Top e Flop, i protagonisti di venerdì 2 maggio 2025

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 2 maggio 2025

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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì due maggio 2025.

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TOP

LORENZA ROIATI

Lorenza Roiati e lo striscione delle polemiche

A volte la libertà è fragrante come una pagnotta appena sfornata. Succede, ad esempio, quando il 25 aprile una fornaia di Ascoli Piceno decide di appendere fuori dal suo forno un manifesto con scritto: «25 aprile, buono come il pane, bello come l’antifascismo». Un messaggio semplice, gentile, perfino poetico. Ma, a quanto pare, capace di provocare un fermento istituzionale degno di un’indagine antiterrorismo.

La fornaia in questione si chiama Lorenza Roiati ed a quattro giorni dai fatti ancora ci si domanda: perché due pattuglie, due corpi diversi delle Forze dell’Ordine, siano andati a controllare un messaggio antifascista proprio nel giorno della Liberazione. E soprattutto: da chi è partita l’idea che un simile messaggio meritasse non uno, ma due sopralluoghi.

Potenza dei social
Lorenza Roiati

La faccenda è diventata di dominio pubblico grazie ai video diffusi da Roiati sui social. Nel primo, si vedono agenti della Polizia di Stato fermarsi davanti al manifesto. Dalla Questura dicono che si trattava di un normale controllo, nato per caso. Visto, verificato, archiviato. Nessuna registrazione del nome, nessun verbale. Però, a scanso di equivoci: si erano presi la briga di chiamare in centrale per chiedere che fare. Quando si dice la spontaneità.

Nel secondo video, la scena è già un po’ più grottesca: arrivano i vigili urbani in borghese, si presentano, chiedono alla fornaia se “rivendica la paternità dello striscione”, come se avesse appena confessato un colpo alle Poste. Identificazione formale. Nessuna spiegazione precisa. Solo un vago riferimento a una «segnalazione telefonica». Che puzza di scusa arrangiata e che, in ogni caso, non chiarisce perché tre agenti siano stati dirottati da una celebrazione pubblica per indagare su una frase che in qualunque democrazia degna del nome dovrebbe essere considerata… normale.

Marco Fioravanti

Ma normale non è, almeno non secondo il sindaco di Ascoli Marco Fioravanti (Fratelli d’Italia), che ha cercato di ridurre tutto a “routine amministrativa”. Come se fosse normale mobilitare risorse pubbliche per vigilare su un cartello che ricorda che l’Italia è nata antifascista. Come se fosse normale che, dopo l’esplosione del caso, davanti al forno siano apparsi striscioni minacciosi con scritte come «Ai forni» — la cui matrice, guarda caso, è riconducibile all’estrema destra.

La toppa più evidente del buco

A chi ha chiesto spiegazioni — tra cui il deputato 5 Stelle Giorgio Fede — la risposta del sindaco non ha convinto nessuno. Anzi, ha aggravato la situazione, perché le sue giustificazioni sono state smentite almeno in parte dagli stessi vertici delle forze dell’ordine. Il primo controllo, quello della Polizia di Stato, non sarebbe infatti avvenuto su segnalazione. Quanto al secondo, la versione cambia a seconda di chi la racconta.

Nel frattempo, in Parlamento, Pd, M5S, Avs e Iv hanno chiesto al ministro Piantedosi di chiarire chi ha disposto i controlli e perché. «È accettabile – chiede Fede – che vengano impiegate risorse pubbliche per sorvegliare messaggi che celebrano l’antifascismo?».

Lorenza Roiati

Ma il punto non è solo l’uso delle risorse. Il punto è l’atmosfera. È il clima che si respira in un Paese dove ricordare l’antifascismo diventa un atto “da controllare”. È il fatto che a ogni messaggio simbolico del governo — come proclamare cinque giorni di lutto per la morte del papa, proprio durante il 25 aprile, o invocare “sobrietà” per la festa della Liberazione — corrisponda un solerte riflesso di chi si sente chiamato a mettere la sordina alla memoria storica.

Resistenza civile

La vicenda Roiati è l’istantanea perfetta di questa distorsione. E non è un caso isolato. Ascoli non è nuova a episodi discutibili: nel 2019, lo stesso sindaco Fioravanti aveva partecipato a una cena commemorativa per la marcia su Roma, con tanto di menù decorati da effigi del Duce. All’epoca disse di essere passato solo per un saluto. Ma quando si continua a passare sempre dalle stesse parti, qualcosa vorrà pur dire.

