Top e Flop, i protagonisti di venerdì 13 giugno 2025

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 13 giugno 2025

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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 13 giugno 2025.

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TOP

LUIGI SBARRA

Luigi Sbarra ed Enrico Coppotelli

Nel grande Circo Barnum della politica italiana, dove spesso gli acrobati diventano domatori e i domatori si fanno contorsionisti, Luigi Sbarra compie l’ultima evoluzione. Ex Segretario generale della Cisl, ora Sottosegretario al Sud. Una parabola che sembra disegnata da un autore di teatro politico più che da un calendario istituzionale.

Sbarra non è uno che si accontenta di fare il pensionato in pantofole, magari commentando i talk show tra una camomilla e un ricordo di Franco Marini. No. Lui, al contrario, ha deciso che il tempo della protesta è scaduto, e quello della proposta è appena iniziato.

La Legge Sbarra
Luigi Sbarra (Foto: Leonardo Puccini © Imagoeconomica)

Con la sua “Legge Sbarra” – già ribattezzata da molti come la Costituzione Partecipata – ha messo la firma su un cambio di passo epocale nei rapporti tra lavoratori e imprese. Partecipazione agli utili, al capitale, alla gestione: una rivoluzione in punta di diritto, ma con l’ambizione di cambiare la storia.

Poi, come nei racconti ben riusciti, è arrivato il colpo di scena. Giorgia Meloni, con una mossa da scacchista esperta (o pokerista cinica, fate voi), gli ha allungato la mano e gli ha detto: “Vieni, che c’è un mezzogiorno da risollevare”. Ed ecco Luigi – Gigi per chi frequenta i corridoi della Camera – planare a Palazzo Chigi con la delega al Sud, lasciata libera da Raffaele Fitto come un bicchiere mezzo pieno da riempire con investimenti, infrastrutture e un tocco di retorica di riscatto.

La scelta dei tempi
Giorgia Meloni

Non è solo una nomina, è un segnale. Il governo Meloni rompe ufficialmente la triplice sindacale, porta a casa un pezzo pregiato del cattolicesimo sociale e si piazza un jolly in Campania e Puglia, dove l’aria di urne comincia già a pizzicare. Il tutto avviene – ça va sans dire – a quattro giorni dal flop referendario della Cgil. E se vi sembra un caso, probabilmente credete ancora a Babbo Natale.

La sinistra sbraita al “premio fedeltà“, la destra prende appunti. Il M5S protesta per sport. E Sbarra, nel frattempo, parla di “significativi segnali di ripresa del Sud grazie all’azione del governo Meloni”, come un manager che racconta agli investitori i buoni risultati dell’ultimo trimestre. Ex operaio dell’Anas, calabrese di radici profonde e temperamento piantagrane, Sbarra ha smesso i panni del combattente per indossare quelli del costruttore. Chissà se reggeranno al primo temporale.

La verità è che l’Italia – soprattutto quella di mezzo e di sotto – ha bisogno di facce che conoscano sia il tavolo delle trattative che il cantiere, sia i codici dei contratti che il sudore degli operai. In questo, Luigi Sbarra è forse il compromesso perfetto. La destra si compra una credibilità sociale, la Cisl ottiene un microfono in più, e l’elettorato centrista un nuovo possibile punto di riferimento. Altro che tecnocrazia: questa è l’arte della politica.

Dalla protesta alla proposta.

DANIELE MAURA

(Foto © Stefano Strani)

Nel Lazio dei mille enti e delle creature burocratiche a metà tra Kafka e Totò, ogni tanto succede che qualcuno di loro venga soppresso. E poco conta se aveva meno di sei mesi di vita. Una scelta politica lo aveva fatto nascere ed una scelta politica lo aveva fatto sopprimere.

La storia è quella dell’EGAF, ovvero l’Ente di Governo d’Ambito per i rifiuti della provincia di Frosinone. Una sigla che prometteva ordine e risparmi nella raccolta dei rifiuti nei 91 Comuni della provincia: ogni Comune aveva il suo appalto e la sua ditta, Egaf li avrebbe dovuti sostituire tutti con un gestore unico. Messo in piedi dalla Giunta Zingaretti con le migliori intenzioni l’EGAF era diventato nel tempo più un nodo da sciogliere che uno strumento da usare. Per il centrodestra del suo successore Francesco Rocca era un poltronificio con il quale sistemare l’ex presidente del Consiglio Regionale Mauro Buschini.

Il colpo di grazia ed il conto
L’assemblea dei sindaci

Poi, nel marzo 2024, il colpo di grazia: scioglimento e liquidazione. Ma la morte amministrativa, si sa, non è mai indolore. C’è sempre il funerale da pagare. E qui arriviamo al punto: i Comuni si sono ritrovati con un conto salato da saldare. Il liquidatore, con la precisione di un notaio e la parsimonia di un wedding planner, ha presentato il suo bilancio finale, lasciando intendere che – abolito l’ente – restava però da pagare il conto della cena.

Ed è qui che il consigliere regionale Daniele Maura fa la sua mossa. Niente sceneggiate, niente passerelle: solo un emendamento chirurgico infilato nella legge di stabilità, concertato con la sua collega Alessia Savo, sostenuto da Fabrizio Ghera (assessore ai Rifiuti) e da Giancarlo Righini (assessore al Bilancio). Risultato: la delibera approvata in giunta cancella il debito. I Comuni non pagheranno un euro in più.

Addio all’Egafismo

E mentre dalle parti del centrosinistra si riflette sul senso dell’egafismo perduto, Maura brinda (politicamente) a una vittoria dal sapore pieno. Ha visto smantellare un fortino del nemico politico ed ha evitato l’ultima rata di un disastro amministrativo. E soprattutto ha dato ai sindaci della provincia – già con l’acqua alla gola tra bilanci e tagli – un motivo per non bestemmiare al nome di Roma.

Insomma, se abolire l’EGAF è stato come buttare giù un muro, oggi Maura ha tolto anche le macerie. Non ci sono monumenti da erigere, ma una nota di merito – questa sì – la si può appuntare. Perché nella politica regionale, dove spesso si promette di tagliare e poi si sposta solo il peso, il consigliere di Fratelli d’Italia ha fatto l’opposto: ha tolto davvero. E non solo simbolicamente.

The Eraser

CLAUDIO DURIGON

Claudio Durigon (Foto: Andrea Di Biagio © Imagoeconomica)

È pontino, quindi tenace, e come molti di quelli che il Pontino le fecero ferace (veneti soprattutto) Claudio Durigon è uno di quelli che sembra debbano sferzare gli avversari solo per prammatica.

A lui interessano le cose concrete, solide, e soprattutto proclamabili senza effetti boomerang. Oggi il centrodestra, inclusa la Lega di cui Durigon è vice segretario nazionale, “si gode” una vittoria che non aveva cercato su una battaglia che non avrebbe neanche voluto condurre. Cioè quella sui referendum di Pd-AvS-M5s bocciati dal voto diretto.

E in una lunga intervista a Libero il vicesegretario che è anche sottosegretario al ministero del Lavoro ha sciorinato i temi caldi di un’estate che si preannuncia rovente.

L’intervista a Libero
Maurizio Landini (Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica)

Lo ha fatto con il piglio dell’ex sindacalista Ugl, ma anche con la scioltezza un po’ mordace di chi, qualche “cecio” dalla scarpa se lo doveva togliere. Ecco perché in ordine al flop dei quesiti referendari proposti dagli “avversari” ha detto di aspettarselo. “Hanno presentato dei referendum inappropriati, carichi di demagogia e poco sentiti dalla gente”.

La furbizia politica di Durigon è stata quella di andare a parare subito sul core della faccenda, che sarebbe quello che riconduce all’azione politica di Maurizio Landini. Così: “Chi fa attività sindacale deve sempre mettere al centro l’interesse dei lavoratori. La sinistra e la Cgil, invece, hanno montato una campagna politica parlando di rivolta sociale. Lo hanno fatto nel momento in cui il governo metteva 10 miliardi per rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale. Gli italiani l’hanno capito e la risposta è stata chiara”.

“Dimissioni? Meglio che restino…”
(Foto: Vince Paolo Gerace © Imagoeconomica)

Di Landini e subito dopo l’esito del foto referendario Durigon aveva invocato le dimissioni, ma con Libero un po’ giocava “in casa” e ne ha approfittato per stemperare un ukase in una perculata. Facendo bene, perché ha ottenuto il doppio risultato. Quello di non dare credito eccessivo ad un avversario.

Personaggio che lui ritine ormai impelagato nell’agone politico a discapito della mission sindacale in purezza e quello di diventare “leggero” secondo il format di un certo Carroccio che non vuole più essere belluino a vuoto. Perciò ridendo ha detto di averci “ripensato. Landini e pure la Schlein devono restare lì dove sono, ai loro posti. E che Dio ce li conservi in forma. Con loro due governiamo tranquilli ancora per molto…”.

Elly Schlein

Poi la bordata a chiosa: “Il risultato del referendum è stata la sconfitta delle politiche sindacali di Landini che sono state cavalcate da buona parte del Pd. Politiche che sono state bocciate dagli italiani una volta di più.

Ovviamente non è detto che abbia ragione, ma oggi i numeri e gli esiti gliela danno. E Durigon se l’è presa, a metà strada tra la durezza dei leghisti primigeni e la levità di chi ha letto le “Lezioni Americane” di Calvino.

Solido.

FLOP

GIUSEPPE VIRGILI

A Ferentino, terra di santi e di santi finanziamenti, pare che 45mila euro abbiano scatenato più selfie che un concerto di Ultimo. Dopo l’articolo “Fondi per il Giubileo: ecco i Comuni che hanno preso i soldi”, la corsa a intestarsi la paternità del contributo regionale per il Giubileo ha assunto contorni che oscillano tra l’epica municipale e la commedia dell’arte. (eggi qui: Ferentino, tutti padri del miracolo (da 45mila euro)).

Ma tra tutti i protagonisti della vicenda, uno ha superato la fantasia di ogni cronista: il consigliere comunale Giuseppe Virgili. Non pago di condividere la notizia (come altri), ha deciso di compiere l’ultimo salto mortale carpiato: aggiungere la propria immagine alla notizia stessa. Ha incollato la sua faccia direttamente sotto l’articolo, come a dire “ci sono anch’io”, manco fosse il post di chi ha appena ritrovato il passaporto smarrito.

Morti di fama
Giuseppe Virgili

Ora, si potrebbe sorridere e archiviare tutto alla voce “fame di visibilità in consiglio comunale”. Ma il colpo di scena è il più teatrale di tutti: il finanziamento è arrivato in un settore che guarda caso è gestito dalla sua compagna di vita, nonché assessore al ramo. Cioè: invece di lasciare la ribalta a chi – professionalmente e istituzionalmente – aveva titolo per incassare il plauso, Virgili ha deciso di rubare la scena. Non solo al collega assessore. Alla compagna. Roba che nemmeno nel peggiore remake del patriarcato in salsa Pro Loco.

Il punto non è il fotomontaggio – ormai pane quotidiano di ogni comunicatore in erba. Il punto è che in una giunta già caleidoscopica, dove convivono civiche con retrogusto leghista, ex democrat e nuove geometrie politiche, l’ossessione di mostrarsi a tutti i costi finisce per trasformare ogni contributo – anche legittimamente ottenuto – in una gara di vanità.

Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica

In questo teatrino, Virgili ha scelto il ruolo del primattore. Ma con un retrogusto amaro: nel tentativo di apparire, ha oscurato chi invece era già lì per fare. Ha trasformato un lavoro condiviso in un’operazione solista. E soprattutto ha offerto l’immagine plastica – e plastificata – di una politica dove il protagonismo è sempre più una questione di pixel, più che di contenuti.

In quella foto, ci doveva stare chi i fondi li porta davvero. Un po’ di rispetto per l’assessore. E per la compagna. Che in questo caso – glielo dica qualcuno – non è “dietro ogni grande uomo”. Ma probabilmente, molto più avanti.

Il patriarca dei fondi (e del fotoritocco)