Top e Flop, i protagonisti del giorno: 6 marzo 2021

Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore

TOP

NICOLA ZINGARETTI

Continua a ripetere che non tornerà indietro dalla decisione di dimettersi da Segretario nazionale del Pd e oggi ha anche inviato la lettera formale alla Presidente del Partito. La logica e la matematica dicono che la porta resta aperta, per un motivo semplice: ha una maggioranza schiacciante in sede di assemblea nazionale, il 70%. E se il 13 e 14 marzo prossimi quell’Assemblea dovesse confermarlo per acclamazione, cosa farebbe? Manterrebbe il punto?

Con il suo blitz ha mandato il Pd nel pallone e anche i suoi avversari (sono tanti) non sono pronti ad assumersi una responsabilità del genere in questo momento.

Nicola Zingaretti

C’è una sola vera variabile: la volontà di Zingaretti di poter puntare a diventare sindaco di Roma. Con la salita al Campidoglio effettuerebbe un tris da favola: presidente della Provincia, Governatore del Lazio e sindaco della Capitale. La tentazione c’è, inutile fare finta che non è così. Le cronache della sera però riferiscono uno scenario diverso: con Roberto Gualtieri che si appresta a lanciare la propria candidatura. Anche e soprattutto col sostegno di Zingaretti che, oggi, a chi gli chiedeva se si sarebbe candidato sindaco della Capitale, ha risposto: “Io faccio il presidente della Regione Lazio“.

Il momento del Paese è tale che i sogni possono restare desideri inappagati. C’è addirittura chi è pronto a scommettere che possa essere il Capo dello Stato Sergio Mattarella a provare a convincere Zingaretti a restare Segretario del Pd. Ma se così fosse, l’esortazione dovrebbe avvenire nel più rigoroso ambito privato: altrimenti sarebbe un’invasione di campo del tutto irrituale per un Presidente della Repubblica.

Davanti ad un Partito che dovesse acclamarlo Nicola Zingaretti sarebbe in seria difficoltà. Anche se lui probabilmente all’Assemblea non parteciperà. Magari lo annuncerebbe su Facebook.

Sognando il contrordine compagni.

MATTEO SALVINI

Il baricentro della maggioranza che sta sostenendo il Governo Draghi si sta spostando sempre più a destra. Il Movimento Cinque Stelle ha dovuto fare i conti con diversi “no” e con la ribellione nei confronti del fondatore Beppe Grillo. La partita non è ancora terminata e adesso riguarda pure i rapporti con Davide Casaleggio. Nel Pd le dimissioni di Nicola Zingaretti da Segretario hanno generato un pandemonio.

Matteo Salvini. (Foto: Marco Cremonesi / Imagoeconomica)

Il Capitano è rimasto fermo, ma in precedenza, forzando anche il suo carattere, si è fidato: dell’intuizione dell’alleato Silvio Berlusconi e della strategia perfetta del “Cardinale” Giancarlo Giorgetti.

La pandemia ha messo in naftalina l’effetto selfie e la strategia di puntare tutto sul contrasto all’immigrazione clandestina. Nell’agosto del 2019 Matteo Salvini aveva  dato la sensazione di non volersi assumere le responsabilità impopolari del Governo. In questa fase ha ribaltato la situazione. La Lega si sta caratterizzando come punto fermo della maggioranza che sostiene il premier Draghi.

Inoltre, contemporaneamente sono in estrema difficoltà l’ex premier Giuseppe Conte, il segretario del Pd Nicola Zingaretti e il fondatore dei Cinque Stelle Beppe Grillo. E Matteo Salvini gongola.

Capitano coraggioso e fortunato.

FLOP

ANDREA ORLANDO

Già nel corso della crisi che poi ha portato alla fine dell’esperienza del Governo di Giuseppe Conte si era parlato di un attrito tra Nicola Zingaretti e il suo vice nel Partito, Andrea Orlando. Poi l’argomento non era stato approfondito.

Andrea Orlando

Adesso Orlando non fa che ripetere di essere impegnato a far cambiare idea al Segretario. Ed è sicuramente vero. Però nella guerra di Zingaretti alle correnti del Partito Democratico Andrea Orlando poteva fare di più. Per esempio, una volta nominato ministro del Lavoro, avrebbe potuto lasciare l’incarico di vicesegretario del Pd. Sarebbe stato un segnale molto forte per tutti, utile a Nicola Zingaretti per far vedere agli avversari interni che i suoi uomini non mantengono per forza tutti i ruoli.

Il nome di Andrea Orlando è quello più logico per la successione a Nicola Zingaretti, ma in questa fase non rappresenterebbe la soluzione migliore. Rischierebbe di “bruciare” Andrea Orlando, nel frattempo impegnato anche nel ruolo di ministro del Governo Draghi.

E forse è proprio per questo che Andrea Orlando sta facendo di tutto per provare a convincere Nicola Zingaretti a tornare alla segreteria.

A tempo scaduto.

STEFANO BONACCINI

Quello più spiazzato dalle dimissioni di Nicola Zingaretti è stato proprio il Governatore dell’Emilia Romagna, il più serio candidato alla successione come segretario del Pd.

Bonaccini fa parte della corrente degli amministratori ed è gradito a Base Riformista degli ex renziani rimasti renziani: Lorenzo Guerini e Luca Lotti per esempio.

Stefano Bonaccini. (Foto: Paolo Lo Debole / Imagoeconomica)

Ha bisogno di tempo per la scalata, perché soprattutto deve trovare un’intesa con il re dei tutte le correnti: Dario Franceschini, azionista di maggioranza dei gruppi parlamentari del Partito. In questo modo invece Stefano Bonaccini rischia di essere scavalcato. Da Andrea Orlando ma anche da tutte le possibili soluzioni da “reggente”.

E poi i fedelissimi di Nicola Zingaretti non  gli lascerebbero spazio in questa fase. E i fedelissimi di Zingaretti sono la maggioranza del Partito. Non a caso Stefano Bonaccini ha detto che a suo giudizio la mossa di Zingaretti è stata sbagliata.

Bruciato sul tempo.