Via l’esame di Stato, cioè la prova scritta ed orale che deve essere superata per accedere ad una professione. Ad esempio: se sono laureato in Architettura, oggi devo fare alcuni anni nello studio di un architetto e poi affrontare l’Esame di Stato per diventare a mia volta architetto. La stessa cosa vale per tutte le altre professioni.
E allora come funzionerà se togliamo l’Esame di Stato? Basterà la laurea. Punto. Ti laurei e puoi esercitare. Lo prevede la bozza di riforma che il Governo italiano si prepara a studiare prima di inviarla a Bruxelles con il suo Recovery Plan.
È la cosa esattamente opposta a quanto accade invece nel resto d’Europa. Lì non hanno abolito l’esame di Stato: hanno abolito la laurea. Nel senso che la laurea non ha valore legale. Non è un titolo, dà diritto a niente o quasi. È un pezzo di carta: che te lo prendi alla Luiss o alla Radioelettra resta un pezzo di carta.
Nei Paesi economicamente più evoluti infatti, l’accesso ad una professione lo fanno in un altro modo. Bisogna certificare le proprie abilità. Significa: fammi vedere cosa sai fare e se sai disegnare le case mi interessa ben poco se sei o non sei architetto. Perché ci si basa su un presupposto: che per disegnare una casa devi avere studiato architettura: non diventi Le Courbusier per grazia divina, non tuo trasformi in un archiStar guardando una copertina di Ville & Giardini e apprendendone i segreti per osmosi osservando le fotografie. Non lo sei nemmeno arrivando a prendere un pezzo di carta.
Ma questo è il Paese dei titoli e dei baroni, del privilegio da contestare quando lo hanno gli altri e da difendere quando è il nostro.
Non è così che diventeremo europei. Chissà se l’Europa ce lo dirà, quando proveremo a presentare quella riforma.