I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 13 settembre 2024
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 13 settembre 2024.
TOP
CLAUDIO DURIGON
Pazienza e temperanza: i fatti dicono che nei Partiti della Seconda Repubblica non si sale in base alle tessere ed alle masse che le impersonano. Anzi, quelle vengono viste con sospetto perché indicano un potenziale portatore di pretese dall’interno. Guardate Antonio Tajani: guida Forza Italia dopo avere atteso con pazienza. Davanti gli sono sfilati evanescenti Giampiero Samorì da Modena, limitati Angelino Alfano, ambiziosi Giovanni Toti. Gli passavano davanti convinti di averlo superato nella scalata verso la destra del padre Silvio: lui non se ne preoccupava, consapevole che proprio la loro impazienza li avrebbe bruciati.
Anche la temperanza al suo valore. Alla ricchissima tavola della politica bisogna saper stare senza voler mangiare e bere oltre ciò che è dovuto. Pure su questa virtù in molti sono caduti. Non Claudio Durigon da Latina che da ieri è il nuovo Vice Segretario Nazionale della Lega con delega piena sul Centro Sud.
Il leader della Lega Matteo Salvini lo ha investito durante il consiglio federale del Partito che si è tenuto ieri pomeriggio. Con Claudio Durigon ha nominato anche Alberto Stefani: raccolgono il testimone di Lorenzo Fontana e Giancarlo Giorgetti, impegnati ora in incarichi istituzionali che non gli permettono più di seguire a tempo pieno il Partito. Il primo è presidente della Camera ed il secondo è ministro dell’Economia. Durigon e Stefani affiancheranno Andrea Crippa.
Come si legge
Nella nomina di Claudio Durigon ci sono due forti messaggi politici. Entrambi ad uso interno. Il primo e più dirompente: la Lega è un Partito nel quale si può entrare da semplici militanti ed arrivare fino alla destra del Segretario Federale senza dover necessariamente avere nelle vene sangue che sia d’aldilà dell’Arno. È il caso di Durigon. Entrato da militante, con pazienza ha dovuto assistere ad una continua teoria di pretendenti che sorpassavano a destra: tutti si sono bruciati chi per impazienza e chi per intemperanza.
Nel momento del reflusso, quando il vento ha smesso di soffiare nelle vele del Carroccio, sono tornati ad avere peso quelli con la capacità di mobilitare i voti. Non va dimenticato che la Lega nel Lazio ha dovuto contenere l’onda d’urto di una Forza Italia intenzionata ad asfaltare il Carroccio alle scorse Europee. Gli azzurri non hanno sfondato. Ed alla guida delle strategie nel Lazio c’era Claudio Durigon.
La sua nomina inoltre è un ulteriore segnale di blindatura dalle offensive di Forza Italia sul territorio. Perché Pasquale Ciacciarelli è uno dei fedelissimi di Durigon ed ora una sua eventuale rimozione dalla Giunta Regionale del Lazio auspicata dagli azzurri dovrebbe passare per il massimo livello del Partito. Stesso dicasi per il sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli (civico di indicazione leghista): Forza Italia è passata nei fatti all’opposizione. Durigon è poi l’uomo che alle Europee ha calato l’asso Mario Abbruzzese: le sue migliaia di voti hanno annichilito molti pretendenti facendone il primo dei non eletti a Bruxelles e contribuendo ad arrestare l’avanzata di Forza Italia. Dietro ad una promozione sul campo c’è sempre un’azione non comune. Durigon l’ha compiuta: in silenzio e con pazienza.
Il leghista paziente.
GIANFRANCO ROTONDI
Bisogna avere una visione prospettica, per mettere a fuoco il futuro di una cosa così legata al passato come la Democrazia Cristiana. E nell’avere questo focus ampio bisogna anche essere moderni al punto giusto ed altrettanto scettici. Moderni al punto da fare due nomi per la governance della nuova ed unica Dc. Che in mainstream sarebbero quelli di Maria Elena Boschi e Mara Carfagna. Scettici al punto da capire che, se di sogno si tratta, esso è realizzabile ma con riserve.
