
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 25 aprile 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 25 aprile 2025.
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dom BERNARDO D’ONORIO

La Sacra Bibbia è piena di lunghi viaggi di ritorno: quello di Mosè che riporta il suo popolo alla Terra Promessa dopo gli anni di schiavitù in Egitto. O quello di Giobbe che torna nella sua dignità dopo le tribolazioni con cui il demonio tentava di farlo crollare nella fede. Ma anche il ritorno di Elia quando, in fuga e disperato, torna simbolicamente al Monte Oreb nel Sinai dove ritrova la missione e la forza. E soprattutto il ritorno interiore di Pietro dopo avere adempiuto al suo destino di rinnegare Gesù, pronuncia il Quo Vadis e ritorna alla fede diventando la roccia della Chiesa dimostrando che per tutti c’è perdono nel Vangelo.
Chissà se ha pensato a qualcuno di questi personaggi biblici dom Bernardo D’Onorio nel momento in cui ha varcato nuovamente le porte di Montecassino di cui è stato il 191° abate ordinario per 33 anni. Per rimanerci in maniera stabile.
Il ritorno a casa

Dalla settimana scorsa è tornato nell’abbazia che lo ha formato e di cui fu guida in una delle fasi più significative della sua storia recente. Non è tornato per fare il pensionato: ma l’abate ordinario emerito, con il compito di mettere la sua trentennale esperienza a disposizione di una nuova generazione di monaci. L’esordio ufficiale è stata la celebrazione della prima Messa in suffragio per il Pontefice defunto, nel lunedì in Albis.
Ma il ritorno di dom Bernardo è molto più di un semplice atto liturgico: è il segno di una storia che si chiude e si riapre insieme. Quando nel 2004 venne nominato arcivescovo di Gaeta, in molti lessero quella scelta come un “promoveatur ut amoveatur“: una promozione di prestigio certo, ma anche un allontanamento da Montecassino, dove dom Bernardo aveva consolidato un’influenza politica, morale, economica e religiosa che faceva ombra e rumore.
In realtà, la sua traiettoria personale parla di radici profonde, di un legame con la vocazione benedettina che ha plasmato la sua vita fin da ragazzo. Cresciuto a Veroli, educato tra le monache benedettine e i monaci di Montecassino, dom Bernardo ha costruito la sua spiritualità sul modello della “simpatia”, di quella attrazione che diventa scelta, cammino, adesione totale.
Il lungo viaggio

A Montecassino ha lavorato a fianco di due abati simbolo: Ildefonso Rea, il ricostruttore tenace dell’abbazia distrutta dalla guerra, e Martino Matronola, l’abate-filosofo. Da loro ha imparato la determinazione e l’amabilità, la forza di non cedere mai al compromesso. Caratteristiche che lo hanno reso un leader forte, capace di trattare con governi, industrie, personalità ecclesiastiche e politiche, ma senza snaturare il cuore monastico della sua vocazione. Fu lui ad andare con un lungo viaggio di notte in macchina, fino a Torino e chiedere udienza all’Avvocato Gianni Agnelli esortandolo a non chiudere lo stabilimento di Cassino.
La sua nomina a Gaeta fu dolorosa, come lui stesso ha ammesso: “Partire è un po’ morire“. Ma accettò, fedele alla regola dell’obbedienza e alla consapevolezza che la Chiesa è missione prima ancora che luogo. Lì portò avanti il Sinodo Diocesano, cercando di restituire alla fede il linguaggio della contemporaneità.
Il ritorno carico di significati

Il ritorno oggi a Montecassino è carico di significati. Non è un ritorno di potere, né un gesto politico. È la testimonianza di un cammino compiuto, di una fedeltà che ha attraversato obbedienze, rinunce, cambiamenti. Dom Bernardo torna da emerito, ma con la stessa forza interiore di sempre: quella che si è formata all’ombra dei marmi di Montecassino, nei corridoi del monastero, tra le mura che raccontano la storia della rinascita italiana.
In tempi di crisi, in tempi di mutamento anche per la Chiesa, la sua presenza è una memoria viva: quella di una fede solida, di una leadership costruita sulla responsabilità e non sull’uso del potere. Un segnale discreto ma forte che Montecassino, ancora una volta, rimane un faro. Non solo di pietra, ma di spirito.
Il ritorno a casa, meglio di quella del Padre.
dom DONATO OGLIARI

