Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 10 gennaio 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 10 gennaio 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 10 gennaio 2024

TOP

CARLO CALDENDA

Carlo Calenda (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Un doppio effetto, in punto politico e in analisi economica. Lo ha messo a segno con un lucido tweet Carlo Calenda, che ormai affida ad X la diffusione del Calenda-pensiero più di quanto non faccia negli spot di Azione. Il tema è quello delicatissimo dell’ex Ilva di Taranto, del tracollo della trattativa con ArcelorMittal. Quello e delle responsabilità oggettive in un crash che parte da lontano e che quasi certamente arriverà come tale lontanissimo.

Calenda è netto: “I responsabili sono i partiti che votarono, dopo averlo confermato, per l’abolizione dello scudo penale. La fine era dunque nota da quattro anni. Ora cerchiamo almeno di imparare da quanto accaduto”. Che significa? Che a suo tempo una legge-retromarcia permise alla direzione franco-indiana di “mettere sì le cose a posto”, ma solo le sue, non quelle collegiali dell’azienda e del suoi rapporti con Palazzo Chigi.

Poi arrivò il Covid e quello sconcio non venne né evidenziato né combattuto come si sarebbe dovuto. I sindacati lo hanno ricordato in queste ore: “Come avremmo potuto? Con la pandemia neanche si poteva scioperare”. Calenda incalza e sposta la tacca di mira: Il Governo Meloni non ha alcuna responsabilità sulla crisi di ILVA. La crisi di ILVA nasce quando è stato fatto saltare un accordo blindato, siglato a seguito di una gara europea”. Cioè quel famoso (o famigerato) protocollo “prima confermato e poi disfatto da Giuseppe Conte e compagni per compiacere la Lezzi dopo il pessimo risultato delle europee. Come dichiarai allora “’Ia storia di ILVA finisce oggi’”.

C’è una summa ed è difficilmente confutabile perfino oggi. “Nessun investitore verrà a mettere soldi in un paese che cambia ex post regole e norme. La scelta successiva di fare una società con Mittal senza vincoli e paletti blindati è stata una follia, così come la promessa mai mantenuta di fare acciaio green senza spiegare cosa fosse”.

Sì, ma la soluzione dell’ex ministro? “Retrocedere l’impianto all’amministrazione straordinaria, usando una norma varata dal governo Gentiloni, e ricominciare tutto daccapo. Non sappiamo tuttavia se ciò implichi penalizzazioni perché non conosciamo gli accordi tra Mittal e Invitalia, rimasti segreti”.

Purtroppo è un quadro monco e fosco come non mai, ma pare proprio che sia il solo plausibile senza cadere nella burletta degli slogan.

Verista, e politico.

ANTONIO SALVATI

Antonio Salvati

Innocente. Senza se e senza ma. La Corte d’Appello di Roma ha cancellato nelle ore scorse la condanna a sei anni e mezzo di carcere inflitta dal Tribunale di Cassino all’ex sindaco di San Giovanni Incarico ed ex presidente dell’Unione dei Comuni “Antica Terra di Lavoro” Antonio Salvati. Era stato ritenuto colpevole di concussione continuata per aver chiesto 250mila euro alla cooperativa Integra 2013 che gestiva un progetto di accoglienza per i richiedenti asilo, minacciando – per l’accusa – di bloccare i pagamenti. I magistrati d’appello hanno assolto con formula piena Antonio Salvati “perché il fatto non sussiste”.

Per essere ancora più chiari: Antonio Salvati era stato condannato a Cassino per un fatto che non c’è mai stato. Per questo è stato assolto e non perché ci fossero prove labili o poco convincenti.

L’assoluzione era stata chiesta dagli avvocati Dario De Santis ed Ivan Santopietro con 110 pagine di motivazioni, nelle quali hanno sostenuto la presenza di “varie ed evidenti quanto grossolane contraddizioni” e “l’illogicità nelle versioni dell’accusa”.

Antonio Salvati è stato sul piano politico personaggio controverso e divisivo, umanamente spigoloso e di indole incline allo scontro passionale più che alla dialettica di curia. Ma questo non fa di lui un delinquente. Ne fa semmai un osso duro per qualunque avversario. La patente penale era arrivata da una sentenza lunga ed articolata, maturata dopo cinque ore di riflessione in Camera di Consiglio a Cassino. Oltretutto al culmine di una lunga carcerazione preventiva e poi gli arresti domiciliari.

In questo lungo periodo in attesa dell’assoluzione Antonio Salvati si è imposto il silenzio: esercizio faticoso per un appassionato oratore come lui. Ma ha voluto che la Giustizia seguisse il proprio corso senza condizionamenti. La prima volta che ha parlato è stata in Aula a Cassino dicendo “Mai preso soldi”. Poi ieri, subito dopo la conclusione del processo d’Appello con l’assoluzione: “È la fine di un incubo”. Con ogni probabilità attenderà ancora in maniera francescana i prossimi tre mesi, nei quali verrà scritta la motivazione della sua innocenza e si saprà se ci sarà ricorso in Cassazione.