Riserve che uno come Gianfranco Rotondi non nasconde di avere, ma che non gli hanno minimamente azzoppato la visione di riunire i centristi in un centro che a ben vedere è quello primigenio, oseremmo dire “doc”, nel bene e nel male. Quella del ticket rosa non è un’idea di Rotondi ma di Luigi Bisignani, tuttavia a Rotondi va il merito di aver messo a silloge questa resurrezione difficile. E con rara lucidità.
Ecco come: “Molti amici si appassionano all’eterna questione della rifondazione democristiana e mi domandano se il sottoscritto ‘ci sta o ci fa’. Ossia se sia davvero convinto che la rifondazione sia vicinissima, o lo scriva tanto per dire, senza grande convinzione”.
L’eterna questione della Balena Bianca
Rotondi non si smentisce, e mette subito a regime il miglior mood per una faccenda così delicata. Non quello polarizzato delle certezze assolute o del disfattismo manicheo. No, lui è democristiano che parla della Democrazia Cristiana, perciò dà una risposta democristiana. “La mia risposta è classicamente democristiana: sono vere tutte e due le congetture. Sono convinto che la rifondazione del Partito sia alla portata delle residue energie fisiche degli ultimi democristiani. Ma sono altrettanto convinto che riusciremo a far fallire pure questa ultima occasione”.
Da dove nasce il disincanto soft di Rotondi? Dalla sua intelligenza e dalla storia italiana recente. “A farci male noi democristiani siamo bravissimi, quasi quanto i dirigenti del Pd. Mettiamo in fila le condizioni favorevoli al ritorno di un partito democristiano”.
Ecco l’elenco dei sette favori del centrista: “Primo: a sinistra il repulisti dei cattolici è stato totale. Il Pd formato Schlein è un partito radicale di massa che lascia agli ultimi quindici democristiani appena il diritto a una giaculatoria immigrazionista e ambientalista. Vagamente echeggiante le ultime encicliche papali”. E ancora: “Fine ingloriosa della illusione di una presenza popolare nell’emisfero sinistro della politica italiana”. Poi un altra prospettiva, altrettanto valida: “Sono sparite tutte le cento sfumature di grigio centrista, da Matteo Renzi a Carlo Calenda, ai rifondatori democristiani in cerca di terzo e quarto polo, per un paio di decenni nessuno ci proverà più”.
Tutti a destra, dunque
E a chiosa: “In parole povere: per la prima volta, nella storia della Seconda repubblica, i democristiani possono stare decentemente solo a destra, dove peraltro già albergano i tre partiti dc residui”.
Sottile partigianeria a parte, quella di Rotondi è un’analisi difficile da confutare in tutto. Specie dopo il neo centrismo di Forza Italia con Antonio Tajani. Che rafforza la tesi.
Lucido.
TRA TOP E FLOP
ANGELO PIZZUTELLI
Sulla sua onestà intellettuale non esistono dubbi. Se sia conciliabile con la strategia politica resta da vedere ma le perplessità sono molte. Angelo Pizzutelli è da anni l’uomo più votato nel Centrosinistra a Frosinone. Potenziale candidato sindaco, in un paio di occasioni è stato messo in panchina per seguire strategie di allargamento a destra indispensabili se si vuole vincere in una città come il capoluogo ciociaro di assoluta matrice andreottiana. Non ha funzionato.
Ad avere prova adamantina della purezza intellettuale di Angelo Pizzutelli è stata la cronista de La Stampa che l’altro giorno è stata a Frosinone in cerca di indizi sulla nomina ai vertici Ales di Fabio Tagliaferri, già vicesindaco del Capoluogo ed avversario di Pizzutelli. (Leggi qui: Le cambiali di Fabio Tagliaferri).
Sperando di avere spunti da chi siede sul fronte opposto è stata invece spiazzata. Riferisce:
Il capogruppo consiliare Pd, Angelo Pizzutelli, ad esempio, si spertica in lodi del rivale politico: «Non abbiamo le stesse idee, ma è una persona che stimo e che si impegna molto. Da adulto si è laureato in Economia e ha lavorato anche parecchio in Regione. È stato scelto alla presidenza di Ales per volontà di Fdi e io non guardo cosa succede in casa d’altri. Di sicuro Fabio Tagliaferri è un uomo valido, che si dà da fare». Pd e Fdi, del resto, governano insieme alla Provincia di Frosinone e al Consorzio Apef (Agenzia provinciale energia Frosinone).
