I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 7 settembre 2024
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 7 settembre 2024.
TOP
ANDREA CAPPADOZZI
“Kilimanjaro, 5895 metri. Alle 6.20 del mattino, davanti all’alba più bella di questo mondo, Leonardo Kdozzi ha conquistato Uhuru Peak, il punto piú alto del Kilimanjaro. Salire insieme in vetta, passo passo, pole pole, respirando insieme. E’ stata l’emozione più forte della mia vita, forse anche più forte della sua nascita. La montagna ti insegna che la vita non ti regala nulla senza sofferenza, e Leo è arrivato in vetta soffrendo in silenzio, grazie alla sua determinazione, alla sua forza. La stessa determinazione che gli ha permesso di superare i suoi non piccoli problemi: la dislessia, la disgrafia, e tanto altro”.
La foto li ritrae uno accanto all’altro, imbacuccati nelle tute termine da montagna. Andrea Cappadozzi e suo figlio Leonardo sono sul tetto del mondo. Nato a Patrica, Andrea ha 56 anni ed abita a Castro dei Volsci con Leonardo (17) e la famiglia: adorano la montagna e sono nati due volte. Una rinascita che è un inno alla vita, celebrato , sulla vetta vulcanica del Kjlimangiaro nell’Africa Orientale.
La sfida più importante
Sette anni fa ad Andrea viene diagnosticata una rara forma di leucemia. Non si abbatte. Ed applica alla vita la sua grande passione: quella per le scalate in alta montagna. Così, passo dopo passo, conquista la vetta di una rinascita fisica che lo porta a superare la malattia. Una forza d’animo che contagia il figlio: anche lui ha qualche problemino ma come il padre lo ha affrontato e gestito. Insieme hanno deciso di sfidare il vulcano più alto del mondo.
Ci sono riusciti. Come testimonia la foto scattata a quota 5895. Che non è la vera vittoria. Ma solo il luogo dove celebrare il successo più importante: la sfida per la vita nella quale non arrendersi. Mai. Senza voler andare da soli. Come spiega la parte finale del messaggio di Andrea rivolto a Leonardo: Sogna ragazzo sogna, che papà sarà sempre al tuo fianco per raggiungere i tuoi sogni più belli. E non aver mai paura di chiedermi aiuto.
Vette raggiungibili.
SARA ERRANI
La storia di Sara Errani ha una morale: nello sport e quindi nella vita la resilienza e la determinazione sono fondamentali. Forse più del talento. A 37 anni la tennista bolognese ha raccolto successi insperati in una carriera lunga, sempre in salita e che sembrava in declino. Dopo il trionfo agli Internazionali di Roma e l’oro nel doppio con Jasmine Paolini alle Olimpiadi di Parigi, Sara ha centrato il tris agli Us Open nel doppio misto in coppia con Andrea Vavassori.
Vittorie storiche: mai il tennis italiano aveva vinto un oro olimpico e un titolo slam nel doppio misto. Sara si è presa la rivincita più bella dopo una vicenda di doping che avrebbe tagliato le gambe a chiunque. Una squalifica ritenuta da tanti ingiusta a causa di un farmaco antitumorale utilizzato dalla mamma ed ingerito accidentalmente dalla tennista.
La forza di una “donna normale”
Il successo di Sara vale doppio. E’ il trionfo infatti di una donna normale che piange e non nasconde le sue emozioni. Lotta, cade e si rialza come capita tutti i giorni alla casalinga, all’operaia o alla professionista. Una donna addirittura minuta che può non sembrare un’atleta: l’antitesi delle tenniste nerborute come ad esempio le sorelle Williams.
Ma la forza della Errani è nella testa e nel cuore. Solo così è riuscita a risorgere e a vincere a 37 anni 3 titoli a dir poco e prestigiosi. “La vita quest’anno ha esagerato, non ci credo nemmeno io. Ho vinto Roma e l’oro olimpico, ho vinto qui sono felicissima”, ha detto Sara dopo il successo a New York sulla coppia statunitense Taylor Townsend–Donald Young con il punteggio di 7-6, 7-5 in un’ora e 28 minuti di gioco. Ed Andrea Vavassori l’ha incoronata a “regina” del tennis italiano. Parole belle ed importanti: “Sara è un esempio, è fondamentale per tutto il movimento: ci vedrete anche in Australia”.
Doping e sessismo, ma Sara non si è arresa
La campionessa emiliana è la tennista più titolata d’Italia (41 successi), ha partecipato a 5 Olimpiadi e completato il Career Golden Slam (settima giocatrice al mondo). Ma nel 2017 è stata sull’orlo del baratro. Accusata di doping per tracce di letrozolo nel sangue, è stata squalificata prima per 2 mesi e poi per 10. Sanzioni contestate da Sara e ritenute da più parti ingiuste. Il farmaco antitumorale era utilizzato dalla madre con la quale Sara viveva. La tennista ha sempre dichiarato di averlo assunto accidentalmente tramite il brodo dei tortellini cucinati proprio dalla mamma.
