
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 8 febbraio 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 8 febbraio 2025.
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DANIELE PILI

E’ uomo di Coldiretti fin nella polpa. E di Coldiretti è il nuovo presidente sul comparto Latina, Cioè per quella fetta di Sud Lazio che nel format protocollare della Camera di Commercio unificata e guidata da Giovanni Acampora deve mettere a cresi le istanze di due realtà distinte: il Pontino e la Ciociaria-Cassinate. Alla guida di Coldiretti Latina Daniele Pili ci era arrivato subentrando a Denis Carnello. Pili è un 48enne che ha dalla sua una veste integerrima di uomo tutto d’un pezzo.
E’ laureato in scienze politiche con specializzazione in economia e sta sul pezzo come pochi prima di lui in ambito Coldiretti. Infatti è titolare di un’azienda agricola a Latina, che si occupa della produzione di olio e da anni è “manager di diverse società che operano nel settore dell’edilizia e dell’industria, oltre che dell’agricoltura”.
Lo start come occasione
E’ uno che parte da zero e che non considera lo zero di start un pregiudizio, Pili, semmai un incentivo. Ed è stato forse proprio per questo motivo che è stato eletto anche presidente dell’ITS Academy Fondazione Bio Campus di Latina. La sua elezione è arrivata con voto unanime, e il dato non è secondario. Significa che la Camera di Commercio di Frosinone e Latina guidata da Acampora ha scelto il suo uomo.

E che nello sceglierlo ha valutato skill tali da farlo mettere in casella di eccellenza. Nella sede di questa selezione il Cda ha riconosciuto ruolo ed impegno del suo predecessore, Carlo Picchi, “che ha lasciato l’incarico per sopraggiunti impegni istituzionali”. E proprio GIovanni Acampora ha voluto mettere suggello alla nuova nomina sulla quale ha avuto un peso la sua personale valutazione sulle skill di una persona che non soggiace alla logica degli inciuci.
Acampora: “Soluzione di continuità”
“Una nomina nel solco della continuità. Acampora è tra i soci fondatori della Fondazione Bio Campus. “Ringrazio il Presidente uscente Picchi, che era stato designato proprio dalla Camera di Commercio, con il quale voglio complimentarmi per l’operato portato avanti”.
Poi ha voltato pagina, con garbo ma visione prospettica: “Al neo Presidente Pili, che è anche alla guida della Coldiretti Latina, e che prende il testimone di Picchi, rivolgo i miei migliori auguri di buon lavoro. Sono certo saprà portare avanti al meglio l’impegno della Fondazione Bio Campus. La mission dell’ente camerale è quella di lavorare in sinergia con gli ITS per la formazione dei nostri giovani, nell’ottica di garantire a loro opportunità lavorative e alle nostre imprese figure professionali competenti e qualificate”.
Una missione, due uomini

E la mission è quella che mette assieme alla perfezione quel che vede Acampora come strategia e quel che vedrà Pili come tattica: “Colmare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è una delle nostre priorità per rilanciare l’economia dei territori e creare occupazione e gli ITS sono fondamentali per centrare questi obiettivi”.
“L’ITS Academy Fondazione Bio Campus di Latina è un’eccellenza nel panorama della formazione per l’intero territorio. Offre percorsi articolati e studiati in collaborazione con le aziende per rispondere alle esigenze occupazionali di uno dei settori trainanti della nostra economia”.
Il tutto senza dimenticare “l’originaria vocazione agricola del territorio pontino”. Una vocazione che unisce due province due uomini chiamati a incarichi di responsabilità massime sulle stese. Con Pili che alla fine ha ottenuto quello che, semplicemente, si meritava.
L’uomo giusto al posto giusto.
ANTONIO POMPEO

