Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore
TOP
CAMILLO RUINI
Potentissimo, autorevole, intelligente, colto. Camillo Ruini è il Cardinale per eccellenza. E’ stato capo dei vescovi italiani e per lunghi anni ha contato e ha pesato come e più di un Papa. Ha compiuto 90 anni e si è raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera.
Per far capire da dove e da quanto lontano arriva, bastano alcune risposte ad altrettante domande. Questo il primo ricordo privato:«Un prato, una palla, un filo spinato su cui la palla andò a finire; a Piandelagotti, sull’Appennino modenese, dove ero in villeggiatura con mia madre Iolanda. Avevo due anni e mezzo». Questo invece il primo ricordo pubblico: «La guerra d’Etiopia. Dichiarata nel 1935, quando avevo quattro anni e mezzo. Abissinia, Negus… nomi che restano impressi». Come ricorda la figura di Mussolini? «Mussolini e il fascismo non mi piacevano; specialmente da quando l’Italia entrò in guerra. Dicevo ai miei compagni di scuola che l’avremmo perduta, e per questo un dirigente fascista di Sassuolo si lamentò con mio padre Francesco, che era favorevole al regime».
Ma la domanda che ha svelato la fragilità e la forza del Cardinal Ruini è quella che tendeva a sapere se era mai stato fidanzato o innamorato, anche dopo aver preso i voti. Lui ha risposto in questo modo: «Fidanzato mai. Sono stato attratto fortemente da alcune donne, ma ho sempre cercato di resistere e, pur soffrendo, ci sono riuscito, con l’aiuto decisivo del Signore. Attratto prima o dopo essere diventato sacerdote? Anche dopo. L’attrazione per le donne è inestirpabile nell’uomo e di per sé non è affatto un peccato».
In poche parole: ha resistito. Dimostrando che prendere i voti non è un gioco e neppure un esercizio di ipocrisia. Se davvero si sceglie di appartenere a Dio, allora si deve riuscire ad essere coerenti e forti. Pur non potendo evitare la tentazione.
Pastore di anime.
VINCENZO DE LUCA
Con il suo stile inconfondibile ha detto che sul piano vaccini l’Italia ha un ritardo terribilmente pericoloso. Lui è Vincenzo De Luca, istrionico presidente della Regione Campania. Esponente di spicco del Pd e soprattutto immarcabile.
Ha detto Vincenzo De Luca in diretta facebook: «Se andiamo avanti con questo ritmo a causa dei mancati arrivi dei vaccini, noi ci metteremo 2 o 3 anni per completare la vaccinazione dei nostri concittadini. Questo ci espone ad un pericolo grave: quello dell’emergere di nuove varianti, anche non coperte dai vaccini. Questo sarebbe un problema drammatico. Per questo i tempi di somministrazione del vaccino sono decisivi».
In un momento politico in cui si fa a gara nell’incensare il Governo appena nato convincendosi che andrà tutto bene, Vincenzo De Luca ha avuto il coraggio di dire che bisogna tenere la concentrazione altissima contro la pandemia. E che davvero la campagna di vaccinazione ha tanti buchi neri.
Controcorrente.
FLOP
VITO CRIMI
Che sia il capo politico formale dei Cinque Stelle lo sanno tutti. E lo si è visto anche in queste settimane, perché il “contrordine grillini” lo ha dato direttamente Beppe Grillo. Come sempre. “Si appoggia Draghi”. Punto e basta.
Ma il fatto che ora Vito Crimi abbia sentito il bisogno di ribadire che chi ha votato no sarà espulso è un grande e inequivocabile segnale di debolezza. Anche perché poi ha aggiunto che proprio per questo (cioè perché saranno espulsi) non potranno far parte del Direttorio. E il punto è anche questo. La questione degli assetti interni al Movimento si è sovrapposta a quella del voto di fiducia al Governo Draghi.
Nel momento in cui le leadership sono state messe in discussione dall’interno, allora Grillo ha fatto capire che nel Movimento comanda solo lui. Chi, come Vito Crimi, ha comunque ruoli di potere fa quello che fanno tutti dall’inizio del mondo: lo difendono. Va tutto bene, basta che non si parli più della diversità di un Movimento che alla prova dei fatti si è dimostrato come tutti gli altri partiti: custodi dello status quo.
No che non mi schiodo.
STEFANO BONACCINI
“Se oggi abbiamo Salvini al Governo, la responsabilità è di Renzi”. Ipse dixit. Ipse è Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna e sicuramente futuro candidato alla Segreteria del Partito Democratico, quando si effettuerà il congresso.
E forse l’analisi politica nasce da questo progetto futuro. Perché alcune cose vanno ricordate. Stefano Bonaccini deve moltissimo a Matteo Renzi, che per primo lo candidò e sostenne alla presidenza della Regione Emilia Romagna. Quello stesso Renzi che ha mandato a casa il premier Giuseppe Conte non certo per favorire l’ascesa di Matteo Salvini, ma per aprire il varco alla formazione dell’esecutivo di Mario Draghi. Come poi è successo.
Si potrebbe anche aggiungere che a buttare fuori Salvini dal Governo quasi due anni fa fu sempre Matteo Renzi. Quando stava ancora in quel Pd che lo ha sempre percepito come un corpo estraneo.
Stefano Bonaccini da tempo sta preparando la sfida a Nicola Zingaretti. Ha capito che oggi uno degli elementi più forti nel Pd è l’antirenzismo. E quindi cerca di cavalcare la tigre.
Core ‘ngrato.