La Federazione Internazionale Tennis (ITF) inizialmente ha accolto questa versione, infliggendo una squalifica di 2 mesi. Poi diventati 10 dopo l’appello dell’antidoping italiano. Oltre un anno di stop con il rischio di smettere. “In quei momenti mi hanno abbandonata in molti, mail tennis e la mia famiglia sono rimasti accanto a me – ha raccontato – Avrei potuto lasciare, ma non ci ho pensato un attimo: il tennis è la mia vita. Ho sofferto, faticato, e sono ripartita dai tornei minori. Dicevano fossi pazza, e invece…”. Ma Sara ha dovuto anche combattere con il sessismo. Alle Olimpiadi di Parigi è stata dileggiata durante la semifinale nel corso della cronaca di una radio: “A sinistra c’è Sara Errani che comanda, fa tutto lei: i piatti, cucina, lava”, accompagnato dalle risate compiacenti dei presenti in studio. Ma lei è andata avanti fino al trionfo.
Una “leonessa”
FLOP
IL GENERALE VANNACCI
La forma è sostanza, ed uno che ha guidato il Nono lo dovrebbe sapere bene. Perché dietro la straordinaria sostanza di un incursore del Col Moschin, che ha le sue franchigie in quanto a modelli e regole di ingaggio, c’è sempre un background formale. Un addestramento che ne guida la condotta. E che proclama al mondo che quello è sì un soldato scelto, ma prima di tutto è un soldato chiamato a rispondere a regole formali che ne cesellano la condotta.
Ecco, solo a riflettere su questo, arrivando dritti dritti sul suo terreno quindi, Roberto Vannacci, avrebbe dovuto contare fino a 10. Lui invece, l’ex greca oggi eurodeputato leghista, si sente un bersaglio disegnato sulla schiena. E, piagnone e supponente, spiega che quelli che si attribuiscono a lui sono solo “dettagli lessicali” esasperati in narrazione per sabotarlo politicamente.
Tutta colpa della stampa di sinistra
In pratica – anche a fare la tara al fatto che il razzismo non è un dettaglio – Vannacci dice questo: che non è Vannacci che dice cose assurde. E che le fa sapere alla stampa. No, è la stampa che attribuisce a Vannacci la sola paternità di frasi assurde, senza vedere con dolo le cose sensate che dice.
Un po’ ci starebbe pure, ma il dato è sempre quello. E cioè: se vuoi che qualcuno metta focus sulla parte raziocinante del tuo pensiero devi stare molto attento ad non esagerare con la parte tamarra del tuo lessico. Altrimenti è fisiologico, normale e giusto che quel “contenitore” becero si mangi anche quel che di buono hai da dire.
“Osservo con curiosità come una certa stampa e gli avversari politici abbiano scelto di focalizzarsi su dettagli puramente lessicali delle mie dichiarazioni. Ed ignorandone invece il significato profondo e evitando di affrontare quelle tematiche di grande importanza da me più volte citate”. Quali sono le tematiche importanti? Vannacci è diligente, ha studiato ma si è scelto i testi scolastici da solo.
L’elenco “raziocinante” del generale
“Situazione internazionale, l’immigrazione, il rilancio economico che deve passare per la costruzione di infrastrutture e la riscrittura del green deal“. E ancora: “La necessità di deurbanizzare, il rilancio dell’agricoltura che si oppone al rewild Europe voluto dalla von der Leyen, la questione energetica”.
L’elenco è perfetto, inoppugnabile: “La sicurezza interna ed esterna, la valorizzazione dell’identità dei popoli, la necessità di abbassare le tasse per incrementare i salari. E favorire chi è in grado di generare posti di lavoro”.
“La rivisitazione del sistema di istruzione che deve essere molto più efficace, efficiente e aderente alle necessità del lavoro”.
Insomma, c’è o ci sarebbe un generale Vannacci che solo chi lo avversa non vuole vedere, e che sta in primo piano mentre una masnada di cattivoni gli sbircia dietro. Anni fa un incursore Tier-1 del Nono si fregiò in servizio del mitico basco grigio invece che di quello amaranto dei paràca.
Il basco grigio verde, come simbolo storico di reggimento, non era ancora tornato ufficialmente (tornò nel 2019), ed indossarlo era un atto “forte in simbologia” ma non formale. Perciò quell’incursore venne redarguito e punito.
E Vannacci avrebbe approvato la sanzione sul “dettaglio”.
La sostanza della forma.