Top e Flop, i protagonisti di venerdì 16 maggio maggio 2025

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 16 maggio 2025

*

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 16 maggio 2025

*

TOP

MANCINI e LEODORI

Daniele Leodori seduto tra Albino Ruberti e Roberto Gualtieri

In politica, lo spessore non si misura con la brillantezza dei discorsi: ma con la capacità di mettersi al tavolo prima che sia troppo tardi. È quello che è accaduto a Roma, in via delle Botteghe Oscure – luogo carico di simboli e memoria – dove Claudio Mancini e Daniele Leodori hanno cominciato ad ascoltare la stessa lingua. Se la parleranno è faccenda che si deciderà nei prossimi mesi. Non si sono abbracciati, non hanno stretto mani o intese: ma si sono seduti vicini. In politica, è già un mezzo accordo.

L’occasione era l’iniziativa “Roma Metropoli Lazio” organizzata da Rete Democratica. Il padrone di casa era Claudio Mancini, il regista silenzioso ma fermo che ha issato Roberto Gualtieri in Campidoglio. E che da lì, con il braccio operativo di Albino Ruberti, ha costruito un’idea di riformismo operativo: Acea, termovalorizzatore, cantieri ovunque. La cornice era il Teatro dei Ginnasi. Ma la scena era tutta interna al Partito Democratico. (Leggi qui: Mancini e Leodori, prove di compromesso storico in via delle Botteghe Oscure).

Un pezzo del Puzzle
Claudio Mancini

Mancini ha dettato la linea: un PD compatto, unito, pronto ad allargare il campo senza farsi snaturare. Ha detto chiaro che Gualtieri sarà ricandidato e che nessuno pensi di riscrivere lo spartito solo per accogliere nuovi strumenti. Ma ha anche teso la mano. E quella mano, ad accoglierla, c’era Leodori. Capo di Area Dem, l’altra sponda del fiume. Da sempre. Fino a ieri. Non è un’alleanza. È un segnale. Di maturità. Di consapevolezza. Di intelligenza politica.

Perché se è vero che nel 2027 si voterà per il Campidoglio e per il Parlamento, è altrettanto vero che senza un’unità ritrovata il PD nel Lazio rischia di arrivarci spaccato, debole, irrilevante. E invece qualcosa si muove. Le componenti – Rete Democratica e Area Dem – hanno già trovato un dialogo per sbloccare i congressi di Federazione. Hanno messo mano a un pezzo del puzzle. Ora si tratta di finirlo.

Gualtieri, dal palco, ha fatto da garante. Ha parlato di coalizione larga, di lavoro comune, di “metodo Giubileo”. Ma soprattutto ha lanciato un messaggio chiaro: Roma non può essere lasciata sola a combattere. Serve il Lazio. Serve un PD che non si divora, ma si coordina. E che accoglie gli alleati, ma non si piega a loro.

La presenza di Fantini
Luca Fantini

La presenza di Luca Fantini, segretario uscente della Federazione di Frosinone, applaudito da Mancini, completa il quadro: la ricostruzione parte anche dai territori. Perché senza una classe dirigente locale forte, il centrosinistra resta un’etichetta. Serve gente che sappia governare, ma anche fare politica. Che sappia mediare, ma anche decidere. Che stia nei processi, ma anche nelle piazze. Insomma, serve visione. E il primo passo per tornare a vincere è questo: sedersi. Parlarsi. Provare a capirsi. È la politica, bellezza. Quella vera. Quella che sa ancora costruire ponti dove prima c’erano solo trincee.

Il Compromesso Storico? No, non siamo a quei livelli. Ma qualcosa di simile. Un embrione di alleanza che nasce non dall’amore, ma dal bisogno. Dalla lucidità di chi sa che la destra oggi ha i numeri, la strategia e – soprattutto – la Capitale nel mirino. E allora il PD non può più permettersi guerre interne.

Mancini e Leodori hanno fatto la cosa più rivoluzionaria di tutte: hanno scelto di parlarsi. Forse, alla fine, sarà questo a fare la differenza.