Lorenza Roiati con il deputato europeo Matteo Ricci

In tutto questo, la buona notizia è che Lorenza Roiati non è sola. La sua storia ha mobilitato la rete, i media, i cittadini. Il suo forno è diventato un simbolo di resistenza civile, tanto che il 3 maggio ci sarà una manifestazione di solidarietà. Per ricordre che l’Italia è antifascista: sta scritto nella Costituzione, tracciata sulle macerie di un Paese ridotto in ginocchio dalla follia di un regime di latta che aveva fatto credere d’essere d’acciaio: voleva conquistare un impero e non aveva nemmeno le risorse per fermare gli invasori sul bagnasciuga. Ed ancora oggi c’è chi abbocca.

Giuste le parole di Piero Calamandrei: “Ora e sempre Resistenza. Perché se oggi ti controllano per un cartello, domani ti ammoniscono per una maglietta, dopodomani ti perquisiscono per un libro. E poi, quando te ne accorgi, non c’è più pane. Né libertà.

Il pane, l’antifascismo e una vicenda che puzza più del lievito scaduto.

COSMO MITRANO

Cosmo Mitrano

I miei interlocutori li scelgo io e, di conseguenza, anche chi invitare o meno”: un mix di irritazione e di imbarazzo ha provocato all’interno di Fratelli d’Italia la decisione del consigliere regionale di Forza Italia (ed ex sindaco di Gaeta) Cosimino Mitrano di definire l’elenco dei partecipanti ad un incontro. Quello per la presentazionedel progetto finalizzato a rendere finalmente più sicuri, alcuni ponti e cavalcalvia della strada regionale Flacca insistenti nei tratti urbani di Formia e Gaeta. Il tutto tramite grazie al Fondo di Coesione e sviluppo. (Leggi qui: Camaleonti e consuntivo: Gaeta fa quadrare (quasi) i suoi conti).

Mitrano, ex sindaco di Gaeta dove ha governato per dieci anni, da tempo ha allungato il suo raggio di azione anche in altri Comuni del sud pontino. E questo può bastare a qualificare la sua capacità di nuovo colonizzatore politico del comprensorio.

Presenze e assenze
Giancarlo Righini tra Cosmo Mitrano e Gianluca Taddeo

Fratelli d’Italia però non avrebbe mai immaginato che all’incontro venissero invitati gli assessori regionali al Bilancio Giancarlo Righini e Lavori Pubblici Manuela Rinaldi (due materie che rappresentano da sempre il pane companatico di Cosimino) e non Elena Palazzo, l’assessora regionale all’Ambiente. Che è di Itri e rappresenta Fdi della provincia di Latina nella Giunta Rocca.

Speravano nell’invito a presenziare anche un altro consigliere regionale pontino di Fdi come Enrico Tiero ed il sindaco di Minturno Gerardo Stefanelli in qualità di presidente della Provincia. Ma per loro non c’era posto nell’agemd di Cosimino.

Segnali precisi
L’incontro di Formia

Il segnale politico è chiaro. Il braccio operativo del senatore Claudio Fazzone (Coordinatore regionale di Forza Italia) ha tracciato una linea di dialogo con Fratelli d’Italia. Ed è una linea ben precisa. Si dialoga con chi è al vertice delle decisioni e non con i livelli territoriali: perché la costruzione di un dialogo si fa su visioni di ampio spettro e non su operazioni di limitata portà provinciale.

Non è un caso che alle Comunali di Itri sia bastato un rapido confronto romano a mettere fine alle discussioni nel centrodestra sull’individuazione del candidato. Ed è solo un primo passo: il convegno di Formia è una conferma.

Significa che Claudio Fazzone e Giancarlo Righini stanno ricostruendo la serenità di rapporti che nei mesi scorsi era stata messa a dura prova a causa degli equilibri interni alla Regione Lazio. Dove Forza Italia si sentiva rappresentata in maniera non adeguata al numero di Consiglieri che nel frattempo aveva acquisito, passando da 3 ad 8. Scintille che si superano con il dialogo: ma selezionando gli interlocutori.

Cosimino debordante

ANTONIO TAJANI

Antonio Tajani con Piergianni Fiorletta ed Ernesto Liguori (Foto: Antonio Nardelli © Ansa)

Mentre l’Italia celebrava la Festa dei Lavoratori tra cortei, concerti e dichiarazioni politiche, il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani ha scelto un gesto tanto semplice quanto carico di significato: essere a Ferentino, in provincia di Frosinone, nella città natale della madre, per rendere omaggio al patrono Sant’Ambrogio.

Non un’apparizione formale, non un blitz lampo da agenda istituzionale. Tajani ha preso parte, da cittadino prima che da ministro degli Esteri, alla cerimonia religiosa nella cattedrale, seduto in prima fila accanto al sindaco Piergianni Fiorletta e al prefetto Ernesto Liguori.

