Il primo congresso Psi dell’era Craxi, che arrivò a Cassino per fare il pluralista

Bettino Craxi (Foto: Carlo Carino © Imagoeconomica)

In questi stessi giorni ma nel 1981. Il Congresso del Psi che completò la svolta del Midas. C'erano nomi storici del territorio: come Angelo Ruggiero, Pietro Ranaldi, Osvaldo Tiribelli. Stava ancora al Giovanile Psi Alfredo Pallone. L'importanza di quel Congresso. Cosa accadde dopo. Il Comizio di Cassino

C’è una splendida foto che riassume la polpa del 42mo Congresso nazionale del Partito Socialista Italiano tenutosi a Palermo nei giorni dal 22 al 26 aprile del 1981. Quello fu il summit che consegnò definitivamente il potere al Segretario fresco di elezione dopo la maratona all’hotel Midas di Roma di cinque anni prima. Lì, nella Capitale di una Nazione che fino ad allora aveva sostanziato il potere di vertice solo nello Scudo Crociato, erano stati gettati i semi di un duopolio di traino dell’Italia.

Lo scenario era composito e determinante. Il predecessore di Bettino Craxi, Francesco De Martino, aveva un cabotaggio tale da fornirgli carisma per una rotta fisioloìgica ed infida al contempo. Quale? Quella di avvicinarsi al PCI, che però aveva appena messo in fucina il compromesso storico con la DC in una “morsa” che aveva fatto schizzar via i socialisti dall’equazione.

La svolta del Midas e la foto coi fedelissimi

Bettino Craxi con Francesco De Martino (Foto: Carlo Carino © Imagoeconomica)

C’era aria di isolamento e al Midas si consumò un ribaltamento maiuscolo che avrebbe portato a quella foto palermitana. Via De Martino sulla scorta di risultati elettorali castranti e dentro un nuovo Segretario. Più giovane, più agguerrito, più orientato a seguire le opportunity invece che i totem ideologici. Bettino Craxi doveva essere un tipo sciapo per una transizione ed invece divenne un Cesare laico che dettò legge fino a Tangentopoli.

Sì, non lo vide arrivare quasi nessuno, Craxi. Tranne uomini come il corenese Angelo Ruggiero che al Congresso di Palermo venne eletto nel Comitato Centrale del Partito nella mozione Unità della Sinistra, capeggiata nel Lazio dall’onorevole Nevol Querci ed aveva come riferimento nazionale il professor Francesco De Martino. A vedere l’arrivo di Craxi e della sua ventata di Riformismo moderno prima di ogni altro c’era anche l’avvocato Aurelio Pietro Ranaldi, delegato insieme a Ruggiero e nella sua stessa componente.

Testimone di quell’evento furono anche il cassinate Osvaldo Tiribelli, e l’alatrense Paride Quadrozzi, il futuro presidente della Provincia Mario Coratti di Monte San Giovanni Campano ed il futuro vicesindaco di Frosinone Marco Ferrara. Erano tutti presenti come delegati della componente di Fabrizio Cicchitto. A quei lavori erano presenti anche i delegati della mozione di Giacomo Mancini che in provincia di Frosinone aveva come punto di riferimento il senatore napoletano Antonio Landolfi eletto a palazzo Madama nel collegio Sud Cassino – Sora.

Il dualismo tra Paliotta e Pallone

Alfredo Pallone (Foto: Paolo Gargini © Imagoeconomica)

Sono gli anni della radicale trasformazione del Psi. Del suo affrancamento da un Pci più volte accusato di volerlo fagocitare. Assisteva a quegli eventi dopo avere lasciato la Federazione Giovanile Socialista Alfredo Pallone che stava con la corrente autonomista di Cicchitto. Non era ancora nata la stella dell’esperiano Peppino Paliotta: il futuro big del Riformismo craxiano in Ciociaria arriverà solo negli anni successivi militando nell’ala demartiniana del senatore Giacinto Minnocci di Alatri.

Una decina d’anni dopo Palermo, una quindicina dopo il Midas, proprio Paliotta e Pallone saranno protagonisti di momenti topici come le “sfide chiave di quell’epoca”. Su tutte la “conta fratricida all’ultimo voto” per un seggio in Regione Lazio.

In quella foto di Craxi a Palermo, questo stesso giorno di 43 anni fa, c’è tutto ciò che il Psi era diventato e tutto ciò che il Psi non sarebbe stato mai più dopo il Midas. Quella foto la scattò Umberto Cicconi. Vi si vedono il Segretario, alto anche se seduto ad un tavolo di ristorante, con i suoi luogotenenti più fidati. Sono Gianni De Michelis e Claudio Martelli, entrambi giovanissimi, rampanti e fidati perfino in iconografia di pixel. Lì, a Villa Igea, quei tre erano la quintessenza di una nuova formula politica che aveva arruolato il rampantismo occidentale, quasi atlantico, al posto del collettivismo in purezza.

