I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 17 ottobre 2025.
*
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 17 ottobre 2025.
*
TOP
BALDASSARRA e FORMISANO

Se è vero che la storia si scrive sempre un attimo prima che accada, allora la foto scattata a Cassino durante il convegno “Connessioni vincenti” potrebbe diventare, un giorno, una didascalia simbolica della nuova rivoluzione industriale.
Non è un’iperbole. È la consapevolezza, lucida e rara, di due figure che oggi più che mai dimostrano visione e responsabilità: Vincenzo Formisano, presidente della Banca Popolare del Cassinate, e Antonio Baldassarra, ingegnere e CEO di Seeweb, voce autorevole dell’infrastruttura digitale italiana.

Formisano ha capito che le banche territoriali non devono più solo prestare denaro: devono creare reti, nel senso più ampio del termine. Collegare imprese, generare connessioni (vere), abbattere l’isolamento digitale di chi ancora guarda all’AI come a un ospite scomodo. Per lui, il credito del futuro non sarà quello che si concede, ma quello che si condivide: sapere, strumenti, infrastrutture.
Accanto a lui, Baldassarra ha detto forte e chiaro quello che in molti preferiscono sussurrare: l’intelligenza artificiale non è un’onda da surfare – è un terremoto silenzioso, che ridisegna supply chain, modelli produttivi, gerarchie industriali. Chi si attarda a chiedersi “se” o “quando”, viene spazzato via da chi sta già progettando il “come”.
Governare, non adeguarsi

Entrambi sanno che non si tratta di adeguarsi, ma di governare. Di prendere il timone del cambiamento, adesso, prima che qualcun altro lo faccia per noi, con algoritmi addestrati a distribuire valore altrove.
Cassino ha dimostrato che c’è un pezzo di Italia che non aspetta il PNRR o l’ennesimo bando europeo per muoversi. Che sa connettere capitale umano, tecnologia e territorio con la stessa logica con cui si costruiscono le grandi reti: nodo per nodo, bit dopo bit.
Governare il futuro, oggi, è una questione di banda larga e pensiero largo. E se a guidarlo sono uomini con le idee messe in chiaro ieri da Formisano e Baldassarra, possiamo anche iniziare a crederci davvero.
L’algoritmo non aspetta.
LUCA ZAIA

Ha capito tutto facendo finta per un po’ di aver capito poco e poi ha sparato via le sue bordate. Luca Zaia è e sarà il vero uomo forte da battere per le Regionali in Veneto, in calendario il 23 ed il 24 novembre prossimi.
Basterebbe capire la data in agenda per capire che no, quelle non sono solo elezioni “scontate” per la vittoria del centrodestra, son ben altro. Sono state e restano un sacello di polemiche e protagonismo strategico tra i Partiti della maggioranza Meloni, in particolare con la spnda indiretta del voto omologo e futuro in Lombardia.
Ma cerchiamo di capire e partiamo dalle dichiarazioni di Zaia in favore della candidatura del designato (ovviamente leghista) Alberto Stefani. Dichiarazioni come questa, che è stata cardinale.
Capolista, ovunque.

“Voglio dire ancora una cosa. Qui la partita è una sola: dobbiamo prendere molto più dei lombardi ed è chiusa lì…”. Primo dato, il governatore uscente del Carroccio, governista ed apprezzato finanche dagli avversari per la sua efficienza settata, si è legato qualcosa al dito. Cosa? Proseguiamo.
“Se sono un problema, allora cercherò di diventare un problema reale… Ho una soluzione per essere un problema reale: mi candido capolista in tutte le province…”. Dato due: qualcuno ha avversato la lista civica col nome del governatore uscente per evitare che la Lega si ingrassi a casa sua e qualcun altro, forse inside, forse Matteo Salvini, aveva detto che in Lombardia avrebbe corso un jolly di Fdi.
E Zaia se l’è legata al dito a Padova. Lo ha fatto intervenendo all’interno di una mega struttura ricolma di supporter alla presentazione della campagna elettorale di Alberto Stefani alle regionali in Veneto.
Centrodestra fratto

L’idea di Salvini era quella di far passare il mantra “Discutiamo, ma ci vogliamo bene, noi non siamo come la sinistra, troviamo sempre un accordo”. L’idea di Zaia era di fare una lista a sé, civica, poi bocciata. Ed a questo punto ha calato la sua briscola, perché l’idea di Zaia è di non lasciare la Lega in mano ad un “vannacciano obtorto collo” che ha perso di vista la mission primeva del Carroccio. Pare che Fdi abbia imposto alla Lega di non dare a Zaia la possibilità di presentare una propria lista che avesse nel simbolo il suo nome.
Ma perché? Lo spiegano le testate Today: “Zaia è amatissimo nel suo territorio, il suo nome circola ogni volta che si parla del ‘dopo Salvini’ per il Carroccio. E quindi avrebbe certamente catalizzato tantissimi voti riducendo il potere negoziale degli alleati al momento di formale la Giunta”. E quindi? Il presidente uscente ha formalizzato la sua rotta: capolista ovunque.
Tanto per fare vedere chi comanda, o quanto meno per far capire chi non prende ordini, neanche dal Capitano.
Dopo Zaia? Scrivi Zaia, ovvio…
FLOP
PULCIANI – MATTIA – RUSPANDINI

