Top e Flop, i protagonisti del giorno: 3 febbraio 2021

Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore

TOP

SERGIO MATTARELLA

Serve un governo di alto profilo, darò presto un incarico non politico”.  “Alto profilo” e “non politico”. Cioè tutto è meglio della politica. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha voluto certificare tutto: la fine della politica, il commissariamento di un Parlamento di basso profilo e l’incapacità di un’intera classe dirigente.

Lo ha fatto dopo l’incontro al Quirinale con Roberto Fico, al termine di una giornata fallimentare per le trattative nella ex maggioranza. E il presidente della Repubblica ha già convocato per oggi alle 12 il professor Mario Draghi al Colle.

Sergio Mattarella. (Foto: Paolo Giandotti via Imagoeconomica)

Il presidente ha spiegato le ragioni della sua scelta, e l’esclusione del voto anticipato. “Dal momento in cui si sciolgono le Camere – ha detto il capo dello Stato – devono passare 60 giorni, poi altri 20 giorni per insediare le nuove Camere, che poi devono formare i propri uffici di presidenza. Poi bisogna formare il governo, che deve ottenere la fiducia delle Camere e poi organizzare i propri uffici. Nel 2013 passarono 4 mesi, nel 2018 5 mesi. Si tratterebbe di tenere a lungo il Paese senza un governo in pienezza di funzioni”.

Il tutto nel pieno di una pandemia che fa centinaia di morti al giorno, con una campagna di vaccinazione che stenta a decollare e con il Recovery Plan che va concretizzato altrimenti l’Europa toglierà 239 miliardi di euro all’Italia.

Il presidente della Repubblica ha rivolto un appello al Paese più che alle forze politiche. Perché la pochezza di questa classe dirigente potrebbe perfino portare ad un no ad un esecutivo di emergenza nazionale. A quel punto però chi dovesse dire no si assumerebbe una responsabilità storica davanti a famiglie e imprese che stanno affondando. Sergio Mattarella ha messo tutti davanti ad un bivio drammatico.

Gigantesco.

MARIO DRAGHI

Lo chiamano Supermario. È l’italiano più famoso all’estero, il più competente, il più bravo, il più autorevole. Il migliore. Un certo Barack Obama, quando si palesavano gli scenari economici più complessi tra Usa e Ue, diceva ai suoi più stretti collaboratori: “Chiamate Mario, ci pensa lui”. Quelli lo chiamavano e Mario (Draghi) risolveva.

Mario Draghi al Meeting di Rimini. (Foto: Imagoeconomica)

Da presidente della Bce è riuscito a convincere la Germania di Angela Merkel che le sue politiche monetarie erano giuste. Donald Trump e Vladimir Putin hanno detto di avere il rammarico che Draghi non sia statunitense e russo. Questo naturalmente non significa che Mario Draghi accetti l’incarico. E neppure che possa superare  lo scoglio di una fiducia parlamentare che dovranno votare Partiti e uomini divorati dall’incompetenza, dall’invidia e dalla assoluta mancanza di visione, di prospettiva e di competenze.

Ma certamente il fatto stesso che lo abbiano chiamato per salvare il Paese dà la dimensione del ruolo di Draghi. Arriva in un contesto simile a quello nel quale entrarono a Palazzo Chigi Carlo Azeglio Ciampi e Mario Monti. C’è una crisi di sistema terrificante, con un vuoto di potere che ha pochi precedenti.

Mario Draghi è l’unico che può risollevare l’Italia. Il Parlamento, considerando la statura politica che ha in questo momento, dovrebbe sentirsi gratificato solo ad alzare la manina. Perché la politica è finita ieri. C’è da augurarsi che Mario Draghi accetti.

Riserva aurea della Repubblica.

MATTEO RENZI

È il solo e unico vincitore di questa crisi politica. Ha mandato a casa un Governo sterile e decorativo, guidato da un premier passato dalla Destra alla Sinistra con una leggerezza politica sconcertante. Con il 3% dei sondaggi ha ribaltato i Cinque Stelle e consumato la vendetta politica nei confronti del Partito Democratico del quale è stato Segretario.

