I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 10 gennaio 2025
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 10 gennaio 2025.
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VITTORIO RIZZI
Negli anni in cui parlare di Intelligenza Artificiale era ancora roba a metà tra Star Trek e settori di nicchia serratissima lui già voleva i computer quantici a servizio della Polizia di Stato. Ha 65 anni ed è coltissimo, Si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e in scienze delle pubbliche amministrazioni presso l’Università degli Studi di Catania. E’ un Prefetto fin dal 2016 ed è stato Vice capo vicario della Polizia dal giugno 2023 all’agosto 2024.
Tutte skill sufficienti, queste, a spedirlo dallo scorso 2 settembre alla vice dirigenza dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi). Insomma, che Giorgia Meloni scommettesse su Vittorio Rizzi sapendo benissimo che non di azzardo si trattava pareva cosa ovvia, fin da tre giorni fa.
Quando cioè, dopo la dimissioni di Elisabetta Belloni dalla direzione del Dis si era entrati nella fase viva del toto-nomi. E sarà proprio Rizzi a prendere il posto dell’ambasciatrice, per tutta una serie di contingenze che sono crasi fra quel che Rizzi è e quel che Rizzi rappresenta.
Il “mobiliere” ben visto a Palazzo Chigi
Il neo uomo di punta del Dis è infatti un “mobiliere”, cioè uno che in carriera ha fatto tutto e lo ha fatto nei settori più cruciali particolarmente adatto alla bisogna. Tra questo tutto ci sono anche le dirigenze della Squadra Mobile di Milano e poi della Squadra Mobile di Roma. Roba dove ci si gioca la carriera. E poi ti resta appunto l’appellativo di mobiliere.
Questo per dire che il Dis non è solo la punta strategica della lancia dei servizi, ma è il punto esatto in cui politiche, scelte, tattiche e manovre delle barbe finte incontrano il potere politico e le istituzioni.
Rizzi è particolarmente in sintonia con il Sottosegretario Alfredo Mantovano ed è un fautore storico delle collaborazioni con gli Atenei. Cioè con quei posti deputati al sapere in purezza che tanto contribuisce al successo delle operazioni di intelligence.
Leggenda narra che, dopo a nomina a Commissario nei secondi ’80 ed a seguito di una brillante operazione nei primi 2000, ebbe a dire “Finalmente non sarò più il nipote di Vincenzo Parisi”. Cioè dello storico Capo della Polizia dal 1987 al 1994.
E quello che il Consiglio dei Ministri di ieri ha validato come uomo di punta dei Servizi della Repubblica non è davvero nipote di nessuno. Ma padre del suo successo.
Licenza di eccellere.
LUCA BOTTURA
L’avvio del 2025 ha consegnato un format decisamente atipico. Era quello che a sua volta però seguiva la tendenza di un certo lessico di Giorgia Meloni, abituale e nuovo al contempo. Quello per cui se il Governo attuale ha dei nemici, quelli sono nemici non del Governo, ma dell’Italia. Perché abituale?
Perché ormai ed anche per questo 2025 la premier dal suo personaggio di donna perennemente sul campo di battaglia, anzi, sul ring, non ci sa uscire più. E perché atipico? Perché a furia di indicare ogni avversario suo e dei suoi come un mezzo traditore di Roma ed annessi Meloni è andata a ritroso nel tempo. Ed ha iniziato a chiamare in causa dei “nemici” invero molto marginali.
Via i pallettoni, vai coi pallini
E’ un po’ come se alla fine avesse esaurito la cartucciera dei colpi a pallettoni e le fossero rimasti solo quelli a pallini da tordi in fondo al tascapane. Perciò Meloni pure quelli spara. Malgrado i successi in diplomazia stratta. E malgrado – diciamoci la verità – gente come Roberto Saviano e Romano Prodi non sia più poi così centrale nelle dinamiche sociopolitiche del Paese. E da tempo.
Eppure, specie nel caso del padre dell’Ulivo, la premier sembrava aver tirato il grilletto con ancora maggior convinzione. Tanto da strappare qualche considerazione sciolta ad un Luca Bottura decisamente in gran spolvero.
Considerazioni di questo tipo, ad esempio: “L’odio per Romano Prodi, di gran lunga il miglior Presidente del Consiglio, uno che nel 2006 senza le chiavette di Pisanu aveva stravinto le elezioni ma si ritrovò con una maggioranza Brancaleone dopo che erano state fatte sparire le schede bianche, ci dice molto di quale Paese siamo”. E ancora: “Non sopportiamo chi è un po’ meglio di noi, ci piacciono i padroni, ché coi politici ci tocca pensare e dovremmo persino prenderci la responsabilità di averli votati”.
