
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 21 febbraio 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 18 febbraio 2025.
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LUCA DI STEFANO

Il celebre detto latino sostiene che “Audentes fortuna iuvat“: la fortuna aiuta gli audaci. Ma altrettanto è vero che alcuni tra gli audaci, la fortuna vanno a cercarsela. Come dimostra la vicenda politica di Luca Di Stefano, presidente della Provincia di Frosinone. Con l’approvazione definitiva del decreto Milleproroghe avvenuta nelle ore scorse da parte della Camera dei Deputati (che ha raccolto 165 voti favorevoli, 105 contrari e 3 astenuti) si aprono nuovi scenari politici che premiano l’attuale sindaco di Sora e pongono molte delle sue scelte recenti sul piano della lungimiranza strategica. Di chi sa mettersi nella posizione amministrativa giusta ed individuare il crocevia politico più funzionale per cogliere le opportunità offerte dal quadro normativo.
Il decreto, ormai prossimo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ha prorogato fino al 2026 la deroga alla legge Delrio, consentendo la candidatura alla presidenza della Provincia anche ai sindaci con meno di diciotto mesi di mandato da compiere. Un dettaglio tutt’altro che secondario per Di Stefano, il quale, senza questa modifica, non avrebbe potuto concorrere per un secondo mandato nel dicembre 2026, in quanto sindaco di Sora con meno di diciotto mesi di amministrazione di fronte. (Leggi qui: Il Senato dà il via libera a Di Stefano per il bis in Provincia. Ora è arrivato il via libera anche dalla Camera).
La fortuna va cercata

Questa evoluzione normativa non è frutto del caso, bensì della capacità di alcuni attori politici di muoversi con determinazione e tempismo all’interno delle complesse dinamiche legislative. La fortuna, dunque, aiuta sì gli audaci, ma è altrettanto vero che gli audaci vanno a cercarsi la fortuna. Luca Di Stefano, con la sua visione politica e la sua capacità di consolidare rapporti istituzionali, ha saputo intercettare il vento del cambiamento e posizionarsi nel modo giusto per sfruttarlo a proprio vantaggio, disegnandosi una prospettiva fino a pochi mesi fa impensabile.
Non è un caso che il dibattito sul ritorno all’elezione diretta del presidente e dei consiglieri provinciali sia ancora aperto. Forza Italia e Lega premono per un’accelerazione del processo, ma il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha chiarito che ogni decisione sarà subordinata alla Manovra economica del 2026. Fino ad allora, la legge Delrio continuerà a dettare le regole del gioco, e chi saprà muoversi con abilità all’interno di questo contesto avrà maggiori possibilità di successo.
Il cambio di gioco politico

La possibilità di ricandidarsi è tutt’altro che un fatto amministrativo. Ma è dannatamente politico. E pone Luca Di Stefano al centro del tavolo, con in mano il mazzo di carte e un nutrito numero di fiches da giocare. È esattamente il contrario del tavolo che si era creato in occasione della sua prima elezione: nel quale il sindaco di Sora era player di pregio ma il mazziere con le carte in mano era il Partito Democratico di Francesco De Angelis e (all’epoca) Sara Battisti. Fu quella parte di Pd a guidare una coalizione trasversale, contrapposta ad una altrettanto trasversale, ma guidandola alla vittoria seppure di misura.
Questa volta sarà Di Stefano a dettare i giochi e disegnare il perimetro politico, condizionando centrosinistra e centrodestra. Il presidente ha già dimostrato di poter essere un protagonista della politica locale, con questa proroga il suo cammino verso la ricandidatura si fa più agevole. Ma proprio quella votazione bis sarà un esame decisivo per confermare sul campo la sua leadership e la sua capacità amministrativa.
La fortuna aiuta gli audaci, ma solo se questi si dimostrano pronti a trasformare le opportunità in risultati concreti.
Milleprorogato
AMBROGIO SPREAFICO

La definizione di “Buon Pastore” a volte è letteraria, evangelica ma non po’ lontana, ed in un certo senso vaga se prende quella laicità di fondo che non attiene la lettura più Cardinale. Nel caso di Ambrogio Spreafico però, che è vescovo di due diocesi e che nei fatti guida spiritualmente tre quarti di provincia di Frosinone, quelle parole non sanno di lessico lesso.
Non hanno quel sapore stantìo perché Spreafico è riuscito in uno scopo difficilissimo: coniugare la mission spirituale più ortodossa con il più grosso paio di scarpe del mondo, scarpe ben poggiate per terra. E scarpe a cui è attaccata una testa che ha intercettato benissimo le istanze della società odierna. Quelle e, per converso, i pericoli. Pericoli derivanti dall’alienazione emotiva, dalla perdita di dialogo.
E dal prevalere di una certa mistica epidermica che, soprattutto attraverso le nuove realtà di comunicazione smart, attua l’ossimoro perfetto. Quale?
Il rischio: concimare l’aridità