Una presenza che ha colpito anche il vescovo Ambrogio Spreafico, che ha voluto ringraziare il ministro per il suo attaccamento alle radici e si è congratulato con lui per la recente riconferma come vicepresidente del Partito Popolare Europeo.

Il legame con i territori
Antonio Tajani e Piergianni Fiorletta

Il gesto di Tajani non è solo una parentesi privata in una carriera pubblica. È un messaggio, più sottile e più forte di molte dichiarazioni: i legami con i territori, con le storie familiari, con le feste patronali e con la vita reale delle comunità locali sono ancora centrali nel tessuto di un Paese che rischia a volte di smarrirsi nell’effimero e nel virtuale.

Ferentino non è Bruxelles, non è Roma. Eppure è lì, tra le strade percorse dalla processione con la statua del Santo portata a spalla dai devoti, che passa un pezzo d’Italia autentica, fatta di identità, memoria e partecipazione.

In un tempo in cui l’idea di “radici” viene spesso ridotta a slogan o piegata a narrazioni ideologiche, il significato più profondo resta questo: ricordarsi da dove si viene. Tornare nei luoghi che hanno forgiato la propria storia familiare. Riconoscersi parte di una comunità, anche quando si ricoprono incarichi di livello internazionale. Essere presenti, non per parlare, ma per ascoltare. Non per imporsi, ma per condividere.

La lezione sobria
Antonio Tajani tra i sindaci ciociari

È facile parlare di “territori” in campagna elettorale, molto meno essere coerenti nei gesti. E se è vero che la politica ha bisogno di visione, è altrettanto vero che ha bisogno di radici. Senza, si galleggia. O peggio, si perde.

Il 1° Maggio di Tajani a Ferentino è stato, in questo senso, una lezione sobria ma efficace. Un richiamo all’importanza di non dimenticare che l’Italia è fatta di borghi, di feste patronali, di madri, di Santi, di strade percorse a piedi tra la gente. E che da lì, spesso, passa la credibilità di chi ci rappresenta.

Radici e identità.

FLOP

ROBERTO CALDEROLI

Roberto Calderoli © Imagoeconomica

Ci risiamo, qualcuno sta provando ad infilare il piede nella porta di una sentenza della Consulta, ma quella è una porta chiusa e il piede ci sta sbattendo forte in zona stipite. E il piede è un “aficionado” di questioni che sembrano bellamente voler scavalcare i giudicati della Corte Costituzionale.

Nella fattispecie trattasi del piedino non proprio da fate di Roberto Calderoli. Che, attenzione, non è solo un leghista archetipo di un certo modo “mastino” di concepire la mistica di Alberto da Giussano, ma è anche un Ministro della Repubblica.

Ad esser precisi degli Affari Regionali, il che ha dato a Calderoli usta ed ubbia per indicare una strada giuridicamente impercorribile. Recap: la Consulta ha accolto il ricorso del Governo contro la decisione del governatore uscente della Campania Vincenzo De Luca che aveva fatto votare una legge regionale sul terzo mandato ai governatori.

La contraddizione massima
Luca Zaia (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

A slavina, assieme alle ragioni di De Luca erano andate a strike anche quelle del veneto (e leghista) Luca Zaia. Il sunto? A governare una Regione un tizio non può andarci per più di due volte.

Ed ecco la contraddizione suprema: Calderoli, che è ministro di quello stesso governo che aveva portato De Luca (ed il caso in generale) davanti alla Consulta, adesso dice che la sentenza della Consulta vale sì, ma non per le Regioni a Statuto speciale.

Regioni come, tanto per dire, il Friuli Venezia Giulia, che guardacaso è governato da Massimiliano Fedriga, esponente di spicco del Carroccio. Insomma, nel nome di un principio giuridico valido per tutti il ministro sta provando a creare un discrimine che andrebbe a favorire “bottega sua”.

E bene bene proprio non va, a contare due dati che, anche se per motivi diversi, potremmo definire cardinali. Il primo è quello di “costume”, per il quale perfino uno come Francesco Lollobrigida ha criticato (a ragione) la linea Calderoli.

La battaglia ridicola

Matteo Salvini

Il secondo è quello politico: per evitare che (anche) il Friuli vada al voto e venga magari colonizzato da Fratelli d’Italia Calderoli sta combattendo una battaglia ridicola.

Battaglia in cui lo Statuto Speciale sarebbe a suo avviso una specie di grimaldello per scavalcare un pronunciamento giurisprudenziale di massimo rango. Che quindi vale per tutti, normali o speciali che siano.

A meno che non venga varata una legge di rango nazionale che però oggi, a Palazzo Chigi, nessuno ha interesse a varare. Tranne forse la Lega di Salvini. E di Calderoli.

Ci sta provando…