La pace fiscale con cui Salvini vuole i voti del Sud per le Europee

Quella del leader del Carroccio sulla 'Pace Fiscale' non è solo una battaglia ideologica, ma una precisa strategia: per pescare dove il tema è più sentito

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Qualche dato crudo per cominciare in purezza e delimitare il terreno: in Italia l’infedeltà fiscale è diffusa ovunque ma molto diffusa al Sud. Su una scala-parametro di cento euro sulla parte più alta del podio c’è la Calabria, con 21,3 euro non dichiarati ogni 100 incassati. A seguire ci sono la Campania (20 euro) e la Puglia (19,2).

C’è anche un dato non fiscale ma utile: sono tra le regioni in cui la Lega di Matteo Salvini ha attecchito con maggior difficoltà in quanto a consenso. In più, sono quelle che al voto politico del 25 settembre, lo step d’urna che ha spedito Salvini al governo e ad un ministero, hanno avuto denominatore comune ulteriore. Si tratta delle regioni che hanno avuto un calo di votanti eguale o superiore a 12 punti percentuali.

Il distinguo fiscale del Capitano è politico

Matteo Salvini (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Tradotto a somma grossolana? Ci sono regioni del Sud in cui si vota pochissimo e lì quando si vota non si vota certo per prima la Lega. Banale ma non troppo, perché è evidente che il leader del Carroccio ha l’usta delle elezioni Europee del 2024 e con quella ha bisogno di una camola grossa. Dicesi camola l’esca con cui i pesci vanno in orgasmo alimentare e allamano. E se in Italia la camola è la pace fiscale poco da fare: di “pesci” disposti ad abboccare ne trovi quanti ne vuoi. Ovviamente bisogna imbastire una campagna di comunicazione che non ti faccia apparire come l’ennesimo grullo meccanicamente irregimentato su una linea comune.

Perciò a Salvini non è servito solo invocare la pace fiscale con la voce grossa di chi ha il tema in agenda da sempre. No, lui doveva far capire che quella era la “sua” battaglia. Non un copia-incolla di quella di Giorgia Meloni che l’aveva battezzata con quel claim rumoroso, “pizzo di stato”, ma proprio una cosa suasua. E per intestarti una lotta quando in corsa per lasciarci le impronte ce ne sono tanti devi fare solo una cosa: distinguerti. Farlo e, ad esempio, cazziare benevolmente Carlo Nordio sulla guerra al concorso esterno in associazione mafiosa che per Salvini “non è una priorità”.

Spieghiamola: per non passare come semplice iscritto al club di Palazzo Chigi dove tutto ciò che viene partorito è giusto a prescindere Salvini ha costruito un’occasione di tipicità.

“Liberare milioni di italiani in ostaggio”

Ernesto Maria Ruffini (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Con la “dop” della battaglia al fisco mannaro già mezza appaltata ha accelerato. E si è discostato dalla linea di governo su un tema mainstream per far capire che quello in cui crede lui è roba della sua sporta, politica, partitica e personale. E che se lui combatte per una cosa vince o quanto meno si danna l’anima per farlo. A quel punto, una volta preparato il terreno, il sottosegretario multitasking nonché vicepremier ha calato la briscola-petardo. Serve una grande e definitiva pace fiscale per liberare milioni di italiani ostaggio da troppi anni dell’Agenzia delle Entrate”.

Il parrebbe redivivo Luca Morisi gli ha anche fornito i dati sul numero di italiani che si sono visti bloccare le ritenute d’acconto del lavoro come arbitraria compensazione di debiti pendenti. E a cui nessuno ha detto nulla se non tramite un modulo di asseverazione-negazione al prelievo coatto che pare sia stato disatteso bellamente in moltissimi casi. Sono incazzati e sono tanti, troppi per non provare a metterli a massa per una vendemmia elettorale nella “gabbia proporzionale” del voto europeo prossimo venturo. Perciò Salvini ha giocato duro ed ha usato la vecchia ed inossidabile matta del distinguo grandi evasori sistemici-poveri cristi tartassati e peccatori di venia.

Gli ha risposto a stretto giro di posta il conducator dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. Che ha detto: “Il contrasto all’evasione non è volontà di perseguitare qualcuno”. Esso è “un fatto di giustizia nei confronti di tutti coloro che, e sono la stragrande maggioranza, le tasse anno dopo anno le pagano. Il nostro è un lavoro essenziale per il funzionamento di tutta la macchina pubblica. E in chiosa: ”Perché se vogliamo garantire i diritti fondamentali della persona indicati e tutelati nella nostra Costituzione servono risorse. Cioè le tasse pagate bene e subito, e non quelle sanate ad hoc.