Sì, i 100 milioni ci sono. Sì, arriveranno nel territorio industriale del Frusinate e del sud Lazio. E sì, le Zone Logistiche Semplificate (ZLS) sono ormai un treno in corsa che attraverserà anche Cassino, Ceccano, Sora, Villa Santa Lucia e compagnia bella. Ma, prima di stappare lo champagne, serve controllare chi ha in mano il cavatappi.
I deputati di Fratelli d’Italia Massimo Ruspandini, Aldo Mattia e Paolo Pulciani nelle ore scorse hanno fatto il punto. E giustamente hanno rivendicato il doppio traguardo per il quale hanno lavorato. Ma il punto vero non è se i soldi arriveranno. Il punto è chi li gestirà. Perché se finiscono nei cassetti di Invitalia, l’Agenzia per l’Attrazione degli Investimenti che in passato ha attratto più ritardi che imprese, allora scordiamoci sprint, visione e ricadute rapide. Il rischio è che questi 100 milioni diventino una bella promessa da tenere in cornice, mentre il territorio continua a fare la fila fuori dai cancelli chiusi delle ex industrie.
L’alternativa possibile

C’è un’alternativa. E ha un nome preciso: Raffaele Trequattrini. Professore dell’Università di Cassino, presidente di un Consorzio Industriale del Lazio che in poco più di un anno è diventato un caso per il consenso unanime che gli viene riconosciuto, fatta eccezione per alcuni romani che ne vorrebbero il posto.
Se proprio non si può strappare la gestione a Invitalia, almeno si abbia il buon senso – e il coraggio – di affidare al Consorzio la preistruttoria. Cioè il filtro in ingresso a chi vorrà puntare a quei fondi. Perché al Consorzio sono gli unici che sanno davvero cosa serve all’industria laziale, cosa può stimolarla e cosa invece sarebbe solo un inutile spreco di fondi. Lo hanno dimostrato sul campo, con risultati. Non con slide o convegni.
Chi ha fretta, chi ha visione, chi ha il territorio nel mirino e non nel miraggio, sa da dove cominciare: non dalle sigle, ma dalle persone che funzionano. Poi, se tutto fila, ci sarà tempo per brindare. Ma con Trequattrini al timone, non con Invitalia al volante. E solo a quel punto gli onorevoli Massimo Ruspandini, Aldo Mattia e Paolo Pulciani potranno dire di avere raggiunto davvero il traguardo.
Troppo presto.
MAURIZIO LANDINI

Maurizio Landini ha perso una buona occasione per dimostrare che esiste ancora un modo diverso di fare opposizione. Che esiste ancora un confine tra critica politica e aggressione personale. E invece ha scelto di superarlo, lanciando sulla premier Giorgia Meloni una parola che pesa come un macigno: “cortigiana”.
Non è una questione semantica. Non basta rifugiarsi dietro la definizione del vocabolario per uscirne puliti. Perché quando si parla a milioni di italiani, le parole vanno dosate come strumenti chirurgici. E invece Landini ha deciso di usare la clava. Ha trasformato una critica legittima – anche aspra – in un attacco sessista mascherato da ironia politica. Ma se scegli il fango come arma, poi non puoi pretendere di avere ancora il diritto di indignarti quando lo usano contro di te.
La sinistra, quella vera, quella che si insegnava nella scuola delle Frattocchie, insegnava altro: la forza delle idee non ha mai avuto bisogno di insulti. E chi guida il più importante sindacato italiano dovrebbe saperlo meglio di tutti. O almeno fingere di ricordarlo.
Nessuno salvi Meloni

Giorgia Meloni non è immune da critiche. Nessuno lo è. Ma c’è una distanza abissale tra la critica e l’insulto. Landini, che oggi si riscopre moralista dopo aver usato un termine storicamente offensivo verso le donne, ha dimostrato la stessa tossicità che da anni dice di voler combattere. Solo che, questa volta, a tirarla fuori non è stato un troll anonimo, ma un leader sindacale.
Invece ci sarebbe bisogno di un Paese capace di confronto vero, serio, sul lavoro, sulla legge di bilancio, sulle disuguaglianze, questa deriva è il contrario di ciò che serve. È la prova che anche chi dice di voler cambiare le cose, spesso finisce per assomigliare troppo a ciò che dice di voler combattere.
Il problema non è solo che Landini ha sbagliato. Il problema è che ha dimenticato un insegnamento base della scuola Pci: noi siamo diversi da loro. E quando dimentichi questo, hai già perso. Anche se ti applaudono.
Se usi il fango, poi non puoi più indignarti.