La scelta di dom Donato Ogliari per pronunciare una delle due meditazioni pre-conclave non è solo un atto di stima personale. È il segno di una precisa idea di Chiesa: essenziale, salda, radicata nel Vangelo, capace di affrontare crisi e cambiamenti senza perdere l’orientamento.
Benedettino, già 193° abate di Montecassino e ora alla guida di San Paolo fuori le Mura, Ogliari è un uomo che porta sulle spalle il peso e la grazia della tradizione monastica. Non come nostalgia del passato, ma come consapevolezza che la forza della Chiesa nasce dalla fedeltà quotidiana, non dagli eventi straordinari.
Otto anni sul Colle

Otto anni a Montecassino lo hanno formato alla gestione di situazioni complesse, tra restaurazioni spirituali, tensioni politiche e la necessità di rimettere ordine anche nella dimensione economica dell’abbazia. Ma il suo stile non è mai stato quello del manager o del politico. Sempre più simile al seminatore silenzioso di cui parlava spesso: un uomo che crede nel valore dei piccoli gesti, della fedeltà nascosta.
Dom Donato non è mai stato un personaggio da riflettori. Cresciuto in un ambiente profondamente religioso, ha incontrato Dio nella quotidianità, senza scosse teatrali. La sua è una fede – come lui stesso raccontò – che si rinnova minuto dopo minuto, nell’equilibrio tra preghiera, studio e lavoro.
Questa sua formazione spiega perché la Congregazione generale dei cardinali abbia visto in lui la persona adatta ad aprire il cuore del Conclave. Non un predicatore urlante. Non un funzionario del sacro. Ma un monaco che conosce il peso del silenzio, l’importanza della riflessione, il valore della parola data.
Segnale preciso

La sua presenza è anche un segnale preciso: i cardinali vogliono che il nuovo pontificato nasca dentro un clima di essenzialità e verità evangelica. Dopo un lungo periodo in cui anche all’interno della Chiesa si sono moltiplicate tensioni e lusinghe di potere, affidarsi alla parola pacata di un benedettino significa scegliere la rotta della semplicità.
Dom Donato Ogliari sa che la Chiesa di oggi non può più permettersi illusioni: sarà minoranza, sarà povera, sarà chiamata a testimoniare più che a comandare. E non è detto che sia un male.
Mentre nella Cappella Sistina si chiuderà la porta con l'”Extra Omnes“, saranno le sue parole a restare nell’aria: parole non di strategie, ma di fedeltà; non di potere, ma di servizio. Un altro seme gettato. Con la pazienza di chi sa che è Dio, e non gli uomini, a farlo germogliare.
La scelta giusta per guidare il cuore del Conclave
GIANCARLO GIORGETTI

Parliamo un po’ di Giancarlo Giorgetti: ministro dell’Economia confermato due volte, titolare del dicastero più cruciale degli ultimi 10 anni per ovvie contingenze storiche e geopolitiche eccezionali. E soprattutto uomo delle istituzioni diviso tra la “fedeltà” all’Esecutivo di cui fa parte e quella ad una Lega che nessuno potrebbe definire “salviniana” in toto.
Ora prendiamo in esame un aspetto secondo ma non secondario: parliamo di un ministro che ha dovuto, letteralmente, fare i conti con un disponibilità di cassa scarsina, e assieme ad essa con le esigenze di un governo sovranista che vive di slogan, di “record” e di mistica del “finalmente ci siamo noi che pensiamo agli italiani”.
Al di là del fatto che per il 70% almeno sono tutte “balle legittime”resta un dato. Ed è quello per cui in queste circostanza chi ci rimette la “cotica” più di tutti è sempre il titolare del Mef. Perché il ministero in questione e chi lo guida sono totem di concretezza per loro natura, mentre chi deve postare sui social che c’è una mezza Età dell’Oro è bardo di fuffa, per sua natura e sovranista di ugola.
Il Decreto bollette

