
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 6 giugno 2025
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I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 6 giugno 2025.
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PAPA LEONE XIV

L’indiscrezione segna più di un semplice gesto amministrativo: entro giugno sarà nominato il nuovo vescovo di Anagni, e potrebbe essere l’inizio di un ritorno alle diocesi così com’erano prima dell’accorpamento voluto da Papa Francesco. A rivelarlo è Alessioporcu.it e la notizia – apparentemente tecnica – ha in realtà un peso simbolico enorme. Indica una svolta netta, un segnale inequivocabile che Papa Leone XIV vuole una Chiesa che torni fisicamente, spiritualmente e pastoralmente vicino ai territori, ai fedeli, al “gregge”. (Leggi qui: Papa Leone cambia rotta: si separano Anagni e Frosinone. Presto il vescovo).
Cambio di paradigma

Dopo un mese di pontificato, questa non è solo una scelta logistica. È un cambio di paradigma. Dove Francesco, in nome della sostenibilità e di una visione di Chiesa più essenziale, aveva operato accorpamenti e razionalizzazioni, Leone XIV sembra voler rilanciare la capillarità e la presenza. Non si tratta di nostalgia per un passato perduto, ma del riconoscimento che la prossimità è oggi una forma di profezia.
È il primo segno concreto di una linea che non si lascia ingabbiare dai facili dualismi: mozzetta rossa o scarpe nere, Tradizione o rivoluzione. Come osservava Ricoeur, siamo di fronte a un “conflitto delle interpretazioni”: chi vede in Leone un Francesco II con voce più pacata, chi spera o teme un ritorno al pre-concilio. Eppure, queste categorie stanno strette al nuovo Papa. Il suo passo è felpato, ma deciso. E soprattutto, non è un passo all’indietro.
Lo dimostrano le sue parole sulla “sfida dell’apertura”: una Chiesa che ascolta, che non chiude le porte, che costruisce ponti. Lo ha detto con chiarezza nel suo primo discorso sulla Cattedra di Pietro. Ha rilanciato l’eredità del Concilio Vaticano II e dell’Evangelii Gaudium, ma senza imitarne la retorica. Ha parlato di una fede concreta, incarnata, che si misura non nei documenti ma nelle relazioni. Non è relativismo: è responsabilità.
Approccio spiazzante

Il suo approccio alla verità è forse la novità più spiazzante. “La Dottrina sociale della Chiesa – ha detto – non vuole alzare la bandiera del possesso della verità”. È più importante avvicinarsi che rispondere in fretta. È un invito al giudizio prudente, al discernimento, a uno sguardo maturo. Chi parla di “unità ritrovata” rischia di voler tornare a un’“uniformità” che Leone non cerca e non promette.
Così anche sulla politica internazionale: la telefonata con Putin, la valorizzazione del lavoro di Zuppi, il richiamo al patriarca Kirill, non sono gesti di rottura ma di continuità dinamica. È la stessa pazienza diplomatica di Francesco, ma declinata con un registro più sobrio, forse più incline all’ascolto che all’esortazione.
Non rifiuta ma assume

Ecco il punto: Leone XIV non rifiuta la storia recente della Chiesa, ma la assume. Non è né in discontinuità né in copia carbone. La sua è una postura nuova, che si fa carico delle ferite senza rinnegarle. Parla di una “Chiesa samaritana” che si piega sul dolore del mondo, che non si tira indietro di fronte al rischio di “contaminazione” perché sa che la fede non si protegge isolandola, ma vivendola.
Il ritorno alla diocesi di Anagni potrebbe essere ricordato come il primo segno visibile di questa svolta. Perché non si tratta solo di ridisegnare confini ecclesiastici, ma di affermare una presenza. Di dire che i territori contano. Che la vicinanza non è una strategia pastorale, ma una dimensione teologica. E che una Chiesa estroversa, come l’ha definita lui stesso, non si limita ad accogliere: va incontro.
Il ritratto di Leone XIV, oggi, è ancora in costruzione. Ma alcuni tratti sono già chiari: realismo, apertura, concretezza. Una Chiesa che non teme il cambiamento, ma che non ne fa una moda. Una Chiesa che non chiude le domande, ma le accompagna. E una Chiesa che torna a farsi vedere, non per nostalgia, ma per fedeltà.
La zampata di Leone sui territori.
CORRADO SAVORITI