Matteo Renzi (Foto: Imagoeconomica, Paolo Lo Debole)

Chi lo odia ricorda che ha “rottamato” l’esecutivo di Enrico Letta, poi un’intera classe dirigente del Pd, quindi ha mandato all’aria  i piani di Matteo Salvini e adesso ha rispedito Giuseppe Conte a fare l’avvocato.

Chi lo ama ne apprezza la visione e l’intraprendenza politica senza pari.

Comunque lo si veda, resta il fatto che è stato lui a guidare questa crisi: a volere il presidente della Camera Roberto Fico come “esploratore”, a far saltare il banco. Da mesi ripete che a Palazzo Chigi occorre Mario Draghi. La politica non si fa con le simpatie o con i rancori. E nel momento in cui alle urne non si va la differenza si fa in Parlamento. Dove lui, Matteo Renzi, è come era Maradona nel calcio. Immarcabile.

Se Draghi diventa presidente del Consiglio, Renzi può effettuare un altro ribaltone: rottamare la sinistra come ha fatto Macron in Francia. Per poi prenderne il controllo.

Genio visionario.

FLOP

GIUSEPPE CONTE

Ha pagato tutto insieme. Pesce e piatto. Non poteva essere altrimenti, perché tutti i nodi sono venuti al pettine nel momento politicamente più grave della Repubblica. Ha fondato le sue fortune politiche sull’inconsistenza della politica.

Giuseppe Conte

Ha presieduto un Governo voluto da Luigi Di Maio (Cinque Stelle) e Matteo Salvini (Lega), poi è passato come se nulla fosse a guidare una maggioranza sostenuta da Nicola Zingaretti (Pd) e sempre dai Cinque Stelle. Sconfessando gran parte dei  provvedimenti che aveva firmato quando a suonare la musica era la Lega e non il Pd.

Quando Renzi ha aperto la crisi, l’avvocato del popolo è andato nel pallone. La frenetica (e imbarazzante) rincorsa ai responsabili, ai volenterosi, ai costruttori ne ha messo in evidenza gli enormi e incolmabili limiti politici. La telefonata disperata a Renzi ha fatto capire al Rottamatore che stava vincendo.

La sua ostinazione a non uscire di scena e a volere il Conte ter (come se fosse un lascito testamentario) hanno affondato quel che rimaneva della maggioranza-minoranza. Ma la sconfitta più grande è quella derivante dal faccia a faccia con Renzi. E’ finita 10-0. Per Renzi.

Ridimensionato quant’altri mai.

GOFFREDO BETTINI

Speculare e contrario a Renzi: il grande sconfitto sul piano della strategia politica è lui, l’ex Cardinale Richelieu del Pd. In un colpo solo ha cancellato decenni di intuizioni e di vittorie. Sì perché la sua ostinazione a blindare Giuseppe Conte (scambiato per Camillo Benso Conte di Cavour) ha portato il Partito Democratico nel precipizio.

Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini (Foto: Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica)

Il Pd avrebbe dovuto guidare questa crisi, invece l’ha subita. E adesso, in virtù degli imperdonabili errori di Bettini, Nicola Zingaretti è all’angolo. Il segretario dovrà respingere l’offensiva dei centristi del Partito e soprattutto degli ex renziani di Base Riformista.

Goffredo Bettini è stato anche accecato politicamente dal rancore nei confronti di Matteo Renzi, che invece lo ha dominato sul piano strategico.

Non si riesce neppure a capire la subalternità nei confronti dei Cinque Stelle che l’azione di Bettini ha portato. Lo scenario delle elezioni anticipate avrebbe comunque dato a Zingaretti la possibilità di eleggere i “suoi” gruppi parlamentari. In questo modo invece i gruppi parlamentari del Pd resteranno quello scelti all’epoca da Renzi. Con i Democrat che non avranno alterativa se non quella di alzare la mano per il Governo di Mario Draghi, che non farà toccare palla a nessuno.