Coerente. A costo di rasentare il masochismo. Antonio Pompeo è così. Da sempre. Convincerlo a cambiare idea non è semplice: nel tempo ci hanno provato il presidente Pd del Lazio Francesco De Angelis, l’ex Segretario nazionale Dario Franceschini, finanche il suo amico sindaco di Firenze Dario Nardella.
L’ex sindaco di Ferentino ed ex presidente della Provincia di Frosinone non è incline a concessioni sul campo ideologico. Il che lo ha portato a rifiutate un asse con la componente maggioritaria Pensare Democratico all’alba dello scorso Congresso Pd in provincia di Frosinone, a rifiutare di rimanere nell’orbita di Area Dem quando è stato accolto lo stesso Francesco De Angelis, rinunciando ad alleanze numericamente sostanziose e politicamente convenienti.
Scuola Margherita
Scuola Margherita, una delle formazioni del cattolicesimo democratico post spiaggiamento della Balena Bianca. Altri tempi. Nei quali esisteva l’evoluzione e non l’aggregazione di convenienza. È per questo che Antonio Pompeo ha detto no ancora una volta ad alleanze ed aspettato che la sua componente Base Riformista (i post renziani rimasti nel Pd) scegliesse il modo in cui evolversi.

Lo ha fatto nelle ore scorse, dando vita ad Energia Popolare, nuova componente nazionale della quale ieri Antonio Pompeo è stato nominato coordinatore del Lazio insieme a Silvia Costa e Mariano Angelucci. Il senatore Alessandro Alfieri, responsabile Riforme della segreteria Pd, è il nuovo coordinatore nazionale.
Energia popolare
Energia Popolare è l’area politica del Partito nata a sostegno di Stefano Bonaccini al congresso poi vinto da Elly Schlein. Ieri si è riunita in assemblea a Roma per strutturarsi più compiutamente a livello nazionale e territoriale. Decidendo che Stefano Bonaccini resti alla guida e di affidare il coordinamento dell’area ad Alessandro Alfieri con un ruolo organizzativo.

L’incontro di Energia Popolare ha visto partecipare oltre 200 tra parlamentari nazionali ed europei, amministratori regionali e locali, dirigenti nazionali e territoriali del partito. Non punta a creare un nuovo Partito ma a proseguire nel percorso unitario dentro il Partito, con l’obiettivo di contribuire alla proposta programmatica del Pd e alla costruzione di una credibile alternativa di governo.
A Bergamo per promuovere
In questo senso, Antonio Pompeo sabato 22 febbraio sarà a a Bergamo per promuovere con Giorgio Gori e Vincenzo Colla il convegno ‘Innovare per tornare a crescere’ su transizione ecologica e politiche industriali. E a seguire altre iniziative: a marzo in Toscana con Simona Malpezzi e Brenda Barnini ci sarà un incontro sugli strumenti per contrastare la povertà educativa.

A lui ed al team laziale toccherà organizzare per maggio a Roma l’incontro con Marco Granelli, Alessandro Onorato e Valeria Valente quello sui temi della sicurezza e della coesione sociale.
Con Antonio Pompeo erano presenti a Roma una cinquantina di esponenti Pd di primo piano. Tra i quali: Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Graziano Delrio, Antonio Decaro, Simona Malpezzi, Valeria Valente, Eugenio Giani, Simona Bonafè, Sandra Zampa, Anna Maria Furlan Dario Parrini e Piero De Luca.
Energico.
ROBERTO GUALTIERI

Il suo è un percorso lineare, ed evidentemente proteso al prossimo voto amministrativo. Tuttavia sbaglierebbe chi avesse visto nella condotta di Roberto Gualtieri una semplice enunciazione della lista della spesa con cui il sindaco di Roma vorrebbe la riconferma al Campidoglio. Quella dell’attuale primo cittadino capitolino è una vera e propria esibizione di forza. Una specie di “brutalismo lessicale” con cui Gualtieri sta colonizzando ogni santo giorno i social con le opere portare a termine in una città per cui, più che per le latre, i cantieri sono veleno.
I diversi format
Non è (solo) quindi un format legato al Giubileo o alle scadenze d’urna. No, Roberto Gualtieri è un meticoloso costruttore di se stesso e della sua immagina pubblica. E forse lo si è capito troppo tardi solo per un dato parallelo ma finora trascurato. Gualtieri è parte integrante del Pd, di quel Pd romano che una certa vulgata associa o agli appetiti da generone radical chic oppure ai potentati occulti d una sorta di Deep State in salsa Dem che è quello che poi dà le vere carte ai tavoli del Nazareno.
Che invece Gualtieri fosse semplicemente un sindaco che vuole fare il sindaco e che sta surfando l’onda giusta pare essere passato sottotraccia. Troppo magari. “Conclusa a dicembre la riqualificazione e il restyling della Stazione Metro A Ottaviano”. Poi lo spiegoncino storico che ormai non manca mai.
“Spiegoni” ed opere

