cui sono stati messi in lista e candidati.

E poi, anche dopo, quando i primi scricchiolii nello scafo avvertivano che c’erano pressioni sulla maggioranza, non tutto è stato fatto per decomprimere. Anzi. In alcuni casi si è innescato quasi un gioco al rialzo.

Come nella circostanza in cui Nicola Ottaviani ha “costretto” la Consigliera comunale di Forza Italia a votare alle Provinciali il leghista Andrea Amata e non il forzista Maurizio Scaccia. È stato il detonatore che ha fatto esplodere il dissenso ed ha reso impraticabile una via per il rientro. Complice anche la scarsa consistenza politica dei Segretari regionali di Fdi e Lega.

Mosse azzardate.

MATTEO RENZI

Matteo Renzi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

C’era una volta un leader politico e Presidente del Consiglio al culmine di notorietà e favore dei cittadini che scommise su un referendum che intendeva cambiare la Costituzione. Quel leader si fece in quattro per spiegare agli italiani che la sua riforma era una cosa buona e giusta, anzi: necessaria. Tanto necessaria e tanto necessariamente percepita da lui medesimo che quel premier-leader scommise tutto. E spiegò che se la riforma non avesse ottenuto il favore degli italiani lui avrebbe abbandonato la vita politica.

Come sia andata a finire lo sappiamo tutti: Matteo Renzi perse clamorosamente quella scommessa su se stesso, fece crashare un partito che alle Europee aveva raccolto il 40% ma no, non di dimise. Anzi, tornò a fare politica con un nuovo partito centrosita e funzionalista dal vertice del quale oggi lancia la sfida ad un’altra leader-premier che sta rimescolando le carte della Carta Suprema.

La faccia sulle grandi riforme
Roberto Calderoli © Imagoeconomica

Solo che questa leader qua non ci ha scommesso la sua testa, su premierato special ed autonomia regionale differenziata. Renzi invece sì, ed oggi attacca da una posizione che sembra quella del tizio che cazzia il croupier solo perché non gli esce mai il rosso e che vuole apparire crociato contro la ludopatia.

“Anche Italia Viva raccoglierà le firme contro l’autonomia differenziata insieme a quelli che vorranno starci. Questa riforma non serve al nord e fa male al sud. Abbiamo votato contro in Aula, saremo conseguenti sul referendum”. Renzi ha dichiarato battaglia dunque. E lo ha fatto rincarando la dose nel merito.

Così: “La legge sull’autonomia (…) è un provvedimento ideologico. Organizzeremo un seminario nelle prossime settimane per dimostrare come l’autonomia crei più burocrazia per le aziende del nord e più diseguaglianze per i cittadini del sud”.

L’errore di Meloni secondo Matteo

E ancora: “Penso che sia un errore clamoroso quello della Meloni. Ha fatto una legge sbagliata e aver forzato i tempi votando anche di notte regala una grande occasione per tutto il variegato mondo che si oppone al Governo”.

Dunque Meloni ha fatto una legge sbagliata ma non ci ha messo la faccia e Renzi a suo tempo tentò una legge “giusta” ma la faccia ce la mise. Salvo poi rimangiarsi la sua parola quando il no degli italiani la faccia gliela fece perdere. Magari basta anche così.

Uno per ogni stagione politica.