L’intelligenza del dialogo

LUCA DI STEFANO

Luca Di Stefano

Questa volta, niente promesse fumose, niente passerelle senza copertura finanziaria. La provincia di Frosinone porta a casa un risultato concreto, misurabile, storico: 522 milioni di euro per rimodernare le arterie strategiche del suo territorio. Un successo politico e amministrativo che ha un nome e un volto preciso: Luca Di Stefano, presidente della Provincia e regista silenzioso di un’operazione che segna uno spartiacque.

Dietro l’annuncio dell’ingegner Marco Moladori, responsabile Anas per il Lazio, non c’è solo il timbro tecnico. C’è un pressing politico durato mesi, fatto di dossier, incontri e richieste precise. Palando spesso nel vuoto perché sul territorio ben pochi sono in grado di parlare con il livello politico dove si prendono le decisioni. Di Stefano non si è limitato a denunciare l’isolamento della Ciociaria — un territorio che ancora oggi viaggia su strade pensate per i camion degli anni ’70 — ma ha costruito una piattaforma istituzionale, il Comitato per la Crescita e lo Sviluppo Sostenibile, per costringere Roma ad ascoltare. Missione compiuta.

Le cifre

Il piano in cifre:

  • 230 milioni per la Monti Lepini, che collega Frosinone a Terracina: si salta la burocrazia, si assorbono i progetti comunali e si parte subito.
  • 200 milioni sulla Sora–Cassino: 120 da Anas, 80 da Astral, per un’arteria che grida da anni manutenzione e modernità.
  • 92 milioni di manutenzione diffusa: Casilina, galleria Capodichina, tratti nevralgici della viabilità ordinaria.

Totale: 522 milioni di euro.

Non un sogno, ma un cronoprogramma: i primi cantieri partiranno entro fine anno, almeno per i lotti già pronti. Nessuna attesa infinita, nessun cantiere fantasma. Per il resto, si va avanti in parallelo: dove si può si lavora, dove serve progettazione si prepara il terreno. È un doppio binario intelligente, pragmatico, che evita il pantano delle autorizzazioni e mantiene il ritmo.

Luca Di Stefano, in silenzio, ha ottenuto quello che mancava da decenni: una cabina di regia autorevole, una visione chiara di sviluppo infrastrutturale e — cosa più difficile di tutte — l’attenzione politica nazionale. Non è un caso che le opere siano entrate nell’Accordo di programma tra Anas e Ministero delle Infrastrutture, firmato col bollino di Matteo Salvini. È il segno che Frosinone non è più un’area grigia sulla mappa delle priorità nazionali.

La struttura tecnica
Genesio Rocca

Il presidente ha già nominato una struttura tecnica che seguirà passo passo l’attuazione del piano e dei prossimo progetti di sviluppo sostenibile del territorio. Lo compongono: Genesio Rocca, Jacopo Recchia, Emanuele Calcagni. Un mix di competenze ingegneristiche e imprenditoriali che promette concretezza. Perché stavolta, dopo gli annunci, i lavori partono davvero.

Chi pensava che la Provincia fosse un ente svuotato, destinato alla marginalità, dovrà ricredersi. A Frosinone, oggi, è il livello istituzionale che ha fatto la differenza. E Di Stefano, con un colpo da manuale, ha dimostrato che anche in politica si può vincere con i fatti.

Sulla strada giusta.

ORAZIO CAPRARO

Orazio Capraro

Alla fine, ha avuto ragione lui. Orazio Capraro resta sindaco di Villa Santa Lucia. La Corte d’Appello di Roma ha fatto chiarezza dove prima c’era solo fumo e polemica: nessuna incompatibilità, nessun conflitto d’interessi, nessuna decadenza. Ma soprattutto, nessuna giustificazione per chi ha provato a vincere in tribunale ciò che non è riuscito a ottenere alle urne.

