
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 27 luglio 2024
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 27 luglio 2024.
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SERGIO MATTARELLA

È un dato che serenamente abbiamo registrato tutti nel corso degli anni, quello per cui tra Sergio Mattarella ed i giovani pare proprio ci sia un feeling innato. Una specie di “comunicazione empatica” che scavalca in automatico e con naturalezza il gap generazionale tra un ottuagenario di massimo rango istituzionale e generazioni nuovissime. Che vivono felicemente l’assenza di formalità di un’anagrafe bella e brada, anzi, bella perché brada.
Di questa corrispondenza di giocosi sensi se ne era accorto anche un compiaciuto Enrico Mentana poche ore fa, quando, prima della cerimonia di start di Parigi 2024, aveva detto che “decisamente il nostro Presidente ci sa fare, coi giovani”. Ed è vero, perché Sergio Mattarella ha una cosa che forse nessun altro Capo dello Stato italiano ha mai avuto.
Mentre Sandro Pertini era un fegataccio a cui l’età dava noia che prendeva i giovani per la collottola e li faceva sentire pungolati da una specie di nonno verace Mattarella è più sottile. Lui è pienamente consapevole del fatto di rappresentare un ossimoro vivente mentre si relaziona coi giovani ed in particolare con i giovani sportivi.
Pertini compagnone, Mattarella amico

Lui è la quintessenza del notabillato austero, o almeno così suggeriscono il suo battage formale, perfino estetico, e la sua statura intellettuale Poi però accade qualcosa, e quando vede ragazzi e ragazze e i vede in tenuta sportiva Mattarella si scioglie. E lì non c’è più nulla di protocollare, di costruito, di vagamente imbarazzante e “dovuto”.
Il Presidente non solo sa cose dire e fare, ma cavalca un’onda elettrochimica che sembra precederlo e sintonizzarlo subito verso persone che hanno 60/65 anni meno di lui. Come ieri a Parigi, dove Mattarella, con un buffo ma necessario k-way trasparente su capo, ha “resistito a lungo sotto la pioggia battente e ha atteso alzandosi in piedi che sfilasse la barca con la delegazione italiana”. Lo dice l’Ansa.
A quel punto e solo a quel punto, mezzo fradicio e con i capelli (come al solito) arruffati, ha salutato con un sorriso a trentaquattro denti i “suoi” giovani. E, a differenza di molti capi di stato che se la sono data a gambe ben prima di quel momento necessario, gradevole e bello, ha lasciato insieme alla figlia Laura la tribuna autorità allestita al Trocadéro solo quando l’imbarcazione italiana si è allontanata.
Zio Sergio.
ANTONIO DECARO

Antonio Decaro è stato eletto presidente della Commissione Ambiente del Parlamento europeo e l’ex sindaco di Bari, che alle europee di giugno ha fatto un mezzo En-plein di preferenze, può essere soddisfatto. Decaro infatti è stato selezionato per guidare l’organismo parlamentare. Attenzione, come da organigramma Ue Decaro potrà contare su un poker di vice.
E sì, uno di questi quattro vice sarà Pietro Fiocchi di Fratelli d’Italia, roba da far tremare i polsi ad un bonzo, conoscendo personaggio e posizioni in tema ambientale. Il dato di metallo zecchino è comunque un altro. Quello per cui l’eurodeputato del Partito Democratico e del gruppo S&D è stato nominato Presidente della Commissione Ambiente del Parlamento europeo.
Cioè di uno dei gangli cruciali che decideranno come dovrà essere l’Europa green del futuro: fedele al “deal” ma non troppo talebana, ad esempio, a contare le politiche di adeguamento delle case e le relative spese monstre per farlo. Come prima vicepresidente è stata scelta la spagnola del PPE Esther Herranz Garcia. Secondo vicepresidente sarà invece Pietro Fiocchi di Fratelli d’Italia-Ecr.
Fiocchi come vice: in 52 lo hanno votato

Quest’ultimo è stato eletto a scrutinio segreto con 52 voti a favore, 25 contrari e 12 astensioni. Terzo vicepresidente sarà Anja Hazekamp (La Sinistra, Paesi Bassi), eletta per acclamazione.
Come quarto vicepresidente invece è stato scelto András Tivadar Kulja (PPE, Ungheria), votato a scrutinio segreto con 64 voti a favore. Per quanto riguarda i lavori sul campo la prima riunione ordinaria della commissione dopo la pausa estiva è prevista per il 4 settembre.
Con un Decaro che raccoglie la messe di un lavoro che non è stato solo di captazione del consenso d’urna ma che ha saputo mettere a regime altro. Come ad esempio le sue note skill tematiche che non sono state inficiate dallo scivolone in cui pochi mesi fa lo aveva letteralmente trascinato, in quel di Bari, il governatore pugliese Michele Emiliano. E la sua capacità di rientrare nel pian di equilibrio correntizio di Elly Schlein. Alla perfezione.
Avrà il suo bel da fare.
STEFANO CECCARELLI