Se la situazione dovesse cristallizzarsi tornerà a parlare. E con ogni probabilità anche a fare politica. Forse con la stessa passione di prima. Certamente con le stigmate del martire giudiziario.

Salvati dall’ingiustizia.

FLOP

MATTEO SALVINI

Matteo Salvini

Ieri mattina a Non Stop News Matteo Salvini, che non sarà capolista alle Europee, ha voluto mettere a massa le polemiche legate al caso giudiziario del cognato Tommaso Verdini con quelle innescate dal caso Ferragni. In che modo e con che fine? Semplice, quello di apparire come colui che ha sì interesse a ché la giustizia faccia il suo corso. Ma tutto questo senza polemiche eccessive ed accanimento.

Tutto perfetto, se non fosse che il solito Salvini a due marce ha dimenticato che sui pregressi “casi” di Ferragni e Fedez lui per primo in passato non ci è andato né morbido né lasco, semmai finto snob. Il tema chiave era quello della giustizia e dei magistrati “di sinistra”. Salvini ha ricordato come il fratello della sua compagna Francesca Verdini sia “un bravo ragazzo” e si è detto fiducioso. Poi ha messo giù il disco degli italiani “sputtanati” dalla magistratura per indagini poi rivelatisi improduttive.

Qui l’errore di Salvini è talmente marchiano che sottolinearlo fa quasi pena. E’ ovvio che per arrivare a definire che non ci sono i presupposti per esercitare l’azione penale la magistratura debba prima mettere in atto tutti gli step che precedono una decisione di proscioglimento. Semmai è il durante mediatico che a volte scarroccia.

Ma Salvini insiste sul claim e invoca i casi Morisi e Savoini. Cioè due casi in cui da un punto di vista giudiziario non ci sono stati esiti ma su cui indagare era ovviamente necessario. E soprattutto due casi che hanno coinvolto indirettamente la sua immagine di segretario della Lega. Perciò, accortosi della lettura un po’ troppo partigiana, il capitano ha rilanciato sul tema chiave pop.

E rispondendo ad una domanda sul caso del giudice contabile Degni, ha ricordato che “ci sono mille italiani” che pagano pegno alla malagiustizia. Poi si è ricordato di dover fare la comparazione numerica di calendario altrimenti ci passava per uno che dà cifre random ed ha ripetuto il mantra ma in chiave quotidiana.

“La riforma della giustizia è urgente, ogni giorno tre italiani vengono arrestati ingiustamente, la riforma della giustizia è una priorità. Poteva mancare la chiosa finta gnorri su un uomo che Salvini desidera come un Gratta e Vinci da mezzo milione ma sul cui arruolamento si ostina a fare l’ultimo a sapere?

Vannacci in lista? A me piacerebbe, lui è un’altra delle vittime della sinistra radical chic”. Tutte vittime, tutti che pagano pegno a ciò che sta esattamente agli antipodi di ciò che Salvini pensa, dice e progetta. Tutti scemi se non si “salvinizzassero” presto e bene, insomma.

Giorgia scansati anche qua.

VITTORIO SGARBI

Vittorio Sgarbi dalla sarta

È come se sospettassero che il pastore si fosse mangiato la pecora. Non è un bel sospetto per il sindaco di Arpino Vittorio Sgarbi. Che primo cittadino lo è diventato proprio per la sua competenza sull’arte ma più ancora per la sua funzione di Sottosegretario ai Beni Culturali. Con la quale gli elettori arpinati hanno ritenuto che potesse valorizzare la loro città sullo scenario nazionale come merita.

È indagato dalla Procura di Macerata per riciclaggio di beni culturali nel caso del dipinto attribuito a Rutilio Manetti (1571-1639), uno dei maggiori esponenti del Seicento senese, trafugato nel 2013 dal Castello di Buriasco vicino Pinerolo e riapparso a Lucca nel 2021, come inedito di proprietà del critico d’arte ferrarese.

Il sindaco di Arpino nega di avere ricevuto informazioni di garanzia. ma è il procuratore di Macerata Giovanni Fabrizio Narbone, senza aggiungere altri particolari, a confermare l’iscrizione del fascicolo per il reato di riciclaggio di beni culturali previsto dall’art. 518 sexies del codice penale.

Dal canto suo il sindaco Sgarbi respinge le accuse: “non saprei come essere indagato di un furto che non ho commesso. E per un fatto che risale ad 11 anni fa, in circostanze non chiarite dagli inquirenti di allora”.

Parole che non placano l’opposizione, che chiede “la revoca del sottosegretario“. Il ministro della Cultura ricorda che siamo ancora un Paese dotato di civiltà giuridica: “Non faccio il magistrato – dice Sangiuliano – se la magistratura arriverà ad una conclusione ne prenderemo atto, ma i processi si fanno nei tribunali“.

Lo sgarbo a Vittorio.

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