Una sconfitta politica terribile, firmata Goffredo Bettini.

Timoniere del Titanic.

CINQUE STELLE

Comunque vada a finire questa fase, la parabola dei Cinque Stelle è sepolta. Tre anni di Governo hanno affondato il Movimento del “vaffa”, dello streaming, dell’uno vale uno. Hanno affondato la visione di Gianroberto Casaleggio. Hanno perso tutti.

Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. (Foto: Raffaele Verderese / Imagoeconomica)

A cominciare dal fondatore Beppe Grillo, che nel momento in cui il gioco si è fatto duro è sparito. Incapace di guidare il Movimento, incapace di andare oltre battute di Te la do io l’America.

Ma quella di oggi è soprattutto la sconfitta di Luigi Di Maio, il camaleonte a Cinque Stelle. Quello che ha arroccato il Movimento nel Palazzo a dispetto dei santi. E’ la sconfitta del capo politico Vito Crimi, preoccupato solo di blindare Giuseppe Conte. È la sconfitta di Alessandro Di Battista, il ribelle incompiuto, il rivoluzionario della porticina accanto. Quello del vorrei ma non posso.

E’ la sconfitta di Roberto Fico, che in soli tre anni ha collezionato due fallimenti storici come “esploratore” delle crisi. In entrambe le occasioni asfaltato da Matteo Renzi. È la sconfitta di Alfonso Bonafede, che non si è reso conto che la sua riforma sulla Giustizia ha decretato la fine di ogni possibile alleanza. Ma è andato avanti lo stesso, conducendo il Movimento nel precipizio.

E’ la sconfitta di Rocco Casalino, il grande comunicatore che nel momento decisivo non ha comunicato nulla. E’ la sconfitta di un progetto fallimentare come il reddito di cittadinanza.

Uno vale zero.

IN SOSPESO

MATTEO SALVINI

Ha ereditato una Lega alla quale seguiva ancora l’indicazione geografica Nord. Un segno distintivo del progetto politico federalista e con l’utopia del separatismo. Ha trasformato quel Partito, squassato dagli scandali finanziari, dai fondi pubblici usati per comprare diamanti, per acquistare lauree all’estero in atenei poco blasonati.

Matteo Salvini Foto © Marco Cremonesi / Imagoeconomica

La Lega di Matteo Salvini è diventata un Partito nazionale. Ma senza più un’anima. Perché le istanze del Nord non sono quelle del Sud. E per sopperire a questa mancanza di idee l’ha riempita di sovranismo, anticlericalismo, razzismo.

Il vero limite è stato non ideologico ma amministrativo: la Lega di Salvini ha fallito alla prova del Governo. L’esecutivo gialloverde è durato appena il tempo di avallare pochi disastri come le ecotasse sulle auto che hanno regalato pacchi di miliardi italiani alla Francia; il Reddito di Cittadinanza che doveva sconfiggere la povertà ed invece ha generato una massa di fannulloni incalliti sulle spalle degli italiani lavoratori.

L’arrivo del Governo Draghi sarebbe il tonfo definitivo con il quale mandare in pensione Matteo Salvini. Perché sarebbe l’esatto contrario di tutti i principi leghisti. Se nascerà, il governo Draghi sarà Europeista (la Lega non lo è), Sovranista Europeo ((la Lega è tutto l’opposto), Atlantico ((la Lega ha avuto ampie deviazioni russe e cinesi).

Il giudizio resta in sospeso perché Matteo Salvini ha intuito cosa stava accadendo. Ed ha invertito la rotta: facendosi accompagnare da Nicola Ottaviani dal vescovo che presiede la Commissione per il Dialogo della Chiesa Italiana, seguendo la Santa Messa da Nuovi Orizzonti che è il monumento vivente all’accoglienza.

Sterzata all’ultima curva prima del baratro.

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