Senza fronzoli, diretto e mettendoci la faccia: Stefano Ceccarelli è così. A consentirgli di farlo è la sua innegabile onestà intellettuale. Quella che in questi anni lo ha portato a guidare il vessillo di Legambiente a Frosinone su fronti di battaglie ambientali scomodi e per nulla agevoli. Ma al tempo stesso gli consente di dire che una delle questioni più divisive del momento nel capoluogo non è affatto come molti vorrebbero. E che il Brt, le piste ciclopedonali, la nuova mobilità sostenibile sulla quale la città si sta dividendo, sono una sfida che oggi porterà pure qualche disagio ma domani libererà le nostre strade e forse salverà i polmoni di qualche bambino.
«Questo è il momento del coraggio e della coerenza – ha scritto ieri – La realizzazione del Brt e il raddoppio dell’ascensore inclinato segneranno la nascita di un trasporto pubblico moderno e attrattivo che Frosinone non ha mai avuto, in grado di rappresentare una svolta per una città che voglia contrastare il declino economico e demografico e proiettarsi nel futuro salvaguardando il bene primario della salute dei suoi abitanti. Il rafforzamento del trasporto pubblico, così come le piste ciclabili, rappresenta un ampliamento dell’offerta di mobilità che fino ad oggi ha visto l’auto privata come unica opzione praticabile».

La questione non è tanto che si schieri a favore di una parte piuttosto che di un’altra. Ma è che in questa fase un tema serissimo come la nuova Mobilità Urbana di Frosinone sia diventato tema per tifoserie politiche. Ceccarelli ricorda che questo tipo di approccio è un errore. Perché rischia di far vedere le cose con lo strabismo della tifoseria. E non con la lungimiranza di chi guarda lontano. (Leggi qui: Quei segnali che la città manda sul Brt).
E lo dice anche in questo caso in maniera diretta. Spiegando che le proteste contro i provvedimenti del sindaco Riccardo Mastrangeli indicano «una diffusa incapacità di immaginare un futuro per la città che liberi i suoi abitanti dall’incubo della cappa di smog che la avvelena e attenui il predominio assoluto dell’auto privata».
Coscienza libera.
FLOP
GIORGIO ARMANI

E’ l’indiscusso Re della moda italiana, è un’icona ed è pure fresco di genetliaco (compleanno pareva brutto per uno che assurge ad icona imperiale della moda del Paese più modaiolo del pianeta). Detto questo però va anche detto che Giorgio Armani e gli outfit sportivi da un po’ di tempo sembrano non andare molto d’accordo. Sarà per colpa di quell’irrisolto format per cui l’alta moda è creativa anche (o solo) quando è sghemba.
E’ che lo sport però è una cosa pop, cioè che non ha Anna Wintour a giudicarlo, ma il signor e la signora Rossi. Che se vedono una divisa “moscia” non dicono che è fashion e che va capita, ma solo che è bruttina, senza fronzoli. Maria Francesca Moro, giornalista e Lyfestyle editor di DiLei, non ha dubbi: “Lascia senza parole e non in senso buono la divisa sfoggiata dai campioni azzurri. A firmarla è il re Giorgio Armani che, però, sembra non essersi impegnato troppo”.
Tuta scura da “gita scolastica”

Le foto in queste ore di esordio di Parigi 2024 sembrano dare ragione alla giornalista. “Una semplice tuta scura, con una grande scritta didascalica sul petto. Sembra un po’ la tuta che ci costringevano a indossare prima di partire in gita alle elementari“. Ironia (azzeccatissima) a parte, il dato è che Armani non è a suo agio con le divise iconiche e, più che icone, crea luoghi comuni minimal, a volte brutti. Oggettivamente brutti.
Spiega ancora la Moro: “Quelle di Parigi 2024 sono già state definite le Olimpiadi più alla moda di sempre. Ospitati da una delle più rilevanti capitali della moda mondiale, i diversi Paesi hanno dedicato grande attenzione ai capi da far indossare ai propri atleti”. Ecco perché alla fine “le divise ufficiali di alcune squadre, più che a indumenti per lo sport, assomigliano a una collezione di alta moda. Peccato che l’Italia – che della moda è detta la regina – stavolta abbia giocato in sordina”.
Peggio di noi solo Usa, Spagna ed Argentina

Ma pare si sia in buona compagnia, anche se questo non emenda, manleva o assolve Re Giorgio proprio perché lui è Re Giorgio, e non può permettersi scivoloni di etichetta estetica ed emozionale. “Le squadre di Argentina, Spagna e USA non sfigurerebbero al college. Tris di blazer, da abbinare con i jeans per gli atleti statunitensi (che il denim lo hanno inventato), con classici pantaloni kaki e gonne a pieghe per argentini e spagnoli”.
Potevamo fare di meglio? No, noi dovevamo fare di meglio. Anzi, magari doveva farlo lui, Giorgio, specie dopo il precedente agli Europei di calcio. Giorgio che è sempre un Re ma oggi un pochino fiacco sotto il peso di una corona che resta aurea, ma ombreggiata.
Sempre immenso ma appannato.