L’Ok Corral sulla mafia e il duello a salve tra Rai, Saviano e Salvini

Un programma cancellato senza una motivazione plausibile e i vecchi dissapori che mettono in ombra un tema che è servizio pubblico

In principio fu Roberto Saviano, che aveva già infilato una fortunata serie di approfondimenti ed interviste su Rai 3 aventi a tema la mafia. Poi erano arrivati i palinsesti Rai per il prossimo autunno che davano il programma “Insider” come inserito nella programmazione dell’ammiraglia di Stato. A quel punto lo storico si era fatto fumoso, come nella scena-prologo di “Sfida all’Ok Corral”. Cioè dove sceriffi, marshall, donne rubate e bande assassine andavano in mix di trama e la sola cosa che si sapeva già era che alla fine sarebbe stata una carneficina.

La Rai aveva cancellato Insider ed era venuta meno una delle “prove provate” che no, da Viale Mazzini nessuno stava epurando alcunché. Tempo fa proprio l’autore di Gomorra era stato indicato come totem di pluralismo, e non dalla parte che ne aveva fatto totem a prescindere. Il programma di Saviano era stato cancellato ed era partita la caccia al motivo nascosto dietro il movente. L’Ad Sergio aveva spiegato in fregola funzionalista che quella era stata solo una scelta motivata da ragioni aziendali e non politiche. A dire il vero lo aveva fatto proprio perché quella delle motivazioni politiche era la pista che tutti avevano battuto, da subito.

Due cause possibili, nessuna causa certa

Roberto Saviano (Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica)

Due le direttrici: un ritorno di fiamma di quell’astio noto e censito anche in atti tra la premier Giorgia Meloni, il suo vice Matteo Salvini e lo scrittore di Gomorra, questo secondo una motivazione generale, di concetto e “per tabulas”.

Poi l’altra, più centrata sull’immanente. E cioè quella per cui, dopo che Insider era stato messo in palinsesto (magari a malincuore ma con la consapevolezza che programma e conduttore erano comunque di peso) era successo qualcosa. Cosa?

Che Saviano aveva alluso al leader leghista come al “Ministro della Mala Vita”. Perciò e nell’ordine, secondo una lettura di parte che è parte della gran caciara di questi giorni: via il programma di Saviano, vai con la querela a Saviano e forza tutti ad affrontare le reprimende sulla censura per quel che sarebbe stato fatto a Saviano.

L’attacco al ministro e la lettura “partigiana”

Roberto Sergio (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Ma questa è una lettura di parte, perciò in punto di equilibrio ne serviva una che non avesse zoccolo sulle faccende personali tra un ministro ed uno scrittore. Messa meglio: serviva che qualcuno dalla Rai spiegasse come mai, con un programma già censito come funzionale con la mission dell’azienda e già “rodato” su una delle tre reti della stessa, lo stesso avesse subito un de profundis così improvviso.

E il guaio sta tutto là: non tanto nel fatto che la sceneggiatura di una “ritorsione” contro Saviano regge in punto di narrativa ma non sul piano probatorio. No, il guaio sta che la sola alternativa possibile ha avuto l’eziologia evanescente ed il lessico generalista che non competono a cose così delicate. Insomma, si è sparato a salve sulle cose serie e a palle incatenate sulla fuffa.

Cose che a tracimare in politica ci mettono meno tempo che a diventare trend-topic sui social. A voler essere concreti: bisognava spiegare e spiegare fortissimo che “Insider, faccia a faccia con il crimine”, con quattro puntate già registrate, non sarebbe stato mandato in onda a novembre per motivi asettici.

Motivi, moventi e sospetti di settarismo

Sì, ma come si fa a mettere sotto campana asettica una cosa che puzza di settarismo lontano un miglio?

Roberto Saviano (Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica)

Ecco, saggio sarebbe stato precisarlo. Questo anche per evitare che la vicenda venisse letta come una contromossa dopo il caso Facci, a sua volta estromesso dai palinsesti Rai dopo le parole su Libero in merito alla vicenda del figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa.

Sgomberare il campo dagli equivoci era insomma più necessario che mai, sennò quel saporino di equalizzazione interna e di Mani sulla città non sarebbe andato via da ogni palato senziente del paese, comunque la pensasse. Ed esattamente per scongiurare che si arrivasse ad iperbole andava fatta chiarezza. E’ stata fatta chiarezza? No. Si è andati in iperbole? Sì.

Più denunce che riposte: come sempre

Lo si è fatto quando uno come Giuseppe Provenzano, deputato e componente della segreteria Pd, ha sparato a palle incatenate su La7. “Ci sono dei segnali preoccupanti che arrivano da Salvini sulla lotta alla mafia. L’attacco a Don Ciotti, la riforma del Codice degli Appalti… È lui il mandante politico del caso Saviano. Ovviamente il leader del Carroccio, nonché ministro nonché vicepremier di una che Saviano lo ha portato a giudizio, non se l’è tenuta. Ed ha annunciato che le carte bollate arriveranno non solo a chi gli ha dato del Ministro della Mala Vita (c’è anche un vignetta del Fatto che pimenta la faccenda).

No, arriveranno anche a chi gli ha dato la patente di ispiratore dello stop al programma di uno che in quel modo lo aveva chiamato.

Ha scritto Salvini: “Ma come si permette questo signore?! Vergogna. Querela subito, e poi vediamo se ci riprovano”. Ed ha contro replicato Provenzano: “Se avesse, non dico il coraggio, ma il senso delle istituzioni di venire in Parlamento a discutere di lotta alla mafia, le potrei elencare ad una ad una tutte le ragioni. Pronto a farlo anche in Tribunale, comunque, ministro.

Parlare di mafia è servizio pubblico

Indro Montanelli

Un casino di coriandoli quindi, casino inutile da cui il solo spicchio di verità che interessava è stato tirato via. Quale? Il solito, qui non facciamo letteratura: capire perché Saviano non andrà in onda se si dice che le sue esternazioni contro Salvini non c’entrano nulla.

E non è una questione etica, di quella e con tutti il rispetto per Saviano frega poco. Il dato chiave è che la Rai è servizio pubblico e che parlare di mafia è pubblico servizio, perciò qualcosa non quadra o quadra poco.

Sembra di leggerlo ancora, Indro Montanelli, quando oltre mezzo secolo fa alla morte del pubblico servizio attribuiva colpe storiche precise. Colpe ataviche di noi italiani. “Mentre gli intellettuali protestanti, che nel pubblico hanno trovato la loro clientela, ne diventano i direttori di coscienza ed acquistano una funzione di guida e di avanguardia, i loro colleghi italiani fanno le sentinelle all’autorità costituita. E diventano sempre più parassiti e cortigiani. Essi evadono tutti i grandi problemi politici, sociali, spirituali, perché in ognuno di essi l’autorità costituita avverte puzzo di sovversione”.

Si rifugiano nei formalismi e tecnicismi di mestiere, si chiudono in circoli in cui si parla solo fra soci. Si danno a fabbricare maniere e, insieme col senso di pubblico servizio perdono ogni contatto con la realtà. E’ una diserzione di massa che peserà terribilmente sulle sorti del nostro Paese… e vi fa tuttora sentire i suoi effetti”.

Già, tuttora, e al punto che un tema che più pubblico non poteva essere è diventato un falso ring. Che a farsi stallo agostano non ci ha messo quasi nulla. Tutto in perfetto mood “Italia”. Senza una risposta. Con molte denunce. Con molti colpi sparati. E senza una verità storica, la sola. Che è quella per cui della mafia e del suo sconcio orrore si deve parlare. Sempre.

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