“La stazione risale al 1980 e lavori di riqualificazione così importanti e profondi non erano stati mai eseguiti. Infatti, le condizioni della stazione non erano il massimo… Adesso è migliorata in ogni suo aspetto: dall’atrio alle banchine, per potenziarne efficienza, sicurezza e comfort“. Gli elenchi quasi cantieristici con cui il sindaco, presente anche al Primo Forum del Turismo della Regione Lazio, decanta il fatto non sono una cosa puerile, ma danno la cifra esatta del cambiamento che l’opera vuole suggerire.
“Oltre agli importanti lavori strutturali, sono stati sostituiti i tre servoscala presenti, con nuovi di ultima generazione che permettono maggiore capacità di carico, possono essere utilizzati con carrozzine elettriche e tradizionali e sono dotati di un seggiolino per i passeggeri a ridotta mobilità che non fanno uso di carrozzina. E’ stata completamente rinnovata la biglietteria e la nuova struttura garantisce maggiori servizi ai passeggeri e maggior comfort per il personale”.
Le metro di Roma

Poi l’elenco, che con Gualtieri non manca mai. E in questo caso è lunghetto ed utile, a contare che muoversi a Roma con l’auto privata è un’Odissea che non si augura neanche ai peggiori nemici. “Il progetto di riqualificazione proseguirà nella seconda metà del 2025 con il restyling di 11 stazioni, che risulteranno meno impattanti in vista degli importanti flussi giubilari in arrivo (prossime stazioni del 2025 sono: Battistini, Ponte Lungo, Furio Camillo, Colli Albani, Arco di Travertino, Porta Furba, Numidio Quadrato, Lucio Sestio, Giulio Agricola, Subaugusta, Cinecittà).
Nel 2026, il progetto sarà completato con il rinnovo delle restanti 13 stazioni. C’era anche uno slogan finale ma non serve. Perché ormai lo slogan migliore di Gualtieri è… Gualtieri che parla come Esiodo.
Le opere e i giorni.
LUCA ZAIA

Per dirle chiare lui le ha dette sempre chiarissime. Ma quello che ha sempre colpito di più di Luca Zaia è stata quella sua fenomenale caratteristica per cui il governatore uscente del Veneto mette a combo conservatorismo leghista ed aperture prog. Non è un problema di cifra etica – Zaia è leghista fin nel midollo e lo è talmente tanto da rappresentare il governista più pericoloso per Matteo Salvini – ma di senso del dovere.
Spieghiamola: Luca Zaia è l’archetipo dell’amministratore legato in tutto e per tutto ai territori ed all’applicazione delle norme che quei territori li governano. Senza mai scarrocciare nei grandi temi concettuali che danno respiro (a volte di fuffa) alla politica nazionale.
I concorsi e chi non li fa
Ecco perché, sul tema spinoso ed urticante della sanità in Veneto, Zaia ha aspettato che arrivasse un certo tipo di dati e poi ha dato un certo tipo di risposta. Per certi versi inoppugnabile. Quali dati? Quelli per cui nel 2024 la Regione Veneto ha fatto 112 concorsi per medici, “uno ogni tre giorni”.
Tutto bene dunque, e il problema dei contrattisti tramite chat whatsapp era problema farlocco? No, perché “su 814 posti teoricamente a disposizione nel 2024 sono state fatte solo 197 assunzioni”. Eccolo il vero core della questione, quello su cui Zaia non ha lasciato passare certe letture. E lo ha detto con chiarezza: “Ditelo a quei tromboni quale è il problema. C’è ancora chi pensa che mancano i medici perché non li vogliamo assumere”.
Il Veneto che fa gola a Giorgia

