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SERGIO MATTARELLA
Il presidente della Repubblica è il grande custode di questa crisi. Interviene con discrezione e fermezza, smussando gli angoli e sminando il terreno. Ormai è evidente che preferirebbe un accordo tra Partito Democratico e Cinque Stelle per dare il via libera ad un Governo in linea con l’Unione Europea e rigoroso sui conti. Ma non a tutti i costi.
Perché se alla fine il gioco del cerino dovesse portare a veti insuperabili, il Capo dello Stato manderebbe il Paese alle urne. Domani concluderà le consultazioni e i momenti cruciali saranno i due faccia a faccia con le delegazioni dei Democrat e dei pentastellati. Mattarella vorrà sentire parole chiare e definitive sia da Luigi Di Maio che da Nicola Zingaretti. Dal momento che non ci sarà molto tempo per evitare la catastrofe dell’aumento dell’Iva. Sergio Mattarella è pronto all’ultimatum.
Severo e autorevole.
ROBERTA LOMBARDI
La capogruppo dei Cinque Stelle alla Regione Lazio ha anticipato tutti nello sbloccare l’impasse che si era creato nelle trattative. Postando un messaggio su Twitter nella prima mattinata.
“Il Pd dice che il problema nel far nascere un Governo di concretezza sarebbe Di Maio al Viminale. Sono sicura che il nostro capo politico non antepone se stesso al Paese.Non sarebbe da 5 Stelle. Partiamo invece da #Conte2 e le cose da fare per l’Italia. #governogiallorosso“. Nel 2013, da capogruppo dei Cinque Stelle alla Camera, fece a pezzi il leader Pd Pierluigi Bersani nella diretta in streaming. Bocciando sul nascere quelle trattative. A distanza di sei anni ha cambiato idea ed è determinatissima.
Poi è arrivata la nota di Palazzo Chigi voluta da Giuseppe Conte: “In presenza del presidente Conte non è mai stata avanzata la richiesta del Viminale per Luigi Di Maio, né dal Movimento 5 Stelle né da Di Maio stesso”.
A quel punto la trattativa si è sbloccata. Ma era stata la Lombardi ad aprire la strada. Concentrata.
FLOP
DI BATTISTA-PARAGONE
Ormai lo hanno capito tutti (perfino in Nuova Guinea) che loro preferirebbero l’accordo con la Lega. E che sono contrari all’intesa con il Pd. Alessandro Di Battista lo ha ribadito ancora oggi, attraverso tre condizioni inaccettabili per il Partito Democratico.
Il senatore Gianluigi Paragone ha dichiarato per l’ennesima volta che lui non voterebbe mai la fiducia ad un governo sostenuto anche dal Pd. Dai Cinque Stelle però nessuno risponde, nessuno chiede loro di tornare indietro e di cambiare idea. Insomma, nessuno se li fila. Non lo fa il fondatore Beppe Grillo. Non lo fa Giuseppe Conte, ormai vero capo politico del Movimento. Probabilmente perché, al di là di come andrà a finire, perfino in un’ottica politica futura ormai i Cinque Stelle avranno un’impronta fortemente contraria al Carroccio.
Ma Di Battista e Paragone insistono. Schiamazzi alla luna.
DAVIDE BARILLARI
Davide Barillari, consigliere regionale del Lazio, ha scritto un duro post su Facebook: “Sono nato 5 stelle e di sicuro non morirò piddino. Non dimentico mafiacapitale. Non dimentico bibbiano. Non dimentico i 1.043 arrestati Pd negli ultimi 7 anni”.
E l’Huffington Post scrive: “Il politico grillino ammette di aver preso in considerazione, insieme a dei colleghi, una possibile scissione all’interno dei 5 stelle: “Insieme a tanti altri portavoce, a vari livelli, stiamo discutendo se arrivare alle dimissioni in blocco oppure a percorrere una nuova strada per far rinascere i valori del M5S”.
Anche nel Movimento Cinque Stelle vale la regola che le dimissioni si danno e non si annunciano. E che le scissioni si fanno e non si annunciano. Ma poi, qualcuno pensa davvero che Beppe Grillo tema di perdere pezzi anche importanti dopo aver espulso dal Movimento moltissima gente. Barillari continua comunque ad essere “contro”.
Per fare cosa però non è chiaro. Ripetitivo.