Sei gare. 18 punti a disposizione. Poco meno di quelli che il Frosinone è riuscito a totalizzare nei 32 turni già disputati. È lecito e sensato pensare che la retrocessione sia solo una questione di tempo. Lo è ancora di più se si considera che un terzo delle squadre non ha più nulla da chiedere al campionato in corso.
Mentre il Chievo è matematicamente retrocesso in serie B, dall’altro capo dell’universo calcio, la Juventus ha sei turni a disposizione per decidere quando voler vincere il suo trentacinquesimo scudetto. Per il resto c’è una classifica spaccata a metà, che racconta di un campionato fatto di battaglie impari e di impari trattamenti. Narra di un Dio denaro che tratta questo sport come una macchina da soldi alla continua ricerca di share e di abbonamenti televisivi e che a forza di monetizzare e monopolizzare tutto il mondo del calcio, lo sta lentamente svuotando della sua bellezza tradizionale. Il fascino di non avere mai la certezza di come possa andare a finire che si tratti della singola gara o di un campionato.
Al contrario sono molte le certezze sulle quali il Frosinone ha potuto “contare” durante tutto il campionato. In testa alla classifica sta l’utilizzo maniacale della Var che con i ciociari è all’ordine “del mai visto prima” su numerosi episodi determinanti per l’esito di gara: il goal annullato a Ciano contro il Milan per un fallo a centrocampo di Crisetig (che se ogni arbitro dovesse ridiscutere le proprio decisioni, prese in maniera palese, su falli commessi a centrocampo guardandoli al rallenty probabilmente deciderebbe di cambiare mestiere); il rigore concesso a Ciano contro la Lazio e poi revocato quando si era sul risultato di 0-0; i 10’ di Var trascorsi, nella scrupolosissima ricerca della verità assoluta, per l’assegnazione di un rigore a favore (questa volta impossibile da annullare) e da ultimo, il rigore assegnato con fulminea rapidità dall’arbitro Massa nella gara contro l’Inter per un evidente placcaggio, a palla lontana, di Chibsah ai danni di Skriniar, che se questo diventasse un metro di giudizio univoco allora non si vedrebbe finire una partita senza almeno l’assegnazione di quattro o cinque penalty. Inutile chiedersi se a parti invertite la decisione di Massa sarebbe stata la stessa.
Certezze che hanno sottratto punti importanti e compromesso stati d’animo. Ma a questo punto a voler recriminare si rischierebbe di fare la figura di chi cerca un appiglio per paura di fare i conti con la realtà. Niente di più sbagliato. Perché se è vero che “quando una sconfitta ci insegna qualcosa, allora è una vittoria” allora il Frosinone ha molto da imparare da questa seconda militanza in serie A.
Perché forse sarà anche vero che i giallazzurri sono arrivati impreparati ad affrontare la massima serie, ma è altrettanto indubbio che questa serie A non è mai stata predisposta ad accoglierla fra i suoi ranghi. Non come avrebbe meritato. È apparsa invece disorientata dalla sconfitta del Palermo trascurando di ribadire in maniera chiara la legittimità sportiva del successo ottenuto dalla squadra di Longo.
Un pensiero avallato ripetutamente da chi, trovandosi a commentare le gare, non ha quasi mai ritenuto doveroso – al netto delle qualità tecniche della squadra – far riferimento o soffermarsi più di tanto su episodi dubbi o sulle decisioni “riviste” dalla Var.
Ed è per questo e per un milione di altri motivi che oggi il Frosinone non può permettersi di assecondare chi lo vorrebbe destinato alla serie cadetta. È per l’onesta sportiva di questa società, di questa squadra e dei suoi tifosi che il Frosinone scenderà in campo con orgoglio fino all’ultima giornata a prescindere da quale sarà il verdetto finale.
È per smentire ancora una volta chi la considera una meteora o una squadretta di provincia con troppe aspirazioni che il Frosinone imparerà dai propri errori e si ripresenterà al cospetto del “calcio che conta” ancora una volta.
Perché “La sconfitta ha qualcosa di positivo: non è definitiva. In cambio, la vittoria ha qualcosa di negativo: non è mai definitiva.”