Zaia non è certo un politico di primo pelo, ed ha capito benissimo che sarà sulla Sanità regionale di una regione che fa gola a Giorgia Meloni per le elezioni imminenti che si giocherà la partita. Perciò sta battendo molto su quello che lui definisce “un grande triangolo del sapere in sanità, composto da Padova, Treviso e Venezia”.
Cita il “prestigio mondiale della scuola sanitaria in Veneto che si basa sulle eccellenze degli atenei di Padova e Verona. Non a caso, il 75% degli studenti che si formeranno a Venezia saranno dell’Unione Europea, italiani compresi, e il rimanente 25% di provenienza extra Ue”.
Gli attacchi “inside”
Ed al tempo stesso respinge certi attacchi “inside”, abilmente fomentati pare anche da esponenti dei partiti della maggioranza con cui la Lega governa il Paese, sul tema.
Come una risorsa aggiuntiva a ché non solo una certa Lega resti salda in piedi nei suoi territori di elezione, ma anche chi di quella Lega là è sempre stato il più fedele ed efficace testimonial.
Cioè lui.
La risorsa che spaventa il Capitano.
FLOP
LLY SCHLEIN

Va fatta una precisazione in esordio: quello che Elly Schlein ha detto in Parlamento per bollare la relazione alle Camere di Carlo Nordio e Matteo Piantedosi è in gran parte condivisibile. Sia secondo un certo modo di vedere le cose che secondo il focus, “oggettivo”, per cui i due ministri hanno fatto la figura dei passacarte un po’ confusi che hanno coperto le spalle a Giorgia Meloni su caso Almasri.
Va detta poi una cosa due, e per capirne il senso bisogna concentrarsi ad esempio sull’intervento in Senato di Matteo Renzi. Che, anche al netto di posizioni a volte, più “morbide” nei confronti del Governo, stavolta è stato spietato. Perché può permetterselo, dato che non è cardine strategico con i numeri del suo partito.
Qual è la chiave politica
E il punto, la chiave sta tutta qua. E’ evidente infatti che la polpa del caso Almasri è tutta politica, e che in politichese esistono diverse forme di approccio e contrattacco. Non è l’angolatura etica che interessa perciò, quella è ecumenica e molto vicina all’intangibilità.
Ma se un partitino che raggranella poco più del 2% ha diritto di sparare a palle incatenate non è la stessa cosa per il principale partito di opposizione, quello correntista assai che può costituire un’alternanza vera a chi oggi presidia Palazzo Chigi.
Il lessico da barricata

Elly Schlein è sempre stata preda di un lessico idealista che, come segretaria del Nazareno, l’ha messa spesso in condizione di “basculare” ma mai di avere il pieno appoggio di tutto il partito. E quando Schlein dice (urla) cose giustissime in un’aula dove la ragione le si è già seduta al fianco forse non capisce una cosa cardinale.
Che accodarsi al solo mainstream del “governo complice” non è la cosa migliore. La chiave di lettura è e resta quella dell’Esecutivo approssimativo, mestierante ed imbrigliato da patti che proprio il Pd stilò con i libici.
Il boomerang e i due Pd
Perciò Schlein questo dato lo avrebbe dovuto rimarcare meglio, e non esporsi all’ennesima bollatura che fa di lei un’ottima “pasionaria” ma una leader politica ancora divisiva. Una che, essendo del Pd nuovo può dire cose che ricadano a boomerang sul Pd “vecchio”.
Ed invece la segretaria ha sparato anche lei a palle incatenate, come una “Renzi qualunque” (percentualisticamente parlando, s’intende). Così: “La vostra arroganza non ha limiti, mentre scarcerate un criminale ricercato a livello internazionale, proponete leggi per trasformare la vostra immunità in impunità”.
Ecco, il legittimo sermone etico diventa un pistolotto per rimarcare un altro tema. Eppure oggi i torti del governo sono così tondi e, sia pur per parte, autonomi nella loro evidenza che forse non serviva caricare con altro.
Nordio difensore di Almasri

E ancora: “Vi abbiamo ascoltati e quel che dite è inaccettabile. Il ministro Nordio ha parlato da avvocato difensore di un torturatore“. L’impressione è stata quella, ma alla fine c’è qualcuno che giurerebbe sul fato che Nordio sia uno che a a cuore le sorti di quel macellaio di Almasri?
Magari ha troppo a cuore le sorti del suo dicastero e della sua premier, ma non al punto da affratellarsi con un nazista nordafricano. Poi il distinguo che magari anche no.
Le differenze rimarcate: troppo

