Ieri da Firenze Matteo Renzi ha voluto rassicurare il governo pentastellato, affermando: «Pensano di essersi liberati di me, ma si sbagliano».
Ogni volta che l’ex presidente del consiglio esterna, i Democrat perdono punti nei sondaggi e Movimento Cinque Stelle e Lega si compattano.
L’ostinazione di Matteo
Qualunque altro leader del maggior partito della sinistra che avesse perso un referendum costituzionale, amministrative a raffica (con molte roccaforti cadute, senza considerare le batoste a Roma e Torino), regionali e politiche, sarebbe scomparso dai piani alti della dirigenza.
Chiunque altro avesse fatto segnare un tracollo dal 40% al 18% avrebbe fatto almeno dieci passi indietro.
Non si capisce l’ostinazione a voler riproporre all’infinito un modello bocciato dagli elettori, ma soprattutto dal popolo del Partito Democratico. Un partito che ha avuto anche una scissione.
L’identità smarrita
I Dem hanno perso milioni di voti, smarrendo un’identità politica che per decenni si è consolidata sul mondo del lavoro e della scuola, sulla lotta alle diseguaglianze, sul contatto con le parti più deboli della società. Ma pure sulle alleanze nel campo del centrosinistra e sulle prospettive europee.
Un esempio su tutti: sul tema dell’immigrazione per anni il Pd ha inseguito la destra. Con il risultato che quando si è trattato di scegliere tra l’originale e la copia, gli italiani hanno scelto l’originale. Cioè l’altro Matteo, Salvini. Mentre altri hanno preferito votare per i Cinque Stelle.
Il Pd è condannato all’irrilevanza se non inverte davvero la rotta in tempi rapidi.
Se ci credi, candidati
Ma se proprio Matteo Renzi crede che milioni di persone si sono sbagliate e che lui è la soluzione ai problemi del Paese e del Partito, allora si candidi in prima persona. Non si nasconda dietro figure magari autorevoli e prestigiose, che però non avranno l’agibilità politica necessaria perché sarà sempre lui l’azionista di maggioranza. Come è successo quando Maurizio Martina aveva dato precisi segnali di apertura a Roberto Fico circa la possibilità di un accordo di governo con i Cinque Stelle.
Sfidi Nicola Zingaretti in campo aperto, con delle primarie che coinvolgano quanta più gente possibile. Con una mobilitazione vera e non limitata ai dirigenti e ai quadri del Partito.
Si aprano le porte della partecipazione agli elettori, magari pure a quelli che hanno votato Cinque Stelle. O a chi è rimasto a casa. In ballo c’è il futuro del Partito Democratico, una forza politica che ha una vocazione europea e che non può abdicare al proprio ruolo.
La colpa è sempre degli altri
Matteo Renzi non può continuare a ripetere (e a far ripetere) che la responsabilità della sconfitta non è soltanto sua o che l’unico problema è stato rappresentato dal non aver saputo comunicare i risultati ottenuti. Non è così.
Certamente una larga fetta di classe dirigente ha sostenuto le sue scelte, ma quando si perde è il capo che sopporta il peso della sconfitta. Così come il capo è salito sugli altari dopo il 40% delle europee.
Inoltre, le decisioni assunte sui temi del lavoro (vogliamo parlare dell’articolo 18?), della sicurezza o dell’immigrazione non avevano neppure una venatura di sinistra.
Il Pd renziano si è perso il popolo per strada, ha inseguito la destra e, quando si è voltato, ha scoperto di aver perso la sinistra.
Ma se non è andata così, allora sia Matteo Renzi a confontarsi con Nicola Zingaretti. La Leopolda contro Piazza Grande. Ma che a decidere sia il popolo del Pd e del centrosinistra. Non il nuovo Politburo.