Onestà e strategia
Un altro, avrebbe risposto “No comment” lasciando nel dubbio il lettore su chissà quali nefandezze si nascondessero nella nomina di Tagliaferri. Angelo Pizzutelli no: ha avuto il coraggio di dire il suo pensiero anche se è favorevole ad un avversario. Sul piano etico non fa una grinza anzi gli fa onore.
Sul piano politico la questione è differente. Rende palese la situazione di Frosinone: nella quale il Centrosinistra ha eletto i suoi sindaci solo quando avevano una statura tale che anche il centrodestra non potesse fare a meno di votarli. E se si prova ad imbastire una linea di opposizione dura ci si scontra con i dilemmi di coscienza che impongono ai puri di cuore la narrazione della verità. Come nel caso di Pizzutelli con Tagliaferri.
Chissà se la prossima volta la sfida sarà ancora tra Centrodestra e Centrosinistra. Oppure se anche a Frosinone ci sarà una candidatura sui modelli vincenti visti a Ferentino e Veroli con coalizioni trasversali a prescindere da destra e sinistra. In quel caso chissà cosa farà Fabio Tagliaferri e chissà cosa farà Angelo Pizzutelli, considerata la loro reciproca stima.
Un dato è certo: così Pizzutelli andrà in paradiso ma difficilmente abbatterà il centrodestra.
Onesto oltre i limiti.
FLOP
LAURA RAVETTO
Dev’essere una specie di loop poco edificante, quello per cui le idee politiche tendono sempre e comunque a tracimare anche in ambiti che non dovrebbero contenerne le scorie ideologiche. E magari non dovrebbero farlo neanche con la sottile lettura di volerlo fare “spinti” da un input esterno. (Una specie di giustificazione insomma, del tipo “ah, è così eh? E allora…”).
Laura Ravetto sembra aver seguito esattamente questo protocollo, nel momento in cui ha deciso (anche lei) di dire la sua sulla cronaca nera (vecchio loop del suo Capitano Matteo Salvini). E di farlo citando anche l’omicidio di Sharon Verzeni da parte di Moussa Sangare. Attenzione: non che i commenti dei politici non debbano essersi per casi di cronaca nera/tragedie. Quello che magari si chiede è un approccio più soft, cartesiano, meno votato alla partigianeria di vessillo. Ed a questioni del tutto irrilevanti, oltretutto.
Revoca della cittadinanza
Come la revoca della cittadinanza a chi si macchiasse di delitti così orribili. L’esponente della Lega ritiene che quel provvedimento sia possibile, e contestualizza esattamente per andare a parare dove lei vuole. “Ovviamente un assassino è un assassino: non va precisata la nazionalità e non va precisato se sia cittadino italiano”.
Solo che a Ravetto serve un preambolo che faccia sponda alla sua tesi, perciò lo cerca, e lo trova. “Alcuni giornali dell’intellighenzia di sinistra si sono sentiti in dovere di precisare cittadino italiano. Ma perché hanno precisato cittadino italiano?”. Poi il capolavoro da cortile di asilo.
“La sciacallaggine, la propaganda parte da loro o da chi dice: ci hanno fatto sapere che è un cittadino italiano? La cittadinanza deve essere premiata in un percorso. Laddove è maturata automaticamente, come in questo caso, ci potrebbe essere anche la possibilità di riflessione su una revoca”. A volte è difficile assistere allo spettacolo di una politica adulta che usa ragionamenti alla “hanno cominciato loro”.
E che chiosa così: “È una discussione che nella Lega c’è già da tempo e si sta pensando a come legare la revoca della cittadinanza anche ad altri reati oltre al terrorismo come l’omicidio e il femminicidio”.
E vai di spot destrorso assai: “Perché non ragionare sulla revoca della cittadinanza che si dovrà applicare a tutti indistintamente?”. Perché ci sono già le misure accessorie, e perché imbastire questo discorso oggi è inelegante. E strumentale.
Inelegante.