La chiave da buttare e il salvagente da lanciare

Agenzia delle Entrate (Foto: Imagoeconomica / Benvegnù Guaitoli)

Ha messo un canyon tra sé e le parole di Salvini anche il ministro della Funzione pubblica, Paolo Zangrillo. Lo ha fatto dichiarando che “Salvini ha espresso un suo pensiero”.

Quale pensiero? “Gli evasori totali per me possono andare in galera e si può buttare la chiave, ma se qualcuno ha un problema fino a 30mila euro che si trascina da anni, chiudiamo la questione. Gliene chiediamo una parte e azzeriamo tutto il resto”. La sua chiave di lettura arriva in un momento fiscalmente bellicoso, perché la Tributaria è in claim di recupero.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha annunciato che nel solo 2022 sono stati recuperati 20,2 miliardi di euro, con frodi bloccate per 9,5 miliardi. E con un incasso di 68,9 miliardi in più di entrate tributarie e contributive. Il primo trimestre del 2023 ha confermato il trend positivo, con un ulteriore aumento di entrate del +2,7%, pari a 4,7 miliardi di euro, rispetto all’analogo periodo del 2022. Chi lo dice? la Cgia, la Bibbia sul tema cioè. Che spiega come il “tax gap” stimato sia sceso a 89,8 miliardi: 78,9 di tasse e 10,8 di contributi.

Paradossalmente ed in iperbole (molto in iperbole) Salvini farebbe bene a sbrigarsi, altrimenti rischia di non trovare più evasori fiscali da arruolare per sopravvenuta simpatia. Il condono sulle cartelle esattoriali è tema chiave e il segretario leghista non arretra. Manco a dirlo, la proposta non ha solo solleticato i palati di chi ha grane col fisco e vive nel limbo terrificante di sbirciare nella cassetta della posta. La responsabile del lavoro del Pd Cecilia Guerra ad esempio ha onorato il suo cognome ed ha messo l’elmetto.

La Guerra va alla guerra, con Boccia

Francesco Boccia (Foto Imagoeconomica)

“Cittadini ostaggio dell’Agenzia delle entrate. Lotta all’evasione come pizzo di Stato. La promessa di una pace fiscale definitiva, che segue un’altra pace fiscale definitiva, che segue condoni tombali di ogni genere e tipo, a riprova che quando è legittimata l’evasione non si arresta mai. Non meravigliano le parole di Salvini, ministro di un governo che prevede il ricorso a definizioni agevolate (evidentemente non definitive) fra i principi della delega della sua riforma fiscale”.

Francesco Boccia è stato più molosso: “Salvini è un ministro, un uomo di governo, dunque delle istituzioni. Ma evidentemente per questa destra governare vuol dire inneggiare all’evasione, considerare l’agenzia delle entrate un nemico”. E credere che tutto si giochi sul distinguo etico-erariale tra dumping fiscale ed evasione “di necessità” con il mantra per cui pagare le tasse è “un dovere civico” è sbagliato. Significa non aver capito che c’è un voto alle porte. Che l’estate è breve e che l’autunno sarà di campagna elettorale per uno scacchiere che farà morti e feriti.

Sopravvivere a Visegrad oppure usarla

Antonio Tajani al Consiglio Nazionale di Forza Italia (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

La Lega è in bilico tra Visegrad e l’oblio, i massimalisti di destra rischiano un mezzo cappotto ma i popolari Ue sono l’argine forte contro cui ci si potrebbe infrangere. Il quadro per le Europee insomma è composito è la Lega non ha alcuna delle precondizioni di partenza che vedono gli alleati avvantaggiati. Fratelli d’Italia si appresta a mediare tra conservatori e “weberiani”. E Forza Italia, che della lotta al fisco è crociato primigenio, godrà dell’effetto rebound della morte di Silvio Berlusconi. Di quella e della linea tutta Ue di Antonio Tajani. E’ roba spiccia e breve, ma sui tempi medio brevi efficacissima.

E Salvini, che probabilmente non ha letto Orwell o che lo ha letto benissimo ma non ce lo dice, sa bene una cosa. Che “nessuno è patriottico quando si tratta di pagare le tasse”. Perciò, per averne tanti di patrioti, ha tolto le tasse dall’equazione dell’orizzonte italiano. Ed ha lanciato la sua personale e tuonante crociata. Per vincere con l’alleato più forte del mondo: l’esorcismo al “demone” del Fisco.