Quello di concimare l’aridità dell’animo umano e di incentivare un egotismo che sta facendo ammalare il mondo. Soprattutto chi del mondo dovrebbe essere colonna e speranza, cioè i giovani.
Ecco perché la sua omelia in occasione del pellegrinaggio alla “Santissima” di Vallepietra ha assunto il tono di un monito. Benevolo ma forte.
Durante la Festa dell’apparizione Spreafico ha detto, immaginandosi il colpo d’occhio di Gesù: “In mezzo a tanta gente che veniva da tante parti, non tutti credenti ma diversi tra loro, e stavano attorno a Gesù perché aveva parole che aiutavano a vivere, perché il Vangelo è vita e tante volte si vive male proprio perché non ascoltiamo il Vangelo”.
Il monito: ascoltare la Parola

Poi il monito: “Perché se ascoltassimo la Parola di Dio, questa ti entra nel cuore e ti fa vivere secondo quella bontà che dovrebbe caratterizzare la nostra vita”. Ma chi faceva bordone intorno al Nazareno? Non solo ricchi ed appagati, ma anche e soprattutto “poveri, gente che aveva fame, che non aveva il necessario, che aveva dei dolori, che piangeva, anche persone odiate dagli altri”.
Una perfetta rappresentazione del mondo tal quale oggi, mondo che sa odiare più di quanto non riesca ad amare. “E quanto odio c’è oggi nella vita, troppo odio, anche sugli smartphone: aiutate i vostri figli e nipoti a non odiare mai nessuno, a non condividere un insulto con gli altri, perché l’insulto è odio e di odio ce ne è già abbastanza nelle guerre, nella sottomissione degli altri… no, non ne abbiamo bisogno”.
“Non fate usare i social per odio”

Già: “Aiutate i vostri figli a non odiare nessuno, neanche sui social”. Cosa c’è di più moderno di un vescovo che ha fiutato l’utilità dei tempi odierni ma senza distogliere le narici da quel che possono fare questi tempi stessi senza guide? “Oggi c’è bisogno di persone che guardano agli altri con simpatia, affetto, senza giudicare tutti, perché anche in chi ha fatto il male c’è l’immagine di Dio”.
Anche in chi ha fatto il male un pezzetto di Dio c’è. E per sconfiggere il male basta solo saperlo trovare, quel pezzetto. E magari sedersi ai tavoli della pace senza distogliere gli occhi da esso.
Pedagogo etico.
CESARE PARODI

Ha cominciato bene e con il lessico giusto: fermo ma non presuntuoso. E soprattutto in un momenti cruciale come questo, in cui lo scontro tra governo e magistratura è così intenso, quel modo di cominciare è davvero “metà opera”. Una precisazione invero andrebbe fatta: quella cioè per cui oggi parlare di “scontro” tra governo Meloni e toghe è improprio.
Lo è perché queste ultime tutto sommato esercitano le loro prerogative, quelle sancite dalla Costituzione. Mentre, sempre a voler vedere più “pelosa”, Palazzo Chigi sembra voler piegare l’azione della magistratura alla convenienza politica dei suoi legiferati.
Che saranno anche sacrosanti, ma “di bottega” e non sempre rispondenti al format di giurisprudenza massima che ci contiene e guida, tutti. Ad ogni modo l’arrivo di Cesare Parodi alla guida dell’Associazione Nazionale Magistrati sembra aver fatto bene al contesto, ed ha oggettivamente “depolarizzato” i toni.
Lo scontro che non è tale

Tanto che resta una data cruciale: quella dell’incontro fra l’Associazione nazionale magistrati (Anm) e la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Summit che è previsto in agenda per il 5 marzo alle ore 15.30 a Palazzo Chigi e che ha tutti i crismi del “pomeriggio di fuoco”.
Si tratta di uno degli appuntamenti istituzionali più cruciali dell’anno, e per due motivi. Primo: perché è da esso che dipenderà la fine di un “muro contro muro” che sta sfibrando il tessuto istituzionale del Paese e creando correnti preconcettuali nei cittadini pericolosissime.
Secondo: perché il 5 marzo arriva pochi giorni dopo il 25 febbraio, data in cui la Corte di Giustizia sarà chiamata a dire la sua sull’intera faccenda dei Cpr albanesi in tema migranti. Cioè sul ring più velenoso sul quale esecutivo e magistratura sono saliti finora.
Parole calibrate al millesimo

Servivano parole misurate e calibrate al millesimo, in un contesto del genere, e Parodi le ha trovate: “Siamo un potere dello Stato, cittadini che stanno portando avanti una battaglia e credo sia legittima la nostra richiesta”. Quale? Quella del summit con Meloni. Che infatti ha risposto senza isterismi da duello.
“Accolgo con favore la richiesta di un incontro col governo che il presidente Parodi ha già avanzato e auspico che, da subito, si possa riprendere un sano confronto sui principali temi che riguardano l’amministrazione della Giustizia nella nostra Nazione, nel rispetto dell’autonomia della politica e della magistratura“.
E forse è la prima volta che quel concetto, “autonomia dei poteri dello Stato”, potrebbe diventare punto di incontro e non faglia di rottura.
The Peacemaker.
FLOP
GAETANO PEDULLA’

