La “vergogna” di Giorgio ed Antonio cosa fece nascere

La tragica storia di Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola, il loro assassinio avvenuto in un Paese dove vivere per come sei è peggio che morire per quello che sei stato.

A volte succede così, che l’input allo scatto in avanti di una società debba passare per il sangue di chi a quella società paga pegno prima che l’input arrivi. Pegno durissimo e a volte definitivo. Cosa c’è di più definitivo della morte che ti fai dare da un “caruso” siciliano a cui hai dato tu l’ordine? Con Giorgio Agatino Giammona ed Antonio Galatola pare che andò a finire proprio così. Nel 1980 i due erano talmente sommersi dallo “scorno”, talmente schiacciati dalle accuse scritte negli occhi di chi li guardava che alla fine non ressero.

Perciò chiesero al nipote di uno di loro, un ragazzino 13enne, di ammazzare la vergogna. Ammazzando loro con quattro colpi in petto a Giarre, in Sicilia, il 17 ottobre. Sarebbe stato il minore-boia a riferire agli inquirenti come si era svolta quella faccenda di sangue. Ma il sangue a volte cola giù nei tombini dell’oblio umano, altre ristagna.

L’anilina sul didietro e lo “scorno”

E torna a galla come l’anilina del rosso con cui Guareschi racconta di un uomo che pitturò il sedere di una moglie troppo attivista in politica per occuparsi di lui. Lo scrittore narrava facezie con finale buonista e pistolotto cattolicheggiante, ma quello che accadde in Sicilia 43 anni fa di morale non aveva proprio nulla. Nulla se non l’esigenza di porre rimedio alle storture di una società che bruciava le sue streghe col fuoco del dileggio. L’omosessualità stava al centro di tutto: Giorgio ed Antonio erano gay, gay nella Sicilia delle coppole storte di petto villoso e dei politici che in spiaggia contavano le “fimmine” che i fichi d’india attaccati alle pale.

Salvatore Giuliano immortalato da una foto con il meraviglioso titolo di Tommaso Besozzi (quello che la pala di fico d’india se la portava sempre appresso per le foto d’atmosfera) era stato sì un indolo cupo, ma maschio. Maschio al punto tale da mettere Turiddu nella mistica di un’isola e di un paese che “quelli là” proprio non li digeriva.

Giarre, la morte e poi la svolta a Palermo

Tina Lagostena Bassi

Accadde quindi che qualcuno pensò di fare qualcosa e di farlo a Palermo, nell’epicentro di un Paese malato di sessismo. Un Paese che ancora considerava Tina Lagostena Bassi come un’aliena capace di osare, non una donna pronta a raddrizzare cose. Il 9 dicembre del 1980 nacque perciò un’associazione di promozione sociale che puntò dritto il problema alla giugulare.

E il problema era che i gay sarebbero rimasti un problema se qualcuno non li avesse riuniti in falange pronta a difendersi. La soluzione passava quindi per una battaglia che per dare testate al sistema doveva farsi sistema essa stessa. Arcigay non fu una creatura a sé stante perché un organismo di tutela dei diritti sociali esisteva già: l’Arci, appunto. Solo che l’Arci ebbe modo di capire che per quella lotta là bisognava mettere il nome a servizio della sua assoluta dignità, metterlo dentro alla sigla.

Gino Campanella, Massimo Milani e Marco Bisceglia decisero che continuare a stare zitti avrebbe avuto il tono di una resa da cui tornare indietro era impossibile. Marco specialmente lo sapeva benissimo. Era stato un sacerdote lui, ma era un prete che scavalcava i tempi in cui viveva di almeno un secolo. Tanto avanti mise la sua passione che nel 1975 celebrò un matrimonio “coscienziale” tra due uomini e pagò pegno amaro e sardonico.

Come ti sposo due uomini: nel 1975

don Marco Bisceglia

Fermiamo un attimo le lancette e concentriamoci su quell’anno: il 1975. Prima dei Dico e due anni dopo dopo la battaglia di Harvey Milk a San Francisco, con lui finito sforacchiato dai colpi di pistola dal consigliere comunale Dan Withe. L’omicida venne giudicato e mezzo graziato grazie alla “Twinkie defense”, la “difesa della merendina” e si sarebbe suicidato nel 1989.

Nel 1975 gli Iron Maiden si erano appena formati, i Khmer rossi spadroneggiavano in Cambogia de a Canzonissima dominavano Wess e Dori Ghezzi. L’Italia pativa gli Anni di Piombo ed Enrico Berlinguer varava il compromesso storico. Papa era Paolo VI, Aldo Moro era vivo e già scomodo e al Quirinale ci stava Giovanni Leone sul cui capo incubava lo Scandalo Lockeehd.

Capito il senso? Don Marco Bisceglia sposò due uomini in anni in cui il mondo era in dicotomia assoluta ed una cosa del genere era considerata molto più che un’eresia, era un’aberrazione. Ma al prete non venne risparmiato neanche un codazzo di dileggio che ne fece uno dei “cornuti e mazziati” più clamorosi della storia patria, per usare un’espressione tanto cara a quegli anni cavernicoli.

Due “iene” prima de “Le Iene”

Beppe Ramina

I due che aveva sposato e per i quali era stato sospeso a divinis non erano gay. Erano due giornalisti de Il Borghese, due antesignani de Le Iene che si erano finti omosessuali per smascherare il prete coraggio. E fargli pagare pegno per avercelo avuto, quel coraggio. La prima riunione nazionale dell’Arcigay si tenne nel 1982, quando cioè i circoli erano già spuntato come funghi su tutto il territorio nazionale, coraggiosi, impauriti ma determinati a cambiare le cose.

Nel 1985 l’assemblea di Bologna diede polpa all’associazione e, con essa, Beppe Ramina come presidente e Franco Grillini come segretario. Quest’ultimo è stato ed è tuttora l’archetipo di come certe lotte o le conduci con la tigna serena dei giusti o le molli alla retorica buffona di categoria. Il giornalista si è fatto 41 anni di Pride. E l’anno scorso a Repubblica confessò: “Per il primo striscione puntai sull’ironia: meglio un figlio ladro che un figlio busone“.

Ecco, alla fine Franco potrebbe aver avuto ragione e sue due cose. Sul fatto che ancora oggi in questo paese di conservatori col Che in cameretta chi ruba è visto meglio di chi è e basta.

E su quello per cui, se 43 anni fa non fosse nato il “suo” Arcigay, oggi ci sarebbero ancora nipoti che ammazzano gli zii su loro richiesta. Perché a volte vivere per come sei è peggio che morire per quello che sei stato. E a volte, se parli di diversità, metti l’ultimo chiodo al patibolo della civiltà.

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