
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 28 giugno 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 28 giugno 2025.
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RAFFAELE TREQUATTRINI

In tavola, non ha servito un minestrone di promesse ma un arrosto concreto basato su progetti cantierati o cantierabili, cifre consolidate, risultati misurabili. Il commissario Raffaele Trequattrini ha portato in dote al Consorzio Industriale del Lazio un pregio ormai raro in ambito pubblico: competenza, rigore ed un piano strategico direttamente da economista di esperienza. (Leggi qui: Industria, visione e numeri: il piano Trequattrini ridisegna il futuro del Lazio).
In appena un anno ha trasformato un ente zavorrato dal peso della fusione tra cinque consorzi (con annessi debiti e contenziosi) in una struttura flessibile e moderna. Ha messo ordine nei conti, concentrandosi su costi, crediti e investimenti ed e ha messo in cantiere opere per 34 milioni – 17 solo nel Lazio Sud – più plusvalenze milionarie e interventi nell’indotto Stellantis. Ma non è tutto: per il futuro ha messo a punto un modello operativo di “fast track”, mutuato dall’esperienza del Ponte di Genova, per accelerare la realizzazione degli investimenti rilevanti, come avvenuto su scala nazionale per Novo Nordisk ad Anagni.
Fatti oltre le intenzioni

Non un catalogo di belle intenzioni ma un programma articolato: depurazione industriale, comunità energetiche, hub per stoccaggio elettrico, logistica, sicurezza, video sorveglianza. E ancora innovazione digitale, collaborazioni con l’Università di Cassino, formazione avanzata. Soprattutto, un’atmosfera: trasparenza, ascolto, coraggio di dismettere attività inutili e di negoziare pignoramenti senza lamentarsi.
Se la Regione Lazio decidesse davvero di investire, entrando nel Consorzio come socio forte, la svolta potrebbe compiersi davvero. Trequattrini non ha promesso miracoli ma ha posto basi solide: un approccio manageriale apprezzato non solo dagli industriali, ma da chi aspira a un nuovo modello di sviluppo pubblico.
Il vero test ora sarà trasformare la strategia in azione concreta. Ma le premesse – numeri chiari, piano robusto, metodo rigoroso – parlano da sole: il motore dello sviluppo industriale del Lazio ha una guida.
Visione, numeri e metodo per il futuro industriale del Lazio.
DANIELE NATALIA

Il miracolo non è caduto dal cielo. È frutto di una strategia lucida, costruita in un momento in cui anche i giganti scappavano. Non è un modo di dire: Catalent – colosso mondiale del farmaco – aveva valigie piene di milioni, ma davanti alla giungla normativa del SIN (Sito di Interesse Nazionale) ha salutato e se n’è andata. I vincoli ambientali, sacrosanti per tutelare la salute pubblica, erano diventati però il perfetto alibi per la paralisi amministrativa. Il sindaco di Anagni Daniele Natalia ha fatto l’unica cosa sensata: ha costruito un percorso giuridicamente blindato, validato con tutti gli enti competenti, che ha permesso a chi voleva investire di non affondare nella palude della burocrazia.
Da lì parte tutto. Da una visione concreta, fatta non di parole ma di procedure, norme, verifiche, soluzioni. Oggi Anagni è diventata terreno fertile per logistica, meccanica, energia. Novo Nordisk, col suo maxi investimento, è la punta dell’iceberg. Ma dietro c’è un sistema che funziona. Che ha funzionato per tutti.
La nuova fiducia

Natalia non ha solo semplificato: ha creato fiducia. Ha garantito che investire ad Anagni non sarebbe stato un salto nel vuoto, ma un percorso chiaro, in tempi certi. Ha smontato, pezzo per pezzo, quel “no” pregiudiziale con cui lo Stato troppo spesso accoglie chi vuole creare lavoro.
Certo, i problemi non sono finiti. Ma a differenza di tanti che si lamentano delle regole, Natalia ha costruito una strada per attraversarle senza infrangerle. È questa, oggi, la vera competenza amministrativa: non urlare contro i vincoli, ma renderli compatibili con lo sviluppo.
E se Anagni è oggi un punto di riferimento per l’industria che vuole investire nel Lazio, non è un caso. È il risultato di una politica che non ha paura della tecnica. E di un sindaco che, quando molti arretravano, ha saputo avanzare.
L’anti-burocrate che ha cambiato il destino di Anagni
FLOP
IL MASSIMARIO DELLA CASSAZIONE

C’è qualcosa di profondamente storto – e decisamente italiano – nel vedere un ministro della Giustizia costretto a difendere la legittimità di un decreto non davanti a un’aula parlamentare, ma alla relazione di un ufficio tecnico della Corte di Cassazione. Non la Corte in composizione giudicante. Ma il Massimario: un centro studi, una sorta di motore di ricerca umano del diritto, che questa volta ha messo da parte la cronaca giudiziaria per fare editorialismo istituzionale.
Carlo Nordio, giurista e ministro, ha espresso “incredulità” – parola sobria, quasi british – nel leggere la relazione che demolisce il decreto sicurezza come se fosse un pezzo d’opinione politica con i gradi cuciti addosso. La sua nota è puntuta ma elegante: chiede lumi, non apre faide. Ma sotto la cortina delle buone maniere istituzionali, si intravede tutto lo sgomento di chi, da anni, tenta di tenere separati i piani della politica e della magistratura, secondo Costituzione.
Strumento prezioso

