Il 25 aprile dagli indiani cicorioni ai maranza, via ornitorinco

Un 25 aprile semiserio. La sinistra lessicale rimasta senza parole tra gli indiani cicorioni e l’ornitorinco.

Mi ricordo il movimento degli Indiani Cicorioni. Mi dissero che dovevo requisire due aerei per portare il loro movimento in Perù alla “festa del sole”. Poi, dovevo convincere il partito a far distruggere l’Altare della patria per far posto a una comunità alla quale avrebbero aderito tutti gli animali e le piante della zona. Avrebbero aderito spontaneamente.

Iniziava così il dialogo del film Palombella Rossa di Nanni Moretti che poi culminava col famoso urlo “Come parla! Le parole sono importanti”. Seguito da due bei ceffoni all’ignara intervistatrice dopo che aveva inanellato una serie di espressioni tipo tutto il resto: lei ha un matrimonio a pezzi, kitsch, cheap. Sul “cheap” parte il primo schiaffone e poi al “Ma lei è fuori di testa” parte il secondo. E poi l’urlo rimasto nella storia del cinema “Come parlaaaaa! Le parole sono importanti”. In un epico fuori sinc degno di “fuori orario”.

Ecco la sinistra italiana deve aver preso molto seriamente la pellicola Morettiana da sempre icona di quell’area politica. Tanto che oggi si è ridotta ad essere una sinistra lessicale. Più attenta al linguaggio, alla forma che al contenuto.

Nessuno credo si sia perso gli infiniti dibattiti di stampo woke sulla declinazione delle parole tra maschile femminile e generi alternativi infiniti. Le fantasiose creazioni di neolingua, così le chiamava Orwell, che individuano generi alternativi sottomessi a infinite e puntigliose dispute grammaticali. È così che, orfana di riferimenti moderni, la lotta è più sul fronte della forma che della sostanza. Ne abbiamo avuto un esempio plastico nelle ultime celebrazioni del 25 aprile.

Lotta di forma e non di sostanza

Il 25 aprile ad Anagni

I temi del gender della neolingua e della cultura Lgbqt che vanno bene nelle celebrazioni del gay pride ma stentano ad entrare in un avvenimento che una volta era serio e denso di significato, occasione per ribadire soprattutto i valori antifascisti, come la festa della Liberazione. Ecco di originale al 25 aprile è rimasto solo questo. Il ritornello antifascista. Che perlomeno per lunghi tratti della storia della Repubblica ha avuto un senso compiuto. Oggi è di tutta evidenza abbia perso anche quello. 

Nel tripudio di uno stucchevole dibattito su chi sia o si debba dichiarare antifascista quest’anno il principio cardine di decenni di venticinque aprile ha segnato il passo. Nonostante la golosa presenza della Giorgia Meloni a palazzo Chigi offrisse uno spunto notevole. Ma evidentemente gli italiani non sono più appassionati a questo dualismo antinomico tra fascisti e antifascisti come una volta. Il motivo? Non esiste più il fascismo ed è difficile continuare a combattere contro un nemico che non c’è più. 

E nonostante i fantasiosi tentativi, cercare di appioppare un comportamento qualsiasi alla Meloni che abbia almeno un sentore di fascismo è opera difficilissima.

Senza fascismo si sgonfia l’antifascismo

Giorgia Meloni

In particolare perché da quando è andata al governo si è fatta beffe del programma elettorale schierandosi senza se o ma con la dominante politica europea. Della quale sembra sostenitrice quasi più degli stessi dirigenti che l’hanno creata. Dunque senza fascismo si sgonfia l’antifascismo.

Ed infatti il 25 aprile è stato monopolizzato dal dualismo Israele Palestina. Con un incrocio di terminologie, posizioni e reciproche accuse che fa girare la testa. Esemplare lo scontro andato in diretta televisiva tra le Brigate ebraiche e i manifestanti Propal. Questi davano dei fascisti agli ebrei, gli altri ribattevano che loro erano alleati di Hitler nella Seconda Guerra Mondiale. Una scena incredibile coi soggetti contrapposti che si davano dei fascisti e nazisti.

Chi lo ha visto trasmesso da molti siti informativi avrà notato che lo scontro di quest’anno è stato epico. A Milano guerriglia tra anzianotti ebrei della brigata e i maranza immigrati di seconda generazione. A colpi di aste di bandiere e bastoni. In una scena mitica in cui a questi si frapponevano i famigerati City Angels dei corpulenti volontari per la sicurezza di Milano che girano con una giacchetta rossa tipo gabibbo e un basco azzurro modello forze della pace Unhcr. Un mix esplosivo.

Questione di Maranza

La grafica del Corriere della Sera per descrivere i Maranza

Se c’è una cosa che personalmente aborro, perdonate la digressione, sono proprio questi sedicenti vigilantes. Come sempre capita non si intromettono mai veramente ma emettono solo leggeri gridolini tipo basta, fermi, smettetela. E muovono le braccia tipo catfight. Sul modello degli stewart allo stadio che alla prima vera rissa si danno subito. Infatti se le sono date liberamente fino all’arrivo delle forze dell’ordine che “giustamente” hanno arrestato l’unico maranza che si era dato da fare per calmare gli altri, salvo poi rilasciarlo capito l’errore. Sempre sul pezzo.

