Frosinone, il silenzio della solitudine (di E. Ferazzoli)

Tutto tace. Tace il Presidente. Tace la dirigenza. Tacciono i giocatori. Il silenzio non risparmia nessuno eccetto Longo, l’unico ad “abbracciare la croce” ed a farsi carico di rispondere. Ad una situazione che non ha risposta. Perché ora sarebbe energia sprecata. E che invece occorre. Per tentare fino alla fine di conservare il sogno.

Un nulla di fatto collettivo. Un’occasione sprecata per il Frosinone. Questo il responso della 35° giornata di campionato. Pareggiano tutti eccetto l’Empoli che ormai viaggia su ritmi inarrivabili.

Mal comune mezzo gaudio verrebbe da dire facendo spallucce, cercando di accettare con serenità una vittoria venuta a mancare in pieno recupero. Stavolta no. Non può essere così, perché a onor del vero sabato allo Stirpe di gaudioso si è visto ben poco.

Non vi è impresa più ardua di ritrovarsi a dover criticare qualcosa che si ama incondizionatamente. Tuttavia “intignarsi” a non voler vedere l’oggettività dei fatti è un escamotage per giudicare la realtà rassicurante. Ma bugiardo, inutile e poco coraggioso. La classifica tranquillizza dicendo che niente è cambiato eppure è difficile soffocare quella pressante sensazione che nulla sia più come prima.

 

Tutto tace. Tace il Presidente. Tace la dirigenza. Tacciono i giocatori. Il silenzio non risparmia nessuno eccetto Longo, l’unico ad “abbracciare la croce” della sala stampa, l’unico a farsi carico di rispondere alle domande su una gara che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Le parole del mister a fine partita arrivano vuote e non perché prive di senso ma perché a questo punto gli interrogativi che il tifoso si pone sono ben altri; forse Longo non dovrebbe essere il solo a dare delucidazioni. Il cambio tattico non è sufficiente a “giustificare” la mancata intesa fra Terranova e Vigorito, la testa spaccata di Crivello, l’incomunicabilità fra due giocatori, Soddimo e Crivello, che dovrebbero conoscersi a memoria.

Nessun novello schema di gioco può essere responsabile da solo di un primo tempo inesistente e di un secondo che rasenta – a voler essere clementi – la sufficienza. Spaesati, confusi, impauriti, senza entusiasmo. Intrappolati in un gioco sterile, lento e macchinoso. Incapaci di chiudere definitivamente la partita e di difendere il risultato con lucidità e furbizia. Undici giocatori solitari e individualisti lontani anni luci dalla squadra affamata di salvezza che ha calcato i campi di serie A.

Ieri allo Stirpe c’erano molti uomini soli, in campo, in panchina, fra le riserve, sugli spalti. Una solitudine che si è palesata perfino in sala stampa quando Longo ha ammesso di non sapere se la sua squadra continuasse o meno il ritiro. Una non risposta che svela un grave difetto interno e che apre la strada a molti dubbi.

 

Cosa stia accadendo dietro le quinte e dentro lo spogliatoio non è dato sapersi ma viene da chiedersi se questo gruppo abbia esaurito le forze motivazionali, se esista una data di scadenza intrinseca per ogni grande squadra, dettata dal tempo e che prescinde dal volere e dal valore dei giocatori.

 

Desiderare a tutti i costi un lieto fine non vuol dire vederselo recapitare ma dichiarare la resa prima del tempo non servirà ad indorare la pillola.

Il Frosinone è nella buona e nella cattiva sorte. È sentire il triplice fischio di Minelli e indipendentemente da come è andata organizzarsi per la trasferta di Avellino. È l’orgoglio del popolo ciociaro che non indietreggia di fronte alle difficoltà. Senza se e senza ma.

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