Non solo denuncia ma anche visione: Unindustria decide di proseguire nel solco tracciato durante il suo mandato dalla presidente Miriam Diurni. Ed il suo successore, Corrado Savoriti, ha calzato a sua volta gli anfibi scendendo in campo per restituire dignità ad un settore – quello dell’impresa – trattato come un fastidio, anziché come il motore reale dell’economia.
Durante l’ultimo incontro organizzato da Unindustria sul tema del Sito di Interesse Nazionale (Sin) della Valle del Sacco, Savoriti ha detto ad alta voce quello che da anni tanti imprenditori sussurrano con frustrazione: la burocrazia soffoca, l’incertezza respinge gli investimenti, i giovani laureati scappano, il territorio si desertifica. E soprattutto: serve una svolta netta, subito. Basata sui dati ufficiali e scientifici che sono stati anticipati dall’Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente. Secondo la quale il Sin non esiste più: i dati sull’inquinamento dentro al Sin sono identici a quelli rilevati nei terreni fuori dal perimetro Sin. (Leggi qui: “Addio Sin, bentornata Ciociaria”: Savoriti smonta la Valle dei Veleni).
L’industria al centro

Savoriti ha riportato l’industria al centro del discorso pubblico. E lo ha fatto con la lucidità dei numeri. Ha messo in fila dati e proposte. Ha ricordato che le aziende non aspettano all’infinito ed infatti molte se ne sono andate portando altrove i loro investimenti. Ed ha ricordato che la competitività di un territorio si misura in semplificazioni, infrastrutture e fiducia.
Ma non è solo questione di dossier tecnici o scadenze ambientali. Il presidente di Unindustria ha avuto il coraggio di indicare un’idea di sviluppo diversa, più ambiziosa, più coerente con la realtà post-pandemica. Ha parlato della TAV come leva per il riequilibrio territoriale, dicendo che sarebbe un’opera sbagliata se venisse concepita per trasformare Frosinone nella periferia di Roma raggiungibile in 15 minuti. La Tav ha senso – ha evidenziato Savoriti – ha senso se diventa un hub per collegare Lazio Sud – Molise – Abruzzo all’Europa. Perché così si possono trattenere i laureati in provincia, attraendone altri dal resto d’Italia e del mondo. E lo ha fatto con parole che rifiutano il fatalismo e rimettono al centro la responsabilità collettiva.
L’errore

Già una volta la politica ha fatto orecchie da mercante di fronte alle sollecitazioni di Unindustria. È stato quando il presidente Giovanni Turriziani teorizzò l’Area Vasta, cioè l’alleanza operativa tra i Comuni intorno a Frosinone per intercettare fondi europei e semplificare la loro azione amministrativa. Ci hanno messo sette anni per riconoscere che aveva ragione. E fare l’Area Vasta.
La politica dovrebbe ascoltare di più chi produce. Non per cortesia istituzionale, ma per necessità. Perché Savoriti ed i suoi predecessori incarnano una classe dirigente che non chiede favori, ma regole chiare. Che non vuole sussidi, ma efficienza. Che non insegue il consenso, ma costruisce valore. Una classe dirigente che produce stipendi, lavoro, innovazione. E che troppo spesso viene ignorata o caricaturizzata.
Ora tocca alle istituzioni dimostrare di essere all’altezza di chi, ogni giorno, rischia capitale e idee per tenere accese le luci dell’economia reale.
La voce dell’impresa
FLOP
ROBERTO CALIGIORE

Cala il sipario su “The Good Lobby”, l’inchiesta che ha fatto tremare il Comune di Ceccano e l’intero sistema degli appalti finanziati con fondi europei. La Procura Europea ha chiuso le indagini e ha circoscritto, nero su bianco, la responsabilità al solo sindaco Roberto Caligiore. Il cerchio, che sembrava largo, si è stretto. E con questa stretta si tirano fuori dall’occhio del ciclone nomi, persone, storie, carriere, reputazioni. (Leggi qui: The Good Lobby, il caso è chiuso: accuse a Caligiore, non all’amministrazione).
Il piano penale, come sempre, è affare della magistratura. Ma quello politico è già stato archiviato dai cittadini: via l’amministrazione Caligiore, dentro un’altra – fresca, con l’odore di panni appena usciti dalla lavanderia. La metafora non è retorica: in una città sporcata dai sospetti, il bisogno di aria pulita è diventato esigenza democratica.
Il bambino e l’acqua sporca