Perché questa è la vera notizia. Non il semplice ribaltamento di una sentenza del Tribunale di Cassino, ma la bocciatura sonora di un modo di intendere la politica: quello che trasforma le Aule giudiziarie in estensioni del Consiglio comunale, e il diritto in una clava elettorale.

Il trappolone

La storia è nota. Capraro viene eletto sindaco. Tre mesi prima delle elezioni, dalle file dell’amministrazione allora in carica guidata da Antonio Iannarelli – oggi all’opposizione – viene citato in giudizio con una richiesta di risarcimento danni. Un contenzioso civile che poi diventa l’asse portante del ricorso per incompatibilità. Ma già all’epoca il nuovo Consiglio comunale aveva subodorato il trucco: reagisce dicendo che la causa era pretestuosa, messa lì apposta per poter un giorno invocare la decadenza.

Quel giorno arriva il 29 gennaio 2024, quando il Tribunale di Cassino dichiara decaduto Capraro. Ma la partita non è finita: il ricorso in Appello ribalta tutto. Non c’è conflitto d’interessi, non c’è incompatibilità. C’è solo un’azione giudiziaria svuotata di contenuto, nata viziata, finita nel nulla.

La Corte d’Appello è netta: «Mai è esistita una reale situazione di conflitto tra la posizione personale del sindaco e l’interesse dell’Ente». E l’intera operazione appare per quella che è: un tentativo di mettere fuori gioco un avversario, non sui contenuti ma su una scorciatoia procedurale. È legittimo, certo. Ma non è politica.

Dal piccolo al grande
i sindaci di Cassino Villa Santa Lucia (Orazio Capraro), di Cassino (Enzo Salera) e di Piedimonte San Germano (Gioacchino Ferdinandi)

La vicenda di Villa Santa Lucia racconta in piccolo quello che troppe volte vediamo anche in grande: l’uso strumentale del diritto per scopi che nulla hanno a che fare con la giustizia. È una deriva pericolosa, che delegittima le istituzioni, confonde le regole del gioco, avvelena il dibattito pubblico.

Capraro, per ora, può tirare un sospiro di sollievo. Ma la lezione va oltre la sua persona: la politica si combatte in aula consiliare, non in tribunale. Perché la sfida vera, quella democratica, si gioca con le idee, non con i cavilli.

La politica non si fa in tribunale.

MATTEO SALVINI

Matteo Salvini (Foto: Andrea Di Biagio © Imagoeconomica)

Sì, è vero, la politica, specie in democrazia rappresentativa e soprattutto quando alla cloche c’è il sovranismo spinto, è solo un coacervo di slogan a vuoto. E nessuno pensi che questo fenomeno sia solo appannaggio dei periodi in cui la leadership del Paese è in mano alle ugole di pancia.

Basti pensare al mitologico onorevole DC Cervone che ai sanvittoresi illo tempore promise… il mare. Tuttavia il senso è un altro, ed il senso è che spesso siamo proprio noi cittadini che, ammalati di faziosità, tendiamo a liquidare ogni proposta politica come fuffa sloganistica e basta.

A volte le buone idee non mancano, ed a volte le buone idee arrivano proprio da chi… non ti aspetti. Come Matteo Salvini ad esempio, nei confronti del quale, comunque la si pensi, vige il preconcetto per cui ogni cosa che dica-pensi o è una boiata o è uno spot social.

La proposta di legge

Non è sempre così e stavolta, almeno concettualmente, il rieletto segretario nazionale della Lega qualcosa di congruo lo ha detto. E pare lo abbia anche “messo a terra legislativamente”. In questo modo e con queste parole. “Entro il 2025, quindi entro l’anno, diventerà realtà la nostra proposta di legge sull’occupazione giovanile, alcune centinaia di milioni di euro in più finiranno nelle buste paga dei giovani a partire dall’anno 2025.

Cosa significa, e a quale proposta di legge si riferisce il leader del Carroccio? Ad una specifica proposta di legge a prima firma di Toccalini “sul tema del lavoro giovanile e dei ‘cervelli in fuga’”.

