Scelse il salotto di Barbara D’Urso per far capire che il Pd doveva avere un approccio popolare, ma anche per lanciare un messaggio chiaro alle correnti. Era il 7 marzo 2021 e Nicola Zingaretti si era appena dimesso da segretario nazionale del Pd.
Spiegò: “Ma sì, il Pd non è un Partito del leader ma con un leader. Noi siamo tanti, domani rinnovo la tessera del Pd, non scompaio con le mie idee. Noi resteremo a fare politica con le nostre idee”. Poi però attaccò sull’atteggiamento assunto da molti in merito alla scelta di sostenere il governo Conte: “Mi ha dato fastidio che tutti insieme lo abbiamo voluto, quando quel progetto non è andato in porto mi hanno accusato di ‘Conte o morte’, cosa che io non ho mai detto. Insomma: ci siamo girati e non c’era nessuno”. Un’accusa “ingiusta” è quella di “aver difeso una linea scelta insieme. Io amo il pluralismo ma non vuol dire stare zitti nelle riunioni e poi attaccare in pubblico”.
Con il senno del poi
Parole sulle quali è necessario riflettere moltissimo ancora oggi. Anzi, in questo momento più che mai. Perché Giuseppe Conte non è più alla guida dei Cinque Stelle. Certo potrebbe tornarci, ma difficilmente questo avverrà in tempi brevi e in modo indolore.
Da un anno a questa parte però il Pd, dopo aver rimproverato a Zingaretti l’asse di ferro con Conte, ha investito tutto nel rapporto forte con l’ex premier. Lo ha fatto il segretario Enrico Letta in persona. Come del resto ha continuato a farlo lo stesso Nicola Zingaretti nel Lazio, nominando in giunta due assessori pentastellati e rinsaldando l’alleanza in ogni occasione. E nonostante alle comunali di Roma la presenza di Virginia Raggi abbia rappresentato un macigno sulla strada del dialogo, Goffredo Bettini (Cardinale Richelieu del Pd romano e non solo) ha continuato a vedere in Conte l’interlocutore politico privilegiato.
Inoltre, un fine democristiano non pentito, come il senatore Bruno Astorre (segretario regionale del Pd) ha sempre ripetuto lo stesso pragmatico ragionamento: senza un’alleanza organica con i Cinque Stelle non possiamo pensare di competere con un centrodestra molto forte.
Il nuovo schema
Adesso però lo schema è cambiato e alla guida dei Cinque Stelle è tornato Beppe Grillo. In attesa che si capisca cosa succederà, il Pd deve correre ai ripari. Intanto perché tra pochi mesi si vota per le amministrative e poi perché tra un anno ci sono le regionali e le politiche. Vanno costruite alleanze e coalizioni.
Le parole di Zingaretti nel salotto della D’Urso un anno fa dimostrano che nel partito in tanti non vedono bene l’alleanza con i pentastellati. Per esempio Base Riformista. Ma neppure Dario Franceschini fa i salti di gioia. Serviranno lucidità e coraggio. E servirà Nicola Zingaretti.