In ogni faccenda esiste un metodo, il modo giusto per affrontarla. E soprattutto per perorarne il merito ma senza mai scadere nel cattivo giusto e soprattutto nelle iperboli di giudizio. Ecco, il senso generale dell’atteggiamento attribuibile all’europarlamentare del M5s Gaetano Pedullà sta tutto in questo mood mancato.
E soprattutto in un concetto per cui il termine “fascista” in quest’Italia polarizzata e linguacciuta viene ormai talmente sovra utilizzato da far perdere cupo memento a quello originario.
Colpa certissima di sovranismo e populismo, ma anche dei singoli esponenti della politica, che non possono sperare sempre di nascondersi dietro il paravento delle mutazioni di costume lessicale e di approccio logico. Ad esempio ed in ordina a Pedullà, la sua condotta in ordine allo scontro Pd-M5S sull’Ucraina e sugli attacchi a Sergio Mattarella, da parte della Russia non è stata affatto esemplare.
Dalla dialettica alle offese

L’eurodeputato del partito guidato da Giuseppe Conte ha replicato a muso durissimo contro la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, in risposta a una sua intervista a ‘La Repubblica’. Intervista nella quale le (ben note e non sempre condivisibili) posizioni dem sul conflitto erano state esposte.
E Pedullà? Ha risposto non proprio a tono: “Picierno è una signora che ogni mattina si sveglia pensando a una sciocchezza da dire sul Movimento 5 Stelle”. E fin qui è dialettica politica, visto che la Picierno non è poi così “cheta” in quanto ad indole.
Poi però si esagera: “Picierno è un’infiltrata dei fascisti nella sinistra. Chiede più guerra, più armi, più povertà, più morti: non ha nulla a che vedere con la sinistra. E’ un’infiltrata dei fascisti. Cosa ha in comune con la sinistra chi chiede più armi e più povertà?”.
Dichiarazioni e reazioni

Ecco, queste affermazioni a ‘L’Aria che tira’ su La7 hanno scatenato un mezzo putiferio. Di Parte, con il Pd che tramite Nicola Zingaretti e Stefano Bonaccini, ha espresso solidarietà alla Picierno “per le folli dichiarazioni di un esponente dei 5 stelle qui a Bruxelles”.
E con il canone del buon senso che è andato definitivamente in sudditanza ad una dialettica che, nel provare a parlare di guerra, ne rinfocola il merito lessicale.
Est modus in rebus.
ANDREA PUCCI

Già ad ottobre 2024 Beppe Sala, che aveva avuto un “leggero sentore” di essere nel mirino della Mediaset milanese che a Milano non ha più sponde amministrative, si era sfogato. Così: “Il problema non è il titolo ‘emergenza’ o ‘non emergenza’, sulla sicurezza stiamo lavorando, sono consapevole, stiamo aumentando i vigili quanto mai. Perché non rivolgete la stessa domanda al ministro Piantedosi, al prefetto, al questore?“.
La risposta, abbastanza piccata, il sindaco di Milano l’aveva data all’ennesimo giornalista Mediaset, anzi, del Tg4, che era arrivato a stuzzicarlo sul tema della sicurezza. “Se politicamente, a voi di Mediaset, faccia comodo attaccare il sindaco, fatelo. Io lavoro con grandissima serenità perché ho la coscienza a posto. Vi invito ad andare intervistare quelli della vostra parte politica, io so quello che sto facendo. Il vostro è puramente un attacco politico”.
Il dato della città di Milano insicura è empirico, come pure empirico è il dato per il quale il Tg4 diretto da Andrea Pucci ha ormai messo in piedi una vera campagna politica di delegittimazione.
La crociata ad personam

Ogni sera, ogni santa sera ci sono aperture sui problemi della città e di quelle dove non comandano Fdi, Lega o Fi. Lo scopo è individuare una sorta di “geografia” dell’insicurezza metropolitana seguendo non solo l’usta dei fatti, ma che quella di andare a sottolineare ed esacerbare il fenomeno solo e soltanto nelle città guidate da sindaci di centrosinistra.
Come Roma, Firenze, Napoli e, appunto Milano, quella che a Mediaset brucia più di tutte. Premessa: Milano è città dove fenomeni ed episodi criminali sono in aumento, a volte al limite del sostenibile per i cittadini.
Nesso causa-effetto insostenibile
Premessa due: questo non può e non deve costituire movente per creare un nesso eziologico, di causa-effetto, tra l’azione amministrativa di un sindaco politicamente sgradito ed un fenomeno che, se solo al Tg4 fossero più obiettivi, sarebbe riscontrabilissimo anche a Genova, Venezia o Catanzaro. Questo tanto per citare alcune grandi città governate dal centrodestra.
Solo che l’attenzione maniacale che Pucci ha “suggerito” a Stefania Cavallaro con gli endorsement di Daniele Capezzone e Tommaso Cerno è ormai talmente pignole ed in loop che è nato un convincimento. Quello per cui si delinque oltre l’umanamente tollerabile solo nelle metropoli dove gli avversari hanno il potere.
Non è così, provarci è legittimo per linea editoriale ma eccessivo per assenza di garbo e misura nell’applicazione delle stessa. Pucci lo sa ed è ora che chiuda il telefono.
E’ troppo dai…