La questione, del resto, è seria. Negli Stati Uniti, la Corte Suprema – quella vera – può intervenire per limitare l’azione dei giudici di merito e stabilire che, per esempio, Trump non può essere ostacolato nei suoi ordini sull’immigrazione. È un modello nel quale i poteri si confrontano, si bilanciano e si limitano a vicenda. Qui da noi, invece, uno staff di magistrati senza funzione giurisdizionale si permette di bollare come “inopportuno” un decreto legge. E l’opposizione applaude, dimenticando che l’architettura democratica si regge sul voto, non sulle note a piè di pagina.
Chiariamoci: il Massimario è uno strumento prezioso, quando fa il Massimario. Non quando si trasforma in una Corte costituzionale ombra che riscrive le regole del gioco da un soppalco tecnico. E se oggi Nordio è il bersaglio, domani potrebbe esserlo chiunque osi legiferare su temi scomodi.
Il crinale del Diritto

È su questo crinale che si gioca, in sordina, la vera battaglia della giustizia italiana: quella tra il diritto ad avere una politica che decide, risponde e – se serve – paga il prezzo del consenso, e l’insinuarsi di un potere parallelo, spesso opaco, che vorrebbe correggere la democrazia con l’inchiostro degli uffici.
Nordio ha osato mettere in discussione questa stortura. Non a colpi di slogan, ma con il linguaggio sobrio e rigoroso della Costituzione. Per questo, oggi che i palazzi si affollano di “esperti” pronti a giudicare ogni norma prima che il Parlamento possa discuterla, forse è il caso di ricordare che, in una Repubblica parlamentare, la legittimità nasce nelle urne. E che chi vuole riscrivere le regole, prima dovrebbe passare da lì.
Quando la giustizia fa politica senza passare dalle urne
GAETANO MANFREDI

Gaetano Manfredi sembra essere l’unico a non aver ancora capito, tra i maggiorenti campani, che per le prossime regionali non si potrà comunque prescindere da Vincenzo De Luca. Che sarà pure un Governatore uscente ingombrante (e con il quale Manfredi ha sempre coltivato ottimi rapporti) e soprattutto un incandidabile, ma resta monolite.
Di cosa? Di un criterio di rappresentanza elettorale e potere politico in purezza che possono ancora spostare l’ago della bilancia per le elezioni in una regione che al Partito Democratico fa gola assoluta.
Come si muove Franceschini

Ed è proprio per questo che, ad esempio e secondo Pietro Senaldi su Libero, che personaggi come Dario Franceschini stanno facendo di tutto per tenere De Luca ancora aggiogato al Pd. Anche perché, data la nuova linea di Franceschini e di buona parte del Nazareno riformista, questo porterebbe anche ad un indebolimento di Elly Schlein. Che sarà stata anche una sua ex pupilla, ma che oggi deve portare i Dem alla vittoria in Campania senza intestarsene troppe fette.
In questo alcuni settori del Nazareno contavano molto su Manfredi, per evitare quanto meno che De Luca allestisse una lista tutta sua con un suo nome fiduciario e andasse a rompere le uova nel paniere al Pd.
Lo scopo è tenere “Vicienzo” aggiogato ad una combo Pd-M5s che vedrebbe – è dato ormai quasi certo – Roberto Fico correre per la Presidenza della Campania. E Manfredi aveva il ruolo cruciale di tenere assieme col mastice della sua sindacatura e della presidenza Anci questa difficilissima opera di Art-Attak.
Senaldi invece ha svelato un altarino del tutto inaspettato. “Unico a sinistra contrario a fare patti con l’attuale presidente è il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che sarebbe stato il candidato ideale ma che si preserva per più alti scopi”. Manfredi poteva essere infatti lui stesso il punto di giunzione tra il deluchismo e le mire del Pd official, ma ha deciso di giocare un’altra partita.
“Meglio perderlo che trovarlo”

“Egli è della teoria per cui De Luca è meglio perderlo che trovarlo, perché la sinistra avrebbe comunque i numeri per vincere e perché con uno così non si finisce mai di trattare, con il risultato di ritrovarsi a ogni giro più deboli”.
A parere di Manfredi “la maggior parte della classe dirigente deluchiana, soprattutto quella di origini democristiane”, sarebbe “già passata stabilmente nel centrosinistra a prescindere dalle mosse del proprio nume”.
E probabilmente ha sottovalutato “O’ Sceriffo”, rischiando di andare ad ingrossare ulteriormente la lunga lista di quelli che avevano commesso il suo stesso errore.
Distratto o kamikaze.