Cosa insegna il Covid-19 sulla rete degli ospedali in provincia

L'emergenza coronavirus ha messo a nudo i limiti della strategia che dieci anni fa ha portato a ridurre gli ospedali nel Lazio. Finita l'emergenza ci sarà la necessità di ripensare ad una rete dell'emergenza. Che coinvolga anche le province.

A dirlo chiaro e tondo nei giorni scorsi, è stato il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani. Che, in collegamento con la trasmissione A Porte Aperte su Teleuniverso, parlando dell’emergenza coronavirus, ha detto più meno questo: rispetto ad altre zone, la provincia di Frosinone ha qualche giorno di vantaggio nella diffusione del virus.

Tempo che però va speso bene, facendo tutto quello che è necessario per evitare una diffusione incontrollata del virus. Perché se usiamo male questo tempo, e tra qualche giorno ci ritroviamo con le strutture sanitarie a disposizione intasate, il problema diventa serio.

Un messaggio fin troppo evidente. E che mette in luce due questioni. La prima è quella della necessità di spingere il più possibile sul piano della prevenzione. Ottaviani (e non solo lui, basti pensare ai video messaggi arrabbiati di tanti sindaci del territorio, come quello di Anagni Daniele Natalia, oppure Giuseppe Sacco di Roccasecca, come pure Claudio Guerriero a Vico nel Lazio dopo il primo contagio) dice, in sintesi; evitiamo comportamenti a rischio; stiamo a casa il più possibile; è l’unico modo per evitare casi come quello di Fondi, dichiarata zona rossa ed isolata dal resto del territorio.

Il progetto superato

Coronavirus, pazienti in Terapia Intensiva. Foto © Vince Paolo Gerace / Imagoeconomica

La seconda questione è invece quella della grave carenza di strutture sanitarie nel territorio. Una carenza oramai atavica. Che ha generato negli anni polemiche a non finire; polemiche che però non hanno mai portato ad una decisa inversione di marcia.

Ad oggi, sul piano delle strutture sanitarie, il territorio provinciale rimane drammaticamente scoperto.

Rispetto a questo stato di cose, la novità delle ultime due settimane dominate dall’emergenza del coronavirus è invece proprio questa. La nascita di un movimento sempre più ampio e trasversale che ha come obiettivo quello di far riaprire, se non tutti, alcuni degli ex ospedali disseminati nella provincia, per farne un valido punto di appoggio di Frosinone in caso, malaugurato ovviamente, di collasso della struttura principale. Tenendo conto soprattutto di un limite concettuale dell’ospedale Fabrizio Spaziani di Frosinone: è stato progettato in un momento storico in cui la provincia poteva contare su dieci ospedali, pertanto è stato calcolato e dimensionato su un numero di utenti che all’epoca veniva diluito tra Frosinone, Ceccano, Ferentino, Ceprano, Anagni e Alatri. Quattro di quei presidi, nel frattempo, sono stati chiusi. E tutta la loro utenza è stata riversata su Frosinone: lo Spaziani è nato piccolo, insufficiente per rispondere alle esigenze di tutto il territorio. Che spesso infatti fa riferimento alle strutture di Roma. I fatti oggi hanno dimostrato che è preferibile il contrario: cioè dare a Roma delle strutture che la sostengano sulle province.

Necessità di aggiornare

L’ospedale di Anagni

Prendiamo il caso di Anagni ad esempio. Solo negli ultimi giorni a chiedere a gran voce la riapertura della struttura voluta dal filantropo Onorato Capo per ospitare posti di terapia sub intensiva e/o per accogliere le persone in quarantena sono stati, in ordine sparso; gli esponenti della società civile, come le associazioni che fanno capo al Comitato Salviamo l’ospedale di Anagni; gli esponenti locali della Sinistra italiana, uniti al movimento civico Cittatrepunto zero; il consigliere regionale della Lega Pasquale Ciacciarelli; quello provinciale di Forza Italia Gianluca Quadrini. Insomma, da destra a sinistra passando per la società civile, la richiesta è riaprire l’ospedale. 

Oggi perché si capisce che è importante farne un punto di riferimento per supportare Frosinone durante l’emergenza coronavirus. Domani, ad emergenza (si spera) finita, perché si è finalmente capito che la zona nord della provincia non può restare senza un santo a cui votarsi quando si sta male.

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