Fatte queste premesse va detto che Giorgetti non si è affatto portato male. E che la riprova della sua capacità di accontentare il pallottoliere ed al contempo il “capoclasse” è ben sostanziata nel decreto bollette che ci porta a questo 25 aprile. E’ passato in Senato e prevede lo stanziamento di circa 8 milioni di contributi a favore delle famiglie con Isee fino a 25mila euro.
Nuclei a cui toccherà un contributo straordinario – il cosiddetto bonus bollette – di 200 euro, che sale fino a 500 euro per chi già riceve il bonus sociale. Ci sono poi in agenda contabile 600 milioni di euro ulteriori.
Il loro scopo sarà “ridurre i costi delle imprese ad alto consumo energetico, anticipando i proventi delle aste Emission Trading System e ulteriori 600 milioni di euro per finanziare il Fondo per la transizione energetica industriale”. Quella cioè che attiene “i progetti di efficienza e riduzione dei costi energetici nel settore industriale”.
Voce per voce

Lo spiega AdnKronos. Sempre in spunta sono previste offerte energetiche più chiare e trasparenti e “vengono resi impignorabili i debiti legati alle bollette sugli gli immobili”.
Senza contare i 10 milioni a favore di associazioni sportive, come quelle che gestiscono impianti a forte consumo energivoro come le piscine. Dice, ma è un goccia nell’oceano e sono somme tecnicamente risibili?
Vero, anzi, verissimo, ma provateci voi ad essere Giancarlo Giorgetti con Giorgia Meloni e Matteo Salvini a Palazzo Chigi e con Italo Bocchino dalla Gruber.
Concretezza malgrado gli slogan.
FLOP
GIUSEPPE CONTE

Ieri a Montecitorio era prevista la riunione dei capigruppo della Camera. E dopo qualche ultima “tagliola” del Governo su alcuni provvedimenti urgenti si sta verificando in queste ore il solito problema italiano. Quello che scavalca le dinamiche della democrazia di rappresentanza e tracima quasi sempre in due parole: boria di chi comanda ed ostruzionismo di chi sta in minoranza.
Con una aggravante per quest’ultima, quale? Mentre gli Esecutivi (tutti, figuriamoci quelli a trazione sovranista) tendono fisiologicamente ad “ubriacarsi” del potere che gli elettori hanno delegato loro, le opposizioni dovrebbero mantenersi più “lucide”.
L’equilibrio che non c’è più
Questo perché sta nella loro stessa natura istituzionale richiamarsi ad un equilibrio che, magari, alla lunga pagherà. Poi c’è l’altra strada, che è quella di Giuseppe Conte. Che ha invece un problema più impellente: accreditarsi come leader unico delle minoranze parlamentare prima che Elly Schlein magari indica un Congresso di conferma e si prenda le Marche, la Campania e magari tenga bene in Veneto.

Perciò il leader dei Cinquestelle ha scelto la strada più sdrucciola ed ha ingiunto ai suoi un mantra. Questo: “A maggio faremo ostruzionismo su tutto”. Cosa c’è di male? In fondo è dell’opposizione e delle legittime aspirazioni dei suoi uomini-donne totem di avere più carisma che parliamo.
Ecco, c’è un fenomeno che ormai passa sotto traccia. Guardiamo il calendario parlamentare prossimo: il Senato ad esempio ha già stabilito che la settimana dal 28 aprile al 2 maggio sarà riservata ai lavori delle Commissioni. Cioè niente aula e magari, ove fosse possibile una “eventuale eccezione dell’esame del Dfp se fosse necessario”.
Ecco, è proprio nelle Commissioni che si fa sostanzia il potere legislativo, e l’annuncio di Conte di volere fare solo “guerra” lega male con il bisogno del paese di andare avanti. Comunque ed a prescindere dalla ricetta ideologica ed attuativa che lo regge.
Le caldaie della democrazia

Perché la democrazia è come le caldaie dei grandi vapori di fine ‘800 ed inizio ‘900: ha bisogno delle macchine avanti tutta per andare e del carbone ad alimentare caldaia per garantire che si vada.
Conte no: lui ormai ha deciso di essere la Somma Spina nel Fianco di ogni istanza, e non per quel popolo nel nome del quale lui sempre più spesso parla, ma nel nome di un sogno che con il “popolo” ha poco a che vedere.
Quello di tornare a Palazzo Chigi sulle spalle di un Pd fiacco e riasssaggiare un clima che di certo non lo ha visto avere demerito. Ma che forse gli ha “avvelenato” troppo l’animo.
Bracco invasato.