Pochi giganti all’orizzonte
C’è molto di vero in quel che Bottura dice, soprattutto a considerare che, nel novero generazionale dei “posteri politici” di Prodi, non si vedono giganti. Specie sul fronte destrorso, a dire il vero fino a alla fine. Bottura incalza: “Invece preferiamo delegare a chi ci indica un nemico qualunque cui attribuire i nostri fallimenti”. E c’è di più: “Abbiamo esportato il format in giro per il mondo, col plauso dei cosiddetti liberali, proprio come un secolo fa”. Quale format?
Ovvio, non quello di una destra sociale che non vede, né cerca più nessuno, ma quello del Cav. “E anche stavolta, il format berlusconiano del capitalismo muscolare è stato copiato in meglio da una pletora trasversale che va da Putin a Erdogan, da Milei a Netanyahu, persino in quel curioso mix di estremismo ‘socialista’ e ultraliberismo che è la Cina”.
La profezia dello scrittore e giornalista è mezza fosca ma difficilmente oppugnabile: “Tra un po’, da comparse, proprio come nel ’40, assisteremo al redde rationem tra Pechino e Washington. Poi, magari, ci renderemo conto di come putrefare la democrazia non sarà stata una scelta oculata. Tardi”. Ed il pensiero vola in alto, ai satelliti Star Link di Elon Musk come libbra di carne per il caso Sala.
Azzecca merito e format.
PASQUALE CIACCIARELLI
È facile fare il figo quando vai in giro con il cugino culturista alle spalle. Poi però se devi uscire da solo ti scopri con le spalle piccole e strette, tante sbruffonerie non le puoi fare. Capita. Capita in tante situazioni. Non è capitato alla Regione Lazio e non sulle politiche per aiutare la gente in difficoltà a pagare gli affitti.
Per anni la Regione ha potuto aiutare le famiglie a non rimanere indietro con i canoni perché aveva a sua volta un fondo alimentato dal Governo Nazionale. In pratica: lo Stato ci metteva i soldi e la Regione poi li girava ai Comuni vincolandoli al pagamento degli affitti per le famiglie che si erano trovate travolte dalla crisi economica. Quest’anno no.
Questa volta il riordino dei conti ha tagliato quella voce. E la Regione Lazio ha dovuto prendere una decisione: cancellare i contributi per gli affitti, ridurli in maniera consistente, fare da sola. Il Governatore Francesco Rocca e l’assessore alle Politiche della Casa Pasquale Ciacciarelli si sono guardati in faccia. E poi hanno guardato nelle casse. Facendo un’operazione di riassetto e riordino dei conti soino riusciti a rastrellare le risorse necessarie. Ed hanno rifinanziato il sostegno alla locazione pur non ricevendo dal Governo centrale i soldi che arrivavano nel passato.
Le sfide sulla casa
Non era una sfida semplice, l’esito non era scontato. Rientra in una serie di interventi che dall’inizio della gestione Rocca stanno rivoluzionando il settore Casa. Non va dimenticata la riforma grazie alla quale è ora possibile riutilizzare gli spazi lasciati dai Cinema abbandonati: nel Lazio sono centinaia e spesso in zone centrali; ed al tempo stesso consente di utilizzare i sotttotetti nei Centri Storici ed il Lazio è tutto un centro Storico. Da alcune ore è partita la proposta per il cambio d’uso dei fabbricati rurali. Consentirà di superare lo stato di abbandono in cui si trovano molti edifici esistenti in zona agricola e inutilizzati da tempo.
La prossima sfida sarà l’aggiornamento dei Piani Regolatori: i Comuni non hanno i soldi ed una soluzione andrà individuata se si vogliono modernizzare gli sviluppi urbanistici dei Comuni del Lazio.
Un altro impegno non da poco. Da realizzare senza cugini palestrati.
La rivoluzione del mattone.
FLOP
GIUSEPPE VALDITARA
Il “vizietto” pare proprio sia comune a (quasi) tutti i membri dell’esecutivo. E il termine sarebbe anche improprio perché a ben vedere non è un vizietto, ma solo un modo legittimo, ed a volte, sacrosanto, per tutelarsi ex lege. Detto questo però va esposto anche il rovescio della medaglia: il fatto che i membri delle istituzioni e della politica siano legittimati a denunciare chi a loro parere li diffami non li emenda da una considerazione.
Quella cioè per cui quando una di queste persone mette mano alle cosiddette “carte bollate” e se lo fa con eccessiva acrimonia alla fine ci perde un po’ la faccia. Perché un politico dovrebbe mettere in conto le critiche e, quando non proprio smodatamente cafone, dovrebbe considerarle come fardello fisiologico della propria attività.
Giustizia o livore eccessivo?
Il tutto con un upgrade ove si parli di personaggi con incarichi istituzionali: perché in quel caso certe scelte appaiono non solo eccessive, ma anche livorose. Giorgia Meloni è una che denuncia facile, ad esempio, ed è premier, e tra coloro che sono (o sono stati) nel suo entourage non sono mancati gli emuli. Per Matteo Renzi ormai la querela per diffamazione è diventato un intercalare che usa quasi con ogni interlocutore.
Ed a proposito di costoro sono proprio questi i giorni, giorni di esordio del 2025, in cui stanno partendo le notifiche dell’ultimo sollecito di esercizio di azione penale da parte di Giuseppe Valditara. Che in quanto Ministro dell’istruzione dovrebbe aver compreso ancor meglio certi meccanismi, ma solo al condizionale.
“Zittire il dissenso”, anzi…
Il Domani è un giornale che per ovvi motivi non può essere tenero con l’Esecutivo, perciò quando era stata data menzione di queste denunce non ci era andato leggero. “Zittire il dissenso. Ormai uno stile di casa del governo Meloni che punta a silenziare il semplice dovere di cronaca e diritto di critica. L’ultimo a farne sfoggio è stato il ministro all’Istruzione, Giuseppe Valditara che in un solo giorno ha fatto recapitare a due intellettuali, lo scrittore Nicola Lagioia e il giornalista-scrittore Giulio Cavalli due querele”.
Non è tanto una questione di zittire il dissenso, roba da repubblica delle banane che non sta nel format di nessuna Italia e che spesso magnifica voci dissidenti tutto sommato flebili. E proprio un problema di stile, di forma. Un problema per il quale Valditara non riesce a capire che per tutelare la propria immagine ha a disposizione armi “laiche” molto potenti, e non denunce “furbette”.
Perché furbette? Perché Valditara non vorrebbe un accertamento in sede penale, ma “vuole soldi”. Perciò ha rimesso tutto alla Procedura Civile. Cioè, per dirla col Domani, “non vuole giustizia in sede penale, non gli interessa stabilire se quell’articolo riferisca il vero. Vuole soldi. Diecimila euro”. Sì, ma il merito?
Insomma, il dato è che dove c’è potere pare esserci una smodata propensione ad affermarlo ancor più: non per ristabilire una verità storica, ma per stabilire che nella società ci sono pesi piuma e pesi massimi.
Ed anche solo “sfruculiare” i secondi è sconsigliabile.
Carta canta: bollata.
ANDREA VELARDO
“Nella nostra Provincia, assistiamo già da qualche mese a uno spettacolo sconcertante: il Partito Democratico, travolto da divisioni interne e da una lotta surreale per le poltrone, sembra aver dimenticato il proprio ruolo di ascolto e confronto con il territorio“. Chi lo ha detto? Chi richiama al proprio ruolo politico e sociale il Pd?
È stato il Segretario Regionale Daniele Leodori? No, assolutamente. Il Presidente regionale Francesco De Angelis? Ma proprio no. Uno dei due candidati alla Segreteria Provinciale, Luca Fantini o Achille Migliorelli? Neanche a pensarlo. Chi allora? Andrea Velardo, Consigliere provinciale di… Fratelli d’Italia.
Il concetto nuovo per Velardo
Ora, facciamo a capirci: il concetto di democrazia interna per Fratelli d’Italia è obiettivamente nuovo. È frutto della meritoria opera di modernizzazione e superamento delle nostalgie portato avanti coraggiosamente da Giorgia Meloni. In maniera tanto convinta che oggi i Fratelli d’Itralia possono dare lezioni di democrazia interna a Lega e Forza Italia. Ma a tutto c’è un limite. Si discute, ci si divide, si trova una sintesi e poi ci si mette in marcia. Ma ciascuno in casa propria.
Verissimo che il Pd sia un Partito molto particolare: nel quale il Segretario non lo eleggono i militanti, gli attivisti e gli iscritti ma i passanti che si fermano ai gazebo per strada. Però tutto questo non legittima un Consigliere Provinciale FdI a dare lezioni sul percorso congressuale che il Pd deve affrontare.
Perché a ben vedere, sulle tessere ed i conflitti interni, ogni Partito strutturato e degno di questo nome ha una lunghissima tradizione di scontri. Che fanno parte della Democrazia. Interna. Cioè che è faccenda di quel Partito e dei suoi iscritti. Che è cosa ben diversa dalla Democrazia che coinvolge tutti: quella del Paese. Per il Consigliere Velardo forse il concetto è nuovo e non ne ha ancora la sufficiente dimestichezza. Per questo non commenta le vicissitudini che hanno interessato il suo Partito e suoi colleghi di Gruppo in Provincia ma si appassiona delle questioni interne al Pd.
Invasione di campo.