Top e Flop, i protagonisti del giorno: 4 febbraio 2021

Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore

TOP

MARIO DRAGHI

È arrivato al Quirinale a bordo di una station wagon familiare. Niente a che vedere con le auto blu. Lo stile ha un suo peso, soprattutto in una fase come questa. Poi Mario Draghi ha accettato l’incarico di presidente del consiglio con riserva, che scioglierà dopo le consultazioni. Ha spiegato che si rivolgerà con rispetto al Parlamento e che confida che possa emergere l’unità. Successivamente ha incontrato Giuseppe Conte per un’ora.

Mario Draghi arriva al Quirinale (Foto: Alessandro Serranò via Imagoeconomica)

Insomma, passaggi non soltanto formali che preludono al momento clou, quello che servirà a Mario Draghi per capire se esistono i numeri in Parlamento. Non è affatto scontato se consideriamo che un terzo della Camera e un terzo del Senato sono appannaggio dei Cinque Stelle, per nulla disposti a sostenere l’ex presidente della Bce.

Draghi però ha detto cose semplici ed efficaci sulle priorità. E cioè la necessità di fronteggiare la pandemia, di rilanciare l’economia e di presentare progetti seri per intercettare i fondi del Recovery Plan. Forse non è chiaro a molti che se dovesse fallire il tentativo di Mario Draghi, la fase successiva non sarebbe quella di un ritorno al fallimento quotidiano di tre anni di Governo del nulla, ma il baratro del Paese.

Il merito di Mario Draghi sarà quello di confrontarsi nelle prossime ore con una intera squadra di “irresponsabili” al potere. Ma se c’è uno che può farcela, quello è lui.

La solitudine dei numeri primi.

NICOLA ZINGARETTI

Il fallimento del tentativo di dare vita al Conte ter è stato un colpo da ko per il Partito Democratico. Ma il segretario Nicola Zingaretti ha avuto comunque la lucidità di reagire immediatamente. Riunendo in videoconferenza Cinque Stelle e Leu per ribadire l’unità di una coalizione che non può essere archiviata con la fine di un’esperienza di Governo.

Nicola Zingaretti

Zingaretti ha capito prima e meglio di altri che l’obiettivo finale di Matteo Renzi è proprio quello di mandare in frantumi questa alleanza per aprirsi uno spazio immenso per la costruzione di un Partito nuovo sull’esempio di Macron.

Certamente occorreranno altri passaggi, ma intanto Zingaretti un punto lo ha segnato: l’unità tra Pd, Cinque Stelle e Leu. Se poi dovesse riuscire nel miracolo di convincere i Cinque Stelle a sostenere l’esperienza di Governo di Mario Draghi, allora Zingaretti riguadagnerebbe di colpo tutto il terreno perso con il fallimento del Conte ter. Non era semplice rialzarsi dopo il colpo subito. (Leggi anche Il bivio di Zinga, tra la Caporetto di Bettini e il fortino del Lazio).

Come Rocky Balboa.

FLOP

 GRILLO-DI BATTISTA

Dopo mesi di silenzio e disincanto il fondatore dal Partito del Vaffa è tornato a far sentire la sua voce per dire ai Cinque Stelle di restare uniti nel nome di Giuseppe Conte. Beppe Grillo ha dimostrato una volta di più (ma non ce n’era bisogno) l’inconsistenza politica di un Movimento incapace di governare e di mettere al primo posto il bene del Paese. Una specie di “dopo di me il diluvio” che però non ha prospettive.

Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. (Foto: Raffaele Verderese / Imagoeconomica)

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha spiegato chiaramente che non manderà il Paese alle urne e questo evidentemente ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai pentastellati. Ma non è detta l’ultima. Bisognerà vedere come finirà il tentativo di Draghi.

Alessandro Di Battista si è rivolto al Movimento spiegando che Draghi devono votarlo le “élite”.  A parte la demagogia in quantità industriale, ma Di Battista in virtù di quale ruolo si rivolge ai Cinque Stelle? Lui che fino all’altro ieri pensava alla scissione, lui che fino ad un mese fa era in contrapposizione frontale con Beppe Grillo e con l’intera classe dirigente del Movimento.

Entrambi, Grillo e Di Battista, dopo essersi accusati senza remore, si ritrovano dalla stessa parte, quella dei perdenti.

Lui è peggio di me.

GIORGIA MELONI

Ha perso l’occasione storica di dimostrare a tutti che esiste una Destra nuova nel Paese, che non si tira indietro quando in ballo c’è la sopravvivenza dell’Italia come Stato oltre che come sistema. Il suo ripetere meccanicamente che l’astensione va bene a patto che sia la scelta di tutto il centrodestra nasconde il tentativo di gettare il sasso senza far vedere la mano.

Giorgia Meloni sa benissimo che l’astensione del centrodestra farebbe venir meno i voti per Mario Draghi. Quindi tanto vale dire no in modo chiaro e coraggioso. La leader di Fratelli d’Italia sa anche Mattarella dice la verità quando sottolinea che in questo momento l’Italia non può permettersi il voto. Troppo grave la situazione della pandemia, troppo impellente la necessità di garantire la campagna di vaccinazione, troppo importante mandare a dama il Recovery Plan.

Giorgia Meloni

Ma Mattarella ha ragione anche quando ricorda che nei Paesi dove si è votato (per scadenza naturale dei Parlamenti e dei presidenti) il contagio è aumentato. Negli Usa si è calcolato del 45% durante la fase della campagna elettorale.

In Italia non siamo alla scadenza naturale della legislatura. Inoltre Giorgia Meloni è leader dei Conservatori europei, che solitamente hanno un approccio diverso.

Dire che si farà un’opposizione responsabile vuol dire in realtà provare ad affossare il tentativo di Draghi, voluto dal Capo dello Stato. In realtà Giorgia Meloni non vuole affrontare la sfida di un Governo che metta fine alle divisioni di un Paese stremato.

Chiediti per chi suona la campana: suona per te.

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