I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 27 settembre 2024
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 27 settembre 2024.
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ROCCA – FAZZONE
Nessuna figura militare e nessun grado sono forse più iconici del sergente. Alla faccia di gradi più blasonati ed alti, quello che una volta, in epoca tardo-medievale, era chiamato il “serra-gente”, era il vero cardine delle forze in campo. Come spiega bene il nome era colui che, a volte e suon di addestramento infernale, calcioni ed urlacci, altre con ordini secchi ed incitamenti, faceva serrare le fila alla fanteria.
Quando? Nel momento peggiore di sempre per tutte le fanterie: cioè quando le cavallerie catafratte caricavano in epoche antiche. Oppure quando l’artiglieria scarica addosso quel che sta scritto sulle tavole balistiche o passa per radio in epoche moderne.
Perché Francesco Rocca e Claudio Fazzone, ciascuno per il suo schieramento, sono dei sergenti alla Basil Plumley in quel di La Drang? Cioè dei fegatacci che stanno serrando le file delle loro truppe in un’occasione cruciale? Perché, fatta la tara alle metafore in grigio verde, tutti e due stanno giocando una partita tattica eccellente.
Come la “roccia” Basil Plumley
Rocca da Presidente della Regione Lazio attende ad andare in Consiglio per evitare il rischio di imboscate dalla pattuglia di Forza Italia. E Fazzone da coordinatore regionale azzurro non invia sul terreno né i suoi Consiglieri né i suoi assessori perché Rocca non adegua i gradi alle nuove dimensioni dei ranghi. La questione è nota: Ci sono personaggi che hanno abbandonato il Movimento 5 Stelle e la Lega per passare con Forza Italia, che chiede un nuovo dosaggio riconoscimenti in Consiglio regionale.
Per un’intera estate s’è assistito alla più classica delle tattiche di logoramento. Cercando di sfinire l’avversario e portarlo a più miti richieste. Entrambi sanno che quella tattica, come l’assedio, reclama tempi lunghi. Rocca ha resistito per mesi alle scalmane di rimpasto di Fazzone. E Fazzone? Sa benissimo che lo stallo messicano è scenario che non dura mai a lungo, e che prima o poi una mossa la si dovrà pur fare.
I segnali dal fronte
I segnali dal fronte ci sono. Li hanno mandati in maniera bilanciata i due ‘sergenti‘. L’altro giorno Rocca ha ringhiato ai Partiti che una soluzione va trovata e pure in fretta. Nelle ore scorse è arrivato il segnale di Fazzone che per la prima volta dopo mesi ha mandato il suo capogruppo Giorgio Simeoni alla riunione convocata dal presidente d’Aula Antonello Aurigemma in cui pianificare i lavori del Consiglio. Non è il segnale di una soluzione ma che si sta lavorando per trovarla e che il fronte non è statico.
Infatti, nelle ore scorse c’è stato un ulteriore confronto tra i coordinatori regionali di Fratelli d’Italia e Forza Italia, Paolo Trancassini e Claudio Fazzone: alcuni sostengono sia stato per telefono altri de visu a Montecitorio. A prescindere dal luogo è importante la sostanza: FdI ribadisce la sua posizione politica e cioè zero nuovi assessori ma solo un rimpasto di deleghe, Forza Italia ribadisce per contro che se deleghe devono essere siano grandi quanto un assessorato. Quali? Urbanistica, Lavori Pubblici, Cinema, Protezione Civile. Ed il sub Commissario al Consorzio Industriale che Salvatore Forte è già pronto con la valigetta.
In concreto? Nulla di nuovo. Nessuno cede. Ma al tempo stesso nessuno prova ad uscire dai ranghi. Rocca e Fazzone hanno studiato bene le loro mosse e tutti e due stanno dimostrando di saperle applicare, oltre che che enunciare. Perché sì, hanno i galloni e se li sono guadagnati. Sul campo.
Sergenti di ferro.
ROBERTO SAVIANO
E’ cominciato tutto qualche giorno fa, ma sta andando a massa critica in queste ore. Quand’è che una rotta istituzionale “consentita” diventa legittimo tema di verifica penale? E quando accade che, se un ministro della Repubblica applica una prerogativa, la stessa poi ha cittadinanza in un fascicolo della Procura?