Eppure, non tutto va buttato via con l’acqua sporca. Perché se Caligiore, secondo l’impianto accusatorio, ha gestito nel suo interesse e non quello della città gli appalti comunali, altri attori politici che in questi anni hanno condiviso il palco con lui ne escono – oggi possiamo dirlo – senza macchie. È il caso di Riccardo Del Brocco, l’assessore all’Ambiente che per lungo tempo nell’immaginario collettivo era stato indicato come il burattinaio occulto. Invece, nulla è emerso a suo carico sulla questione degli appalti europei. Nemmeno un indizio. La giustizia ha fatto il suo corso, ed è giusto riconoscerlo.
Il caso Del Brocco deve far riflettere. Perché con la caduta di Caligiore rischia di pagare, ingiustamente, un’intera generazione di giovani amministratori, che ora si ritrovano sotto l’ombra lunga dell’infamia senza che ci sia stata una loro colpa. Le sentenze non spettano alla piazza, né al retropensiero: spettano agli atti. E gli atti dicono che la “santabarbara” amministrativa era tutta nelle mani del primo cittadino, insieme a pochi fedelissimi. Il resto, più che un sistema, è stato un palcoscenico dove alcuni hanno agito, e altri semplicemente sono stati spettatori. (Leggi qui: La forca era pronta. Il cappio è rimasto vuoto).
La ferita politica

Nel mezzo, il partito. Fratelli d’Italia non risulta coinvolto. Ma è evidente che il caso Caligiore rappresenti una ferita politica. Una ferita profonda. Per il deputato Massimo Ruspandini, che ha indicato ai cittadini quel sindaco pluridecorato, l’arresto è stato uno schiaffo morale, prima ancora che politico. Da lì il travaglio personale, l’ammissione della delusione, e forse anche la consapevolezza che in politica non basta l’onorificenza sulla divisa della Benemerita per essere la persona giusta.
Il caso è chiuso, ma le sue lezioni restano aperte. Primo: non tutto è marcio, anche quando sembra. Secondo: la trasparenza non è solo un dovere della pubblica amministrazione, ma anche un investimento politico. Terzo: la credibilità non si ricostruisce con i comunicati stampa, ma con l’esempio.
Ceccano oggi ha bisogno di voltare pagina. Ma lo deve fare senza crocifiggere chi non ha peccato, e senza dimenticare chi ha tradito la fiducia pubblica. Bisogna essere capaci di distinguere le responsabilità individuali dai sospetti generalizzati. E soprattutto serve coraggio. Quello di governare senza clientele. Di nominare senza favori. Di pensare che il potere è servizio e non proprietà.
Tutto sulle sue spalle.
DANIELA STANTANCHE’

E’ “fallita” – con le nuove procedure – una ennesima società che lei aveva diretto assieme all’ex compagno Giovanni Canio Mazzaro. A questo punto la celeberrima battuta di Marco Travaglio per cui Daniela Santanché sarebbe stata “peggiore come imprenditrice che come ministra” rischia di prendere sugo e polpa tutt’altro che paradossali.
Il guaio grosso semmai è un altro. E cioè quello per cui le attuali sorti giudiziarie della ministra del Turismo sembrano talmente intersecate con altri fascicoli che la sua permanenza a Palazzo Chigi inizia ad assumere i toni di una mezza beffa.
Oppure di una silente nicchia di non belligeranza scelta come linea politica da una Giorgia Meloni forse “condizionata” da qualche suo sodale di rango in Fdi.
Liquidazione giudiziale per Ki Group Holding
Sta di fatto che, come spiega l’agenzia Ansa, il il Tribunale fallimentare di Milano ha “aperto la procedura di liquidazione giudiziale, quella che ricalca il vecchio fallimento, per un’altra delle società del gruppo del bio-food”. Cioè da quel crogiolo di società “un tempo guidato dalla ministra Daniela Santanchè e dall’ex compagno Giovanni Canio Mazzaro”. Stavolta pare sia toccata alla Ki Group Holding spa.
Società su cui gravava già da qualche giorno la richiesta di fallimento, parimenti riportata dai media e dalle agenzie, i due sostituti procuratori Marina Gravina e Luigi Luzi. Si tratta degli stessi requirenti che hanno titolarità sui procedimenti sulle “ex società della senatrice di FdI”, come Visibilia. Cioè, nel caso di quest’ultima, per il fascicolo con cambio di legale di fiducia che oggi rappresenta una Spada di Damocle penale per l’indagata e morale per l’Esecutivo di cui l’indagata è parte.
Due requirenti per tre fascicoli

L’Ansa precisa inoltre che “la ministra è già indagata per bancarotta per il fallimento di Ki Group srl e un’accusa analoga potrebbe arrivare dopo il crac di Bioera e dopo l’ultimo della holding”. Tutto questo ovviamente induce ad una riflessione, del tutto estemporanea ma non senza spessore, a voler essere cartesiani.
Ma se la Santanché sta facendo fallire tutto quello in cui si è impegnata è davvero il caso che regga un dicastero?
E se la medesima è indagata per truffa, poste le dovute garanzie, è davvero opportuno che pervicacemente e, con molti sparring, rifiuti di dimettersi?
Pitonessa in terrario.