Vice direttore de L’inchiesta Quotidiano
Politici, bravissima gente. Un po’ piagnucolosa. Ma molto prodiga. Di consigli non richiesti. Di commenti indesiderati. Di complimenti a volte funesti. Fischiano, urlano, protestano. Non sanno stare in fila. Saltano i programmi. Non mantengono gli impegni. E dimenticano in fretta le promesse. Ma quando si tratta di fare una buona azione, sono già ai blocchi di partenza. Colletta alimentare. Colletta solidale. Questua elettorale. Mettono mano al portafogli. E fanno solidarietà. Ottimo. Ricordo, però, una pratica insana. Assembramenti ai servizi sociali e qualcuno che, messo alle strette, infilava la mano in tasca e scuciva una banconota. Piccola, ma pur sempre di aiuto. Anche se finiva in una slot e non dal panettiere.
Poi la fame collettiva è cresciuta, inutile mettersi anche in fila. Se non ai compro oro. Finiti i gioielli di famiglia hanno chiuso pure quelli. Mentre i centri scommesse e le sale giochi proliferavano. Uno accanto all’altro. Tutti a giocarsi un pezzo di vita e di fortuna. A comprare, anche a rate, qualche gratta e vinci per sognare un bingo da record. E saltare sul primo volo. Ma a fare centro è uno solo. Tutti gli altri si leccano le ferite.
E allora ecco la seconda chance. Ogni cinque anni c’è un’altra scommessa. Puntare ogni cosa su un nome. Sperare che vinca. E così riscattarsi per un lavoro che, se c’è, non basta. Non dà. Nella speranza che cambi qualcosa. Che il declino della città si arresti. E che quel primus inter pares abbia l’intuizione giusta. Per dare un sogno a chi è seduto al bar. O sdraiato su una panchina. A chi di notte sogna. Ma solo le bollette non pagate. A chi sta per chiudere la saracinesca. E ancora spera di vedere frotte di turisti che affollano le strade. Portandosi via un ricordo di quella strana cittadina ricostruita sotto un monte. All’ombra.
Forse è questa la chiave di tutto. A Cassino batte poco il sole.