Riccardo Molinari, che di Salvini è lo speaker più affidabile, l’ha spiegata meglio assieme ad uno degli artefici del disegno, sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. Essa “prevede una flat tax al 5% per 5 anni per gli under 35 che rientrano in Italia con contratto a tempo indeterminato e deduzioni fiscali per le aziende”.

Tra mantra e realtà.
Claudio Durigon (Foto: Andrea Di Biagio © Imagoeconomica)

E c’era un contesto che andava ribadito, più che spiegato ex novo. Questo: “Oggi abbiamo il più alto tasso di occupazione della scuola repubblicana”. E ancora: “Grazie alla Lega ci sono stati numerosi interventi per contrastare i contratti a tempo determinato”.

C’è un mantra, che è il più leghista e salviniano possibile, ma che va epurato dai toni pubblicitari. “Noi abbiamo sempre considerato una priorità la difesa del lavoro a tempo indeterminato. “Ora anche ricorrendo alla flat tax che abbiamo introdotto, vogliamo riportare i cervelli in Italia e dare garanzie ai giovani, per un contratto a tempo indeterminato”.

L’idea è buona, staremo a vedere se, quando e come si realizzerà. Per adesso a fiducia.

Meno Capitano e più nocchiero.

FLOP

SALVATORE BAGNI

Salvatore Bagni

Non c’è nulla di penalmente rilevate in quello che pare abbia fatto Salvatore Bagni, ex centrocampista di Napoli e Inter, campione d’Italia nel 1987 al fianco di Maradona. Questo è un dato che va ribadito fino allo stremo. Come pure però va ribadito un altro concetto: quello per il quale la mancata profilabilità penale di un fatto non toglie nulla alla sua deprecabilità morale, specie quando si parla di calcio e giovanissimo.

Cioè di uno sport che non ha fatti mai nulla per nascondere le sue (non troppo sommerse) paludi e di un universo di innocenza e sogni infranti che andrebbe preservato come un Tabernacolo laico.

Le tariffe ed il metodo

Sconcerta molto, da questo punto di vista, l’esito mainstream dell’ultimo servizio de Le Iene sulle “tariffe” per far entrare i ragazzi nel mondo del calcio. Ed il “protagonista” sarebbe (video e dichiarazioni del diretto interessato alla mano) proprio lui, il 68enne ex asso del centrocampo partenopeo dei tempi del “Pibe”.

Il servizio in questione, che nelle ultime ore ha generato uno scalpore immenso, è stato firmato da Luca Sgarbi e Claudio Bongiovanni. E secondo quanto riportato da Dire si è trattato di una inchiesta, anche se non official (cioè non legata a profili penali) che “solleva gravi interrogativi sul funzionamento del sistema di accesso al calcio professionistico per i più giovani, denunciando pratiche che sembrano premiare più il denaro che il talento”.

Bagni oggi si dà da fare con lo scouting, e ad un certo punto “viene contattato dall’inviato de Le Iene, che si finge fratello di un giovane calciatore.”

“Sono 30mila, solo per imprenditori”
Salvatore Bagni

E Bagni non ha dubbi nel parlare del protocollo adottato. Così: “Quelli che cerchiamo noi li paghiamo. Ma se un ragazzo ci viene proposto da altri, devono pagarci loro”. Sì, ma quanto? “Sotto i 30 mila euro non lavoriamo con nessuno”. Con una chiosa decisamente inelegante: “Gli operai non possono permetterselo, lo fanno solo imprenditori”. Sì, ma il calcio? Il talento?

E le reali qualità a prescindere dal ceto e dal censo? Nulla di che. “’Com’è tuo fratello?’, chiede all’inviato, lasciando intendere che il giudizio tecnico dipende da chi propone il calciatore. “L’ex giocatore, inoltre, sottolinea che il pagamento dovrebbe avvenire preferibilmente in contanti, ma offre un’alternativa per chi non può: una sponsorizzazione, definita come un modo per ‘fare regali legali’”.

Tutto legale quindi, ma tutto sporchissimo.

Un calcio all’etica.