Lo avevano chiamato chiedendogli un miracolo. Uno dei tanti nella sua vita. Lui che a trent’anni era già al fianco di un ministro, a meno di quaranta era consigliere di premier e futuri presidenti della Repubblica.
A chiamarlo era stato Silvio Berlusconi: in molti dicevano che fosse un suo erede. Anche lui si era fatto dal nulla. Arrivando a fare il City manager a Milano, a governare la macchina di Confindustria, ad amministrare Fastweb.
Stefano Parisi il miracolo lo ha fatto. Lo hanno candidato governatore del Lazio contro Nicola Zingaretti, con un centrodestra scassato ed a sole due settimane dallo scadere dei termini. In un mese e mezzo ha sfiorato l’elezione. Zingaretti ha vinto ma senza maggioranza.
Stefano Parisi si è dimesso da Consigliere Regionale del Lazio. E pure da consigliere comunale di Milano. Lascia la politica. Lui che alla politica ci era arrivato in prestito, dal mondo delle imprese e dei professionisti. (Leggi qui Addio politica ingrata: va via l’avversario di Zingaretti).
La cosa eccezionale è la sua analisi: stravolge due decenni di populismo e di antipolitica. Dice Parisi nel suo commiato che la politica devono farla i politici, professionisti della politica, che ne capiscono le manovre ed il linguaggio.
In una frase fotografa la situazione di oggi: in pochi hanno ignorato le buone idee di molti.
È questa la politica da cambiare: quella fatta dalla classe venuta su con l’antipolitica. Che ne capisce poco e pretende di governarla. Non quella di Parisi: che con la politica c’entrava ben poco. Ma almeno la rispetta.