La vicenda Open Arms-Matteo Salvini ha contorni tanto definiti da aver innescato la polarizzazione politica tutta nostrana. Ed al contempo tanto fumosi da innescare riflessioni, delle persone cosiddette “comuni” e di esponenti di calibro della società.
Quello che ha colpito di più del vicepremier non è stato comunque il merito del reato che gli si contesta in ipotesi dibattimentale e terminale. No, a Salvini come al solito si contesta il metodo di autodifesa stragiudiziale, e la solita sarabanda di post, video, affermazioni nette e mistica da eroe patriottardo.
Il Salvini che si difende sui social
Ecco, proprio in questa nicchia, che di Salvini sembra il punto di forza ma che è il vero tallone di Achille, ci si è infilato Roberto Saviano. Certo, Saviano è colui il quale è stato trascinato in aula da Giorgia Meloni per aver toccato – lessicalmente non certo piano – il tema del rapporto tra migranti e governo attuale.
Tuttavia il suo punto di vista oggi è quello che prende un tema tecnico e lo trasforma in quel che solo e soltanto dovrebbe essere. Un tema etico, su cui non si fa maquillage politico di consenso. “I confini si difendono dal narcotraffico, i confini si difendono dai capitali criminali, non far sbarcare 147 naufraghi salvati da un’ambulanza del mare non è difendere confini, ma propaganda”.
Da questo punto di vista l’autore di Gomorra ha anche analizzato la situazione attuale, quella organizzativa più che di Diritto. Tuttavia Saviano non rinuncia ad una stoccata contro il titolare delle Infrastrutture, all’epoca dei fatti titolare del Viminale. Ed oggi imputato in attesa delle arringhe difensive e della camera di Consiglio a Palermo.“Non riuscendo a proporre politiche efficienti, Matteo Salvini bersaglia disperati e innocenti”.
E a chiosa: “Facendo credere che fermandoli stia risolvendo il problema dell’immigrazione clandestina”.
Svela il trucco.
FLOP
JOHN ELKANN
Non è di oggi, non è una novità: ma quando lo scenario venne prospettato all’Avvocato Gianni Agnelli, assicurano alcuni biografi che abbia risposto qualcosa del tipo “Non sarò io a vendere ciò che mi ha lasciato mio nonno”. Chi all’epoca vaticinava le rotte economiche del futuro assicurava che l’Automotive era al tramonto ed il futuro stava nell’Energia. Per questo consigliava di dismettere l’attività storica di famiglia per concentrarsi su quella che sarebbe stata la futura gallina dalle uova d’oro.
Da allora sono trascorsi oltre vent’anni ed i fatti hanno detto che gli economisti al servizio degli Agnelli ebbero ragione. Nella generazione successiva c’è stato un altro grande visionario al servizio della famiglia: si chiamava Sergio Marchionne e profetizzò che il mondo dell’Automotive sarebbe andato avanti a colpi di aggregazioni. E solo i più grandi al mondo sarebbero sopravvissuti: quattro o cinque al massimo. Da qui nacque la sua visione di rilevare Chrysler e creare Fca. Ma i nipoti dell’Avvocato non hanno avuto la stessa sensibilità del nonno.
Marchionne non c’è più da 6 anni e nemmeno Fca: Stellantis è un’altra cosa. Oggi è una società francese con libri contabili in Olanda e soci italiani. Che tra poco potrebbero contare ancora meno: perché i sussurri dal mondo economico parlano di un’altra delle fusioni profetizzate dal risanatore Sergio. Si prendono le misure a Renault.
Roba diversa
Nemmeno questa è di oggi e nemmeno questa è una novità. Già cinque anni fa i due gruppi provarono la fusione ma saltò: pare per la preoccupazione dei giapponesi di Nissan che compresero subito dove voleva andare a parare Fca. Peugeot – Psa fu un ripiego. Ora si torna a parlarne. E gli analisti spiegano che proprio per questo dall’Olanda (un tempo si sarebbe detto ‘dal Lingotto‘) hanno messo gli occhi su Luca De Meo per la successione al Ceo Carlos Tavares nel 2026. Perché? Il manager italo francese è della scuola Marchionne ed è a capo di Renault. Il terreno politico per una fusione, in Francia è favorevole. In Italia?
Ma perché: l’Italia ha mai contato qualcosa in questa operazione? La prospettiva è la totale cancellazione dell’Automotive dall’Italia per una ragione che capirebbe anche un bambino. E cioè: in Francia hanno stabilimenti dove l’energia cosa infinitamente meno che in Italia; noi qui buttiamo ancora la spazzatura nelle buche mentre nel resto d’Europa ci fanno la corrente elettrica. Chiaro che non andremo da nessuna parte.
E gli Elkann? A loro dell’auto è sempre interessato molto poco. Se Gianni Agnelli è vissuto nel mito del nonno, gli Elkann sono quelli che hanno lasciato mettere in vendita la palazzina con l’ufficio del Senatore che creò la Fiat. Legittimo. Hanno altre inclinazioni ed altre attitudini: mica i figli degli idraulici debbono fare per forza l’idraulico. Ma qui c’è una questione di fondo che non è di casta.
La questione è che una notte, anni fa, l’allora abate di Montecassino dom Bernardo D’Onorio si fece portare in auto fino a Torino ed all’alba si fece ricevere dall’avvocato Franzo Grande Stevens, plenifiduciario degli Agnelli. E da lui si fece portare a colloquio con l’Avvocato. Gli spiegò cosa era stata Fiat per Cassino: un immenso ascensore sociale che aveva affrancato migliaia di persone, consentendogli di mettere su casa, far studiare i figli, farli sposare. Racconta dom Bernardo che Gianni Angelli, a modo suo, si commosse, restò colpito. Ed assicurò che fin quando fosse rimasto in vita nessuno avrebbe toccato gli stabilimenti.
Un’altra pasta.
SALA – PIANTEDOSI
Le colpe sono due tipi: istituzionali per rappresentanza ed oggettive per incremento dei fattori che le determinano. Ecco, il sindaco di Milano Beppe Sala ed il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si beccano le prime. Cioè quelle per cui nessun vertice di sistema complesso può esimersi dal prendere atto di una situazione negativa in seno a quel sistema medesimo.
E’ chiaro che se Milano è la capitale italiana del crimine oggi loro hanno responsabilità limitate, ma è altrettanto chiaro che se questo è accaduto magari qualche impronta digitale dei due comunque compare. Il report del Sole 24 Ore è di un bel po’ di giorni fa, ma a quanto aveva già illustrato lo stesso si sono aggiunti i dati del Viminale e di alcuni analisti privati. Quindi è certificato oltre ogni ragionevole dubbio: il “noir tricolore” primeggia all’ombra della Madunìna.
Denaro, opportunità e crimini
L’Indice di Criminalità ed il suo calcolo di avvalgono di fattori complessi, uno dei quali è legato paradossalmente al benessere economico, al Pil inside delle grandi aree metropolitane. Che significa? Che dove circola denaro circolano opportunità. E dove queste opportunità crescono aumentano coloro che, cogliendone l’usta, azzardano crimini occasionali o aumentano il registro di quelli sistemici.
E qui scattano le responsabilità di Sala e Piantedosi. Possibile che non ci si sia accorti che Milano stava sempre più diventando un coacervo di reati (specie dopo il biennio nero delle violenze sessuali 2022/23) e che non si sia fatto nulla? Possibile che in termini di polizia locale e forze dell’ordine non si sia sentito il bisogno di incrementare gli organici ed aumentare la videosorveglianza?
Ed infine, claim questo che affligge l’Italia ormai dai tempi dei Vespri Siciliani: possibile che ogni volta che le forse deputate latitano si debba agitare lo spauracchio dell’Esercito? Un soldato è addestrato a combattere ma non ad interdire, fiutare e prevenire. E dieci incursori di fanteria, in un contesto metropolitano, non fanno due “Falchi” della Polizia di Stato. Il dato è quello ormai noto: Milano, Roma e Firenze sono le città meno sicure e le denunce sono in aumento per la prima volta dal 2013.
Il pannicello caldo dell’Esercito
Quali reati sono aumentati? Quelli violenti: omicidi, percosse, lesioni e rapine. E Milano è la città con il maggior numero di reati denunciati nel 2023, con oltre 7mila segnalazioni ogni 100mila abitanti nel 2023. Le denunce sono andate in upgrade del 4,9% rispetto al periodo pre-pandemia, “con record negativi nei furti e nelle rapine”.
Milano è “terza per violenze sessuali e quinta per reati connessi agli stupefacenti”. E sarebbe il caso di fare qualcosa: davvero, bene e quanto prima.
Oh mia triste Madunìna…