Ecco allora l’ultima frontiera della sinistra. I maranza. Sono loro i protagonisti di questo 25 aprile. I maranza capite. Come lo spieghi poi cosa sono i maranza a chi ignora il termine. Ci ha provato l’Accademia della Crusca. Ci dice che sono “giovani che condividono e ostentano atteggiamenti da strada , particolari gusti musicali, capi d’abbigliamento e accessori appariscenti e un linguaggio spesso volgare”. Ci spiegano pure che la prima attestazione è del 1988 citati in una canzone di Jovanotti. Lampi di cultura.

Insomma per dirlo in parole più semplici sono dei coattelli immigrati di seconda generazione che cafoneggiano come attività principale o esclusiva. I maranza pensate. Ma cosa direbbe il povero Moretti di fronte ai maranza. Gli partirebbe una pizza automatica sicuro. Ecco perché questo nei fatti è stato il venticinque aprile più vuoto di contenuti della storia. Perché ha perso efficacia nelle sue storiche parole d’ordine. E non ha trovato nuove parole che rappresentino il presente. Anzi, peggio ancora,  si è affidato alle espressioni dei maranza.

L’indebolimento della parola

Massimo Cacciari (Foto: Paolo Lo Debole / Imagoeconomica)

La sinistra soffre dell’indebolimento della parola antifascista. E non trova il suo sostituto moderno. Lo ha detto con grande efficacia il professor Massimo Cacciari stigmatizzando la scelta di puntare tutto sull’antifascismo: argomento che nessuno trova più attuale. E se lo dice il filosofo veneziano. Insomma roba da rimpiangere gli indiani cicorioni di morettiana memoria.

Ma voi pensate siano uno scherzo? No. I meno giovani e gli appassionati di movimenti politici ricorderanno che il movimento degli “indiani metropolitani” esisteva veramente. Wikipedia lo descrive così: “ una subcultura giovanile italiana con la peculiarità delle avanguardie contro il conformismo borghese  e per un risveglio generale dell’indole di libertà a partire dal rompere con ogni fattispecie di tabù, caustici ed iconoclastici al punto di renderli pronti a ricevere un consenso trasversale non solo giovanile”.

E mica bastava essere solo indiani metropolitani. C’erano clan e tribù disparati: indiani di città, delle colline, i “baracchini” quelli delle fabbriche e per l’appunto i “cicorioni”, quelli di morettiana citazione. Erano quelli che venivano dalle campagne.

Il passaggio tra indiani e maranza

Luciano Lama cacciato da La Sapienza nel 1977 e gli indiani metropolitani che impiccano il pupazzo che lo raffigura

Dunque come si è sviluppato il passaggio tra gli indiani metropolitani ed i maranza? Lo dico in tono ironico ma la sconfitta lessicale e forse culturale della sinistra passa tutta da questi paragoni. E in questi giorni si è sentito potentemente.

In un 25 aprile a ridosso delle elezioni Europee i messaggi sono stati ambigui e confusi. La Lega candida Vannacci cultore di legge e ordine la sinistra invece lancia la carcerata Salis from the Hungaria. La Schlein è così debole dentro al Partito che non riesce ad imporre il suo nome sul simbolo e desiste, la Meloni invece pare sia imminente candidata in Europa con il suo nome che troneggia a caratteri cubitali sul simbolo e sui manifesti.

Questione solo di parole? O di contenuti. Sarebbe da chiedere un opinione a Moretti. O agli indiani cicorioni. Se ne è rimasto qualcuno su piazza. Almeno questi il coraggio di cacciare Lama il potente Segretario della Cgil da La Sapienza lo ebbero. Rimane indelebile l’immagine del pupazzo di Lama brandito appeso durante le proteste a La Sapienza dagli indiani metropolitani. Ma nonostante alcune brillanti iniziative anche loro furono destinati a cedere il passo.

Non penne ma peli

Un ornitorinco

La fine del movimento degli indiani metropolitani infatti  risale al settembre 1977, quando sulle pagine della rivista “Il complotto di Zurigo“ compare il disegno di un animale che Pablo Echaurren propone come nuovo simbolo del movimento. Sulla rivista si legge: «Non più penne, ma peli! Cancellare ogni residuo ricordo della folklorica figura dell’indiano cicorione caro ai media. Voltare pagina, forzare l’evoluzione. Eleggiamo a nostro beniamino l’ornitorinco, un’animale che ha fatto della confusione evolutiva la propria caratteristica».

Il movimento forse intendeva prendere le distanze dalla violenza politica crescente in quel periodo in Italia. E soprattutto evitare di finire ingabbiato in definizioni ideologiche, culturali e politiche. Fatto sta che anche il povero indiano cicorione in ossequio alla modernizzazione è finito sostituito da un ornitorinco. E se può fare il simbolo della sinistra un ornitorinco, perché non possono farlo dei maranza si saranno detti nell’intellighenzia culturale. In fondo sono solo parole. Termini. E urlava Moretti le parole sono importanti.

Solo che da allora nella evoluzione della sinistra ci siamo scordati i contenuti che danno vita a quelle parole. E allora può capitare come successo in questi giorni che se ne fai solo una questione lessicale su tutto alla fine rischi che al momento opportuno ti manchino le parole chiave. Che grande paradosso linguistico.

E le parole sono importanti. Parola degli indiani cicorioni. Aug.

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