“La differenza tra noi e voi è che noi abbiamo rimosso immediatamente il tesoriere campano sotto inchiesta. Mentre voi avete una ministra rinviata a giudizio per truffa allo Stato e Meloni non riesce a farla dimettere”.
E’ tutto vero, e lo ribadiamo, ma c’è un altro dato. Elly Schlein lo ha capito che, specie dopo la “sterzata” di Dario Franceschini, deve calcare più il terreno della maturità di compendio che delle barricate pop?
Forse è il caso che si faccia un grosso nodo al fazzoletto.
Tattica ma non strategica.
GUIDO CROSETTO

Il libro o ha scritto un archetipo quasi perfetto da “nomen-omen”, cioè Giacomo Salvini, si intitola Fratelli di Chat e mette nero su bianco tutto il vetriolo che negli anni ha corroso i rapporti tra il partito di Giorgia Meloni e quello di Matteo Salvini. Il che, a ben vedere, non è proprio uno “scoppone”: chiunque mastichi anche solo di politica mainstream sa benissimo che tra Fdi e Lega non mai corso buon sangue.
Anche al netto del fatto che oggi sono alleati e governano il Paese. Il dato semmai è un altro, ed è quello per cui il format pruriginoso del libro pubblicato da PaperFirst ha schiuso scenari in cui a volte sono arrivare conferme, altre sorprese. Brutte sorprese.
Il “partito senza onore”
Chi avrebbe mai potuto dubitare del fatto che Giorgia Meloni ritenesse la Lega un “partito che non ha onore”? E c’è qualcuno, forse che da Giovanbattista Fazzolari si riferisse al “Capitano” in questi termini, cioè “il ministro bimbominkia colpisce ancora”? No, perché il battage dei personaggi e la distonia assoluta tra le due formazioni ed i leader erano evidenti.
Semmai scatta la voglia pruriginosa – da cui l’effetto bomba dell’opera – di andare a centellinare il lessico stretto che disegna i difficili rapporti tra i due partiti. Rapporti che proprio in queste ore (e qualcuno giura che un po’ c’entri anche il libro – ndr) si sono ulteriormente deteriorati alla Pisana guidata da Francesco Rocca.
Echi alla Pisana?

Con Guido Crosetto invece il discorso è diverso. Lui è il “ministrone” pratico, o almeno era visto come tale. Il gigante che possedeva tutta la pragmaticità di chi non è ammalato a ideologie spinte o moti di spleen. Qualcuno insomma vedeva nel Ministro della Difesa una sorta di argine cartesiano alle derive urlate del sovranismo più acceso inside Fdi.
Ed invece, almeno stando a quanto riporta “Fratelli di Chat”, con Crosetto pare essere accaduta la stessa cosa che accadde con il John Wayne descritto da un Carlo Verdone in vena di millanterie da celluloide in “Borotalco”. Di Salvini altri parlavano come di uno “che fa accordi sottobanco con Renzi per il cognato Denis Verdini” e Crosetto ha rincarato in merito a certe sue scelte “Un atto da cialtrone superficiale”.
Ossessionato dai complotti
Ma il focus non è questo, semmai è l’atteggiamento con lessico annesso che Crosetto ha sempre dimostrato nei confronti dei giudici, che lui pare veda come una sorta di Spektre. E che puntualmente pare avvisasse uomini e donne del partito che “l’attacco del braccio armato giudiziario” era imminente.
I media spiegano che lui questa cosa la ripeteva “come un mantra nel 2021, nel 2022, fino alla vigilia delle elezioni. Un’ossessione che, a detta degli stessi interlocutori di Crosetto, rasentava il delirio persecutorio”.
“Dobbiamo essere uccisi”

Secondo il ministro e co-fondatore di Fratelli d’Italia, la giustizia italiana “si muoveva con un preciso intento politico, con lo scopo di colpire il partito della Meloni nel momento cruciale della sua ascesa”. E non certo con toni da balera. “Noi, gli unici ‘antisistema’ dobbiamo essere eliminati, espulsi, uccisi, eliminati. Senza pietà. Come solo la sx dc sa fare. I fronti saranno molti. Intanto da oggi l’ordine di scuderia al braccio armato giudiziario”.
Poi però andava placido e Peace and Love in tv o sui social a spiegare che lui alludeva a singoli casi e non ad vero disegno.
M’è caduto un mito…