Il patto rotto e la sfida fratricida

Giuseppe Paliotta (Archivio Alessioporcu)

Quel Psi cercava uomini e donne capaci di avere ciascuno una briciola del carisma molosso del capo, non tanto da impensierirlo ma quanto bastava per assecondarlo. Uomini pronti alle sfide epocali come quella che Peppino Paliotta con Alfredo Pallone misero in atto nel 1990.

Lo aveva raccontato Paliotta stesso in una lunga e schietta intervista di qualche anno fa. “Allora sembrava potessimo raggiungere una intesa sulla base della quale ci candidavamo d’accordo, Pallone ed io. Io sarei entrato in Regione con l’impegno che due anni dopo, in occasione delle Politiche, sarei stato candidato al Senato. E Pallone a quel punto sarebbe andato a fare il Consigliere regionale al mio posto”. No, non andò così, e il craxismo d’assalto fece ammalare il patto.

Il comizio che attendeva Giangrande

Francesco Giangrande

Lo scontro elettorale del 1990 fu il coronamento di un decennio di battaglie nel Partito Socialista in provincia che portò ad eleggere Giuseppe Paliotta Segretario Provinciale ed a fare anche la prima Giunta di Sinistra in Provincia (protagonisti il futuro senatore Massimo Struffi di Arpino e Mario Coratti).

Quella maggioranza poi si scompose perché dapprima erano tutti con Santarelli (Martelli come Paliotta) ma poi Querci-Dell’Unto prima e Dell’Unto poi (De Michelis / Formica) ribaltarono la maggioranza del Partito sia in Regione che a Frosinone. Marco Ferrara fu tra quelli che misero Paliotta in minoranza.

Ricorda Paliotta: “Mi misero in minoranza al Direttivo provinciale – per un voto – e quindi andammo alle urne ciascuno per proprio conto. Fu battaglia dura”.

Talmente dura che a San Vittore del Lazio, dove erano in corso in simultanea anche le Amministrative e dove un giovane Francesco Paolo Giangrande attendeva Pallone per un comizio, alla fine si presentò Paliotta. Che era assessore all’Agricoltura della Pisana e che amava scrivere lettere struscione in cui esordiva con un ipnotico “Caro olivicultore…”. Insomma, se l’onda lunga socialista era alta, era anche vero che in quel Lazio là ebbe due creste e due surfer.

Al 42mo Congresso di Palermo Craxi aveva dettato per la prima volta una linea che non era più quella del nocchiero basso da transizione, ma la linea netta ed ardita del conducator che aveva calato la maschera del grigio signor Rossi per rivelare cipiglio ed ambizioni degne di un quasi autocrate. Non è un caso che in quegli anni Forattini buonanima lo ritraesse sempre in abiti “da immancabili destini”, con tanto di stivaloni militareggianti.

Quel giovane nenniano falso timido partì con un revisionismo talmente marcato che alla fine divenne totem di appetibilità istituzionale. I numeri gli diedero ragione e nel 1983 il Psi sfondò e Benedetto divenne il primo Presidente del Consiglio con un garofano in mano. Mise a crasi il pentapartito ed inaugurò una lunga stagione di quiescenza tra corazzate, di elisione del Pci. E di politica estera aggressiva ma non atlantica. Soprattutto inaugurò quell’età dell’oro solo superficiale che già covava sotto quella vernice solare due cose.

Il comizio a Cassino e Tangentopoli

Di Pietro e Craxi nel processo Enimont (Foto Maurizio Maule)

Il benessere farlocco di un Paese indebitato ma benestante in quasi tutte le sue fasce sociali ed il malessere di un Paese tangentista e scanzonato. Quasi per paciosa fisiologia. Come andò a finire lo sappiamo tutti, ma non tutti sappiamo che, da quel 26 aprile 1981, Craxi inaugurò anche un’altra stagione. Quella delle maggioranze composite ma che non ammettevano scarrocciamenti.

Lo spiegò bene a Cassino nel maggio del 1988, quando Bettino arrivò in città in occasione delle elezioni amministrative che “consegnarono” Piazza De Gasperi al democristiano Antonio Grazio Ferraro. E dal palco disse: “Quando si ha la maggioranza assoluta nel nostro Paese si è sempre tentati di abusarne“.

Ce l’aveva con la DC che aveva domato e messo a giogaia, ma non sapeva che presto quella botta di saggezza democratica si sarebbe ritorta contro di lui. E contro un’Italia che oggi molti rimpiangono, magari perché hanno stipendi più bassi e